Audizione dell’UPB nell’ambito dell’esame del DEF 2019

 

Il Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) Giuseppe Pisauro è stato ascoltato oggi in audizione dalle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, riunite in seduta congiunta, nell’ambito dell’esame preliminare del Documento di economia e finanza (DEF) 2019 pubblicato il 10 aprile scorso dal Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF).

 

Nel suo intervento Pisauro ha analizzato il contenuto del DEF, illustrando le ragioni che, alla luce delle informazioni disponibili, hanno condotto a un esito positivo il processo di validazione del quadro programmatico 2019-2022 (precedentemente era stato validato il quadro macroeconomico tendenziale). Le previsioni macroeconomiche programmatiche del MEF e quelle del panel UPB (Cer, Prometeia e Ref, oltre allo stesso UBP) sono nel complesso coerenti. La dinamica del PIL reale (rispettivamente dello 0,2 per cento nel 2019 e dello 0,8 in tutti e tre gli anni successivi) risulta compresa nell’intervallo di variazione del panel e soltanto nel 2021 si pone al limite superiore. Quanto alla dinamica del PIL nominale, variabile che più direttamente rileva sull’andamento di finanza pubblica, si attesta nell’ambito dell’intervallo di previsione, grazie anche alla componente del deflatore che si mantiene al di sotto dell’estremo superiore delle stime del panel.

 

Nel breve termine il quadro degli indicatori disponibili sembra segnalare, pur tra tendenze poco omogenee delle inchieste congiunturali, primi timidi segnali di recupero per il primo trimestre. Tuttavia lo scenario macroeconomico a medio termine dell’economia italiana resta condizionato da forti rischi, prevalentemente orientati al ribasso, che inducono cautela nelle previsioni. Si tratta di: rischi imputabili a ulteriori peggioramenti del contesto internazionale; rischi connessi a squilibri finanziari, tali da indurre un rapido aumento dei rendimenti richiesti dagli investitori internazionali che penalizzerebbero le economie, come quella italiana, con emittenti pubblici e privati con basso rating sul merito di credito; rischi indotti dall’incertezza sulle politiche economiche, che incide sulle scelte di consumo e di investimento di famiglie e imprese.

 

Le tendenze della finanza pubblica e il puzzle della manovra di bilancio 2020. – Sul versante della finanza pubblica, il Presidente dell’UPB ha rilevato che il DEF prende atto dello sforamento del deficit rispetto al livello atteso per il 2018 e della traiettoria meno favorevole dei conti pubblici tendenziali, a seguito del peggioramento congiunturale dell’economia. In assenza di interventi, il deficit pubblico aumenterebbe al 2,4 per cento del PIL nel 2019 (il dato conferma l’indisponibilità dei 2 miliardi di stanziamenti accantonati nell’ambito delle modifiche alla manovra di finanza pubblica operate a fine dicembre del 2018), per scendere al 2 per cento nel 2020 e all’1,8 a all’1,9 per cento nei due anni successivi.

 

Dallo stesso DEF si desume peraltro che il disavanzo a politiche invariate ed escludendo l’aumento dell’IVA previsto con le clausole di salvaguardia (23,1 miliardi nel 2020 e 28,8 miliardi a partire dal 2021), salirebbe in percentuale del PIL, dal 2,4 per cento nel 2019 (42 miliardi) al 3,4 per cento nel 2020, al 3,6 per cento nel 2021 e al 3,8 per cento (73 miliardi) nel 2022 (tab.1). In questo scenario ed escludendo inoltre i proventi attesi dalle privatizzazioni (di difficile realizzazione), il debito pubblico in rapporto al PIL continuerebbe a salire anche dopo il 2019 per arrivare sopra il 135 per cento nel 2022 dal 132,2 per cento del 2018.

 

Tab.1 SADEF

 

Le risorse da reperire per garantire la discesa progressiva del disavanzo programmata nel DEF risultano costituite rispettivamente da: i) le coperture alternative alle clausole di salvaguardia; ii) le somme destinate a finanziare le politiche invariate (2,7 miliardi nel 2020, 5,2 nel 2021 e 7,8 nel 2022) e a incrementare gli investimenti (per circa 2 miliardi l’anno); iii) le risorse necessarie per assicurare una correzione ulteriore del disavanzo in linea con gli obiettivi programmatici del DEF (2 miliardi nel 2020, 7 miliardi nel 2021 e 16 miliardi nel 2022). Dovrebbero pertanto essere individuate misure per circa 25 miliardi nel 2020, che salirebbero a circa 36 miliardi nel 2021 per raggiungere circa 45 miliardi a fine periodo.

 

Le ulteriori iniziative annunciate nel DEF, come ad esempio l’intenzione di continuare il processo di riforma delle imposte sui redditi (“flat tax”) e di generale semplificazione del sistema fiscale, da realizzare “nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica definiti nel documento”, richiederebbero l’identificazione di ulteriori misure compensative.

 

La manovra autunnale si prefigura quindi come un puzzle complesso, che richiederà una chiara definizione delle priorità politiche. L’incertezza sul disegno della politica di bilancio costituisce un importante fattore di rischio per le prospettive economiche del Paese.

 

Alcuni rischi relativi alle misure per contenere il disavanzo e il debito. – In base alle poche indicazioni fornite nel DEF sulla manovra di bilancio, il reperimento di risorse necessarie al conseguimento degli obiettivi programmatici dovrebbe basarsi, oltre che sull’attivazione delle clausole di salvaguardia relative alle imposte indirette, su quattro principali voci: sulla revisione della spesa, sulla riduzione e razionalizzazione delle spese fiscali, sul contrasto dell’evasione fiscale e su introiti da privatizzazione. Ciascuna di queste linee di intervento presenta degli elementi di criticità.

 

Tenendo conto dell’andamento delle uscite primarie registrato dal 2010 in avanti in termini nominali e reali (la spesa primaria è aumentata complessivamente di 50,4 miliardi in termini nominali, mentre si è ridotta di 14,7 miliardi in termini reali), il ricorso a risparmi di spesa può risultare complesso per vari fattori. In particolare: 1) nel pubblico impiego, misure di contenimento della spesa, come ad esempio nuovi blocchi del turn over, si scontrerebbero con il già avvenuto calo della dotazione di personale e con l’invecchiamento degli addetti, con le inevitabili conseguenze sull’efficienza complessiva dell’organizzazione e sull’utilizzo dell’innovazione tecnologica, a meno di riforme sul funzionamento della pubblica amministrazione che tuttavia richiedono molto tempo per dispiegare i loro effetti; 2) il rischio che ulteriori tagli della spesa sanitaria incidano sulla qualità dei servizi offerti oppure sul perimetro del coinvolgimento pubblico in questo settore; 3) il condivisibile impegno del Governo a incrementare le risorse finanziarie per investimenti a disposizione delle Amministrazioni centrali e di quelle locali anche mediante il superamento delle criticità connesse all’applicazione della nuova normativa sugli appalti pubblici; 4) l’aumento ulteriore della spesa pensionistica prevista con quota 100 e delle altre prestazioni sociali a seguito dell’introduzione del reddito di cittadinanza.

 

Il ridimensionamento delle spese fiscali (tax expenditures) solleva alcune questioni che andrebbero affrontate. La loro eliminazione dovrebbe essere preceduta non solo dalla quantificazione dell’impatto finanziario complessivo e dei beneficiari coinvolti, ma soprattutto da un’analisi ex post degli effetti redistributivi che l’eliminazione di ciascuna agevolazione determinerebbe. Inoltre, alcune agevolazioni fiscali che coprono più anni (ad esempio, quelle sulle ristrutturazioni edilizie o relative agli interessi sui mutui prima casa), seppure venissero eliminate, continuerebbero a determinare perdite di gettito negli anni futuri e non sarebbero perciò immediatamente disponibili come copertura per altre misure.

 

Infine le risorse per il raggiungimento degli obiettivi di indebitamento netto per il 2021 e il 2022 dovrebbero derivare per 0,1 punti percentuali del PIL nel 2021 e per 0,4 nel 2022 principalmente dal contrasto all’evasione fiscale. Complessivamente, l’entità delle maggiori entrate attese dal contrasto dell’evasione nel 2022 sembrerebbe piuttosto ambiziosa a confronto con gli attuali risultati raggiunti dall’Agenzia delle entrate. In particolare, nel 2018 sono stati riscossi poco più di 19 miliardi, di cui 16 derivanti dall’attività “ordinaria” di controllo (ossia a seguito di atti emessi dall’Agenzia, dalla promozione della compliance e dalla riscossione coattiva) e i restanti 3 dall’attività di recupero da misure “straordinarie” (ad esempio, la definizione agevolata delle controversie tributarie, la rottamazione delle cartelle, la voluntary disclosure, ecc.). Si tratterebbe dunque di aumentare in misura rilevante (anche fino a circa il 50 per cento) il recupero di entrate dall’attività “ordinaria” di riscossione.

 

Il DEF 2019 conferma l’ipotesi, adottata dal DPB 2019, di incassi da privatizzazione pari a 1 punto percentuale di PIL nel 2019 e a 0,3 punti nel 2020, pari rispettivamente a circa 17,8 e 5,5 miliardi. Se si confrontano le dismissioni mobiliari previste dai DEF 2015-2018 e i corrispondenti dati di consuntivo, si ricava tuttavia che l’unico anno nel quale i risultati coincidono con le aspettative è il 2015 (le dismissioni attuate sono ammontate a 6,6 miliardi). Negli anni prima del 2015 solo in tre occasioni si sono registrate dismissioni di importo superiore a 10 miliardi (1997, 1999 e 2003), mentre in quelli successivi al 2015 i risultati ottenuti sono stati largamente inferiori alle attese: nel biennio 2017-2018, a fronte di dismissioni attese di 0,3 punti di PIL all’anno, si sono conseguiti incassi pari a 58 milioni nel 2017 e 2 milioni nel 2018. Si conferma quindi la valutazione, già espressa precedentemente dall’UPB e ora rafforzata alla luce dell’aumento delle previsioni di incasso, che nel quadro programmatico di finanza pubblica esiste un concreto elemento di rischio correlato all’eventualità che il programma di privatizzazioni possa rivelarsi in tutto o in parte inattuabile.

 

Dinamica del debito pubblico in alcuni scenari alternativi. – L’UPB ha effettuato alcune simulazioni per analizzare la sensitività del rapporto tra il debito e il PIL nello scenario programmatico DEF rispetto a scenari alternativi (fig. 1). Nel caso estremo in cui l’indebitamento netto tendenziale accresciuto degli effetti delle politiche invariate non sia finanziato attraverso l’attivazione delle clausole e la manovra prevista dal DEF e il debito non si riduca per effetto degli introiti da privatizzazioni si avrebbe un aumento del debito, che si attesterebbe al 134,7 per cento nel 2021 e al 135,4 per cento nel 2022.

 

Fig.1 SADEF

Il rispetto delle regole e il nuovo Obiettivo a medio termine (OMT). – Nonostante obiettivi di disavanzo nominale più sfavorevoli del previsto, lo scenario programmatico del DEF 2019 prevede, a causa di ipotesi macroeconomiche più pessimistiche, un percorso di aggiustamento strutturale verso l’OMT leggermente più ambizioso rispetto allo scenario programmatico delineato nel documento “Aggiornamento del quadro macroeconomico e di finanza pubblica” dello scorso dicembre 2018. Ciononostante permangono deviazioni dagli aggiustamenti richiesti per quasi tutto l’orizzonte di programmazione sia per quanto riguarda la regola sul saldo strutturale sia per quella relativa alla spesa. In entrambi i casi la Commissione, utilizzando le sue stime di primavera 2019, condurrà una valutazione complessiva per stabilire se sia stata rispettata la parte preventiva del Patto di stabilità e crescita e valutare la possibilità di aprire una procedura per deviazione significativa (PDS). Quanto alla regola numerica di riduzione del debito, i target non vengono rispettati né nel 2018 né nel periodo di programmazione, nonostante la discesa del rapporto debito/PIL prevista dal Governo nel triennio 2020-2022.

 

Nel DEF viene indicato il nuovo obiettivo di medio termine (OMT; equilibrio dei bilanci nella legislazione italiana) dell’Italia a partire dal 2020. Esso è pari a un avanzo strutturale di 0,5 punti percentuali del PIL, più stringente rispetto a quello dichiarato nei precedenti documenti di programmazione, corrispondente al pareggio di bilancio. Si ricorda che i precedenti documenti, individuando il pareggio strutturale come l’OMT, si ponevano un OMT più ambizioso di quello minimo definito dalla metodologia UE, che fino alla recente revisione determinava per l’Italia un OMT pari a un disavanzo strutturale di 0,5 per cento del PIL. La revisione dell’OMT operata dalla metodologia europea è quindi pari a 1 punto percentuale di PIL ed è dovuta sia al peggioramento del quadro di finanza pubblica sia alla più elevata stima della dinamica della spesa pubblica di lungo periodo legata all’invecchiamento della popolazione (ageing cost).