Audizione dell’UPB sul DDL di conversione del DL 34/2020 (Decreto “Rilancio”)

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Il Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Giuseppe Pisauro, è intervenuto oggi in audizione informale presso la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame del DDL di conversione del DL 34/2020 (“decreto Rilancio”). Il Presidente dell’UPB ha passato in rassegna le misure contenute nel provvedimento, focalizzando l’attenzione sul loro impatto finanziario e sui riflessi sui settori e le categorie interessate. Per alcuni degli interventi contenuti nel decreto ha inoltre illustrato specifiche analisi quantitative condotte con il modello di microsimulazione dell’UPB volte a individuare la platea dei soggetti coinvolti, i benefici che ne derivano e la loro distribuzione in base ad alcune caratteristiche salienti.

 

Il decreto ha un impatto significativo sui saldi di finanza pubblica. Le misure che esso contiene comportano un peggioramento dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche del 3,3 per cento del PIL (55,3 miliardi) nel 2020 e dell’1,5 (26,1 miliardi) nel 2021, in linea con quanto indicato nella Relazione e nel Documento di economia e finanza (DEF) presentati al Parlamento in aprile. Il suo impatto finanziario farebbe salire il deficit delle Amministrazioni pubbliche al 10,4 per cento del PIL nel 2020 e al 5,7 nel 2021.

 

La maggior parte delle misure del decreto impatta in modo analogo sui tre saldi dei conti pubblici con l’eccezione, nel 2020, di alcune misure specifiche di importo rilevante che hanno effetti differenziati sui saldi. In particolare, per quanto riguarda il fabbisogno contribuiscono all’impatto più elevato rispetto a quello sull’indebitamento netto 12 miliardi relativi al fondo per i pagamenti di debiti certi, liquidi ed esigibili da parte degli Enti territoriali. Comportano un impatto solo sul saldo netto da finanziare, sostanzialmente, alcune misure di importo notevole riguardanti, per 44 miliardi, il cosiddetto “Patrimonio destinato” alla Cassa depositi e prestiti (CDP) e, per 30 miliardi, l’integrazione del fondo per la concessione di garanzie a favore della SACE e della CDP istituito nell’ambito delle misure di sostegno alle imprese del DL Liquidità.

 

Le misure comportano maggiori uscite pari a 49,8 miliardi quest’anno, 5,6 nel 2021 e 6,4 nel 2022 e una riduzione di entrate di 5,6 miliardi nel 2020, 20,5 nel 2021 e 28,3 nel 2022. Le maggiori uscite riguardano nell’anno in corso soprattutto quelle di natura corrente, risentendo in particolare delle risorse indirizzate in massima parte a sostenere i lavoratori e le imprese. L’impatto sulle spese in conto capitale del 2020 deriva essenzialmente dalle misure a favore delle piccole e medie imprese e dalle somme destinate alla protezione civile per le emergenze nazionali e al Commissario straordinario per l’emergenza COVID-19. Le minori entrate complessive del 2020 derivano in larga misura dalla eliminazione del saldo 2019 e della prima rata di acconto 2020 dell’IRAP. Nei successivi due anni l’impatto sulle entrate riflette, in larga parte, la riduzione di gettito delle imposte indirette dovuto all’eliminazione delle clausole di salvaguardia.

 

Sulle misure del decreto, è possibile formulare una prima notazione su una norma specifica rilevante e alcune considerazioni di carattere generale.

 

In primo luogo, l’impatto sui conti pubblici di alcune disposizioni finalizzate al sostegno e rilancio del sistema economico-produttivo richiede un approfondimento particolare Gli interventi avverrebbero mediante operazioni di ricapitalizzazione di società per azioni, per il tramite della Cassa depositi e prestiti (CDP), che a tal fine viene autorizzata a costituire un Patrimonio destinato, separato da quello della CDP. A esso sono apportati beni e rapporti giuridici da parte del MEF, a fronte dei quali sono emessi dalla CDP strumenti finanziari di partecipazione a favore del MEF stesso. A fronte del patrimonio conferito, che comprende titoli di Stato appositamente emessi (fino a 44 miliardi), sono attivate operazioni di finanziamento, che apportano mezzi finanziari da destinare alle iniziative di capitalizzazione. Patrimonio destinato può anche effettuare l’emissione di titoli obbligazionari garantiti dallo Stato. In attesa di essere utilizzate per le operazioni di ricapitalizzazione, le disponibilità liquide del Patrimonio sono versate su un apposito conto di Tesoreria.

 

La misura viene esposta nei prospetti riepilogativi del decreto con un impatto sul solo saldo netto da finanziare. L’indebitamento netto non risulterebbe modificato poiché l’operazione comporta l’acquisizione di partite finanziarie, per definizione escluse da tale saldo. Secondo la Relazione tecnica, l’apporto di beni e rapporti giuridici, non comportando movimenti di cassa, non avrebbe effetti sul fabbisogno. Nelle Relazioni di accompagnamento al provvedimento, non sono menzionati effetti sul debito delle Amministrazioni pubbliche.

 

Sebbene l’operazione presenti una certa complessità e il profilo temporale dell’impatto sui conti sia subordinato a elementi al momento non noti, occorre sottolineare che le operazioni di capitalizzazione per il tramite di Patrimonio destinato di per sé costituiscono un aumento del debito delle Amministrazioni pubbliche. Tuttavia, una valutazione più precisa del profilo temporale dell’effetto sul debito è subordinata a una serie di elementi al momento non ancora definiti. Tali elementi potrebbero addirittura comportare, attraverso il versamento in Tesoreria della liquidità acquisita, e fino al suo utilizzo per le finalità proprie dello schema, uno strumento di finanziamento del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche.

 

Il decreto prevede interventi per importi rilevanti, che sommati a quelli già disposti con il DL 18/2020 (“Cura Italia”) comportano un incremento dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche del 4,5 per cento del PIL nel 2020. Esso rafforza ed estende nel tempo alcune delle disposizioni del DL 18/2020 e dispone nuovi interventi di ampia diffusione settoriale.

 

È prevista la messa in opera di una vasta gamma di strumenti e altrettanto ampia risulta la definizione di specifiche procedure e pratiche amministrative. Infatti, l’intervento prevede la necessità di numerosi decreti di attuazione e, in taluni casi, anche la preventiva subordinazione delle disposizioni alla dichiarazione di compatibilità con la normativa della UE da parte della Commissione europea. In generale, l’efficacia delle misure dipenderà anche dalla rapidità della loro attuazione.

 

Accanto alla rilevante entità di disposizioni di emergenza, si trovano alcuni interventi con diverso grado di carattere strutturale. Tra questi sono da considerare gli interventi di rafforzamento del Servizio sanitario, le assunzioni – anche se in parte già programmate – nella scuola, nelle Università e negli Enti di ricerca e gli investimenti sempre nel campo della ricerca. Sono inoltre presenti incentivi alla spesa nei settori privati dell’economia, come quelli riferiti alla riqualificazione edilizia o all’acquisto di autoveicoli a bassa emissione inquinante.

 

Più rilevante, dal punto di vista della permanenza degli effetti nel tempo, appare l’eliminazione delle clausole di salvaguardia su IVA e accise. È importante peraltro ricordare che l’impatto sul disavanzo della disattivazione delle clausole di salvaguardia non corrisponde a uno spazio costituito per nuove politiche ma di fatto rende più trasparente la dinamica dei saldi di finanza pubblica come conseguenza delle politiche adottate in passato.

 

Data l’emergenza sanitaria ed economica in atto, viene disposto necessariamente un insieme di misure che distribuiscono risorse a numerosi settori, con effetti specialmente sulla spesa corrente, e detassazioni di breve periodo. I provvedimenti di emergenza e anche quelli maggiormente strutturali andranno tuttavia riconsiderati, tra qualche mese, nell’ambito di una visione maggiormente organica di politica di bilancio. Sarà necessaria l’individuazione di scelte strategiche circa i settori cui convogliare maggiori o minori risorse, circa il futuro del sistema tributario e circa la riattivazione della spesa in conto capitale in un contesto dove si renderà necessario raggiungere di nuovo un saldo primario in avanzo per permettere una riduzione duratura del debito in rapporto al PIL.

 

In particolare, sul versante dell’imposizione fiscale, gli interventi ‒ frammentati in spostamenti di versamenti all’interno dell’anno in corso, riduzioni per il solo 2020, rinvii al 2021 e abolizioni definitive di aumenti di imposte ‒ andranno collocati negli anni a venire in un quadro organico di riordino complessivo. Ciò si rende in particolare necessario anche in considerazione delle specificità di alcune imposte, come ad esempio nel caso dell’IRAP, fortemente ridotta per l’anno in corso, il cui gettito contribuisce in maniera rilevante al finanziamento del servizio sanitario nazionale.

 

Di seguito si sintetizzano i risultati delle analisi quantitative e qualitative riportate nell’audizione.

 

Le misure di sostegno al reddito dei lavoratori e delle famiglie. – Il DL 34/2020 rinforza la strategia iniziale intrapresa per contrastare l’impatto della crisi pandemica sul lavoro con il DL 18/2020 e punta, in primo luogo, sull’estensione delle integrazioni salariali in deroga e sulle indennità una tantum per i lavoratori autonomi e alcune categorie più marginali del lavoro dipendente. I lavoratori che non riescono a beneficiare di uno di questi due strumenti (ad esempio, i working poor, rappresentati da lavoratori occasionali con reddito al di sotto dei 5.000 euro all’anno, gli operai agricoli con meno di 50 giornate di lavoro, ecc.), se ne soddisfano i requisiti, potrebbero trovare tutela nel Reddito di cittadinanza (RdC) o nel Reddito di emergenza (REM).

 

Con il modello di microsimulazione dell’UPB è stata condotta una prima analisi dell’effetto congiunto del complesso delle misure di sostegno al reddito (inclusive di quelle spettanti in base alla legislazione ante DL 18/2020 e al DL 34/2020), che evidenzia la distribuzione dei benefici sul complesso delle famiglie italiane in funzione di alcune principali caratteristiche socioeconomiche. Nell’esercizio sono state considerate tutte le forme di trasferimento erogabili per il mese di aprile (le integrazioni salariali e le diverse indennità a favore dei lavoratori dipendenti, le indennità per i lavoratori autonomi e il REM).

 

In assenza di informazioni puntuali, ancora non disponibili, per tenere conto delle plausibili asimmetrie nel ricorso ai diversi strumenti è stata proposta una analisi di scenario in cui si sono ipotizzati diversi take up sulla base di una classificazione dei settori per grado di rischio in relazione al tipo di restrizione all’attività ancora esistente. Si assume: un rischio elevato (alto take up delle misure) per i settori ancora bloccati da restrizioni (quelli connessi con le attività turistiche e di ristorazione e dei servizi ricreativi e culturali e per porzioni più limitate dei settori del commercio, dei trasporti e di altre attività dei servizi); un rischio medio per il comparto manifatturiero, benché risulti completamente sbloccato, in considerazione degli effetti indiretti della crisi, con esclusione dei comparti legati all’industria alimentare e chimico-farmaceutica; un rischio basso per i rimanenti settori. Nel complesso si valutano a rischio alto e medio, rispettivamente, circa l’11 e il 46 per cento dei settori (in termini di valore della produzione). Si ipotizza un tasso di ricorso a una mensilità di integrazione salariale del 90 per cento per le imprese in settori ad alto rischio, del 50 per cento nei settori a medio rischio e del 20 per cento nei settori a basso rischio. Ne deriva un take up medio delle diverse forme di Cassa integrazione di poco superiore al 40 per cento.

 

Nel complesso le erogazioni raggiungono circa un terzo delle famiglie italiane, con incidenze differenziate che dipendono dalla natura e dalla selettività delle prestazioni percepite e dalla tipologia di soggetti che compongono i nuclei familiari (lavoratori dipendenti, autonomi o altro), e risultano in media pari al 47,9 per cento del reddito disponibile familiare mensile pre crisi (figura 1).

 

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I nuclei familiari con capofamiglia appartenente alle categorie interessate da indennità universali come, ad esempio, l’indennità di 600 euro per gli iscritti alle gestioni speciali dell’AGO (commercianti, artigiani e agricoltori), sono tutti raggiunti dal trasferimento. Diversa è la situazione per i nuclei con capofamiglia lavoratore autonomo (professionisti e collaboratori). Anche tale categoria riceve un’indennità in cifra fissa ma sottoposta a qualche forma di selettività riguardante il livello del reddito e il calo delle attività. Ne deriva che il beneficio raggiunge il 72 per cento circa dei nuclei familiari interessati.

 

I nuclei il cui capofamiglia è un lavoratore dipendente hanno nel loro complesso un tasso di copertura del beneficio inferiore. I lavoratori dipendenti, infatti, sono interessati prevalentemente dalla Cassa integrazione, che ha una selettività intrinseca in quanto viene percepita solo in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. Ciò implica che l’incidenza di nuclei beneficiati tra quelli con capofamiglia lavoratore dipendente risulta superiore nei settori più coinvolti dall’emergenza (75,8 per cento nel caso di settori ad alto rischio contro il 38,6 in quelli a rischio medio-basso). Tuttavia, poiché i settori a rischio medio-basso costituiscono una ampia quota del sistema produttivo (54 per cento della produzione), la quota dei trasferimenti diretti ai nuclei con capofamiglia lavoratore dipendente addetto a tali settori costituisce circa la metà del totale delle erogazioni complessive (a fronte del 18,3 per cento rilevabile per quelli dei settori ad alto rischio).

 

L’incidenza molto bassa di beneficiari tra i nuclei con capofamiglia non lavoratore (circa l’11 per cento) è frutto della esplicita esclusione dai benefici dei pensionati, che si suppone non abbiano sofferto cadute di reddito. Per questa categoria i benefici possono derivare o dalla presenza nel nucleo di membri (non capofamiglia) lavoratori, oppure dalla attribuzione del REM. Per questa categoria di famiglie il REM costituisce circa il 40 per cento del complesso dei benefici ricevuti.

 

Nel complesso circa il 70,6 per cento dei benefici erogati raggiunge il lavoro dipendente, il 24,8 per cento il lavoro autonomo, mentre è stanziato per il REM circa il 4,6 per cento delle risorse complessive.

 

La distribuzione per decili di reddito dei benefici evidenzia una maggiore presenza dei nuclei beneficiati in corrispondenza dei decili più bassi: si passa da un’incidenza del 46,4 per cento del primo decile al 24,7 per cento del decimo decile (figura 2). La distribuzione del complesso delle risorse tra i decili risulta invece sostanzialmente omogenea. Dal momento che la Cassa integrazione risulta solo parzialmente correlata con il reddito per la presenza di massimali e le altre indennità una-tantum sono corrisposte in cifra fissa, le prestazioni erogate costituiscono una quota più elevata del reddito dei più poveri. I trasferimenti coprono il 90,9 per cento del reddito familiare mensile medio pre crisi dei nuclei beneficiari del secondo decile, contro circa il 20,6 per cento dei nuclei beneficiari del decimo decile. Per il primo decile, il REM costituisce poco meno del 50 per cento del totale dei trasferimenti ricevuti.

 

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Infine, il 54 per cento circa delle erogazioni andrebbe a famiglie residenti nel Nord, mentre il 26 per cento affluirebbe alle famiglie del Sud. Le erogazioni a favore del lavoro dipendente costituiscono circa i tre quarti dei benefici che affluiscono al Nord, contro un 71 per cento medio nazionale, mentre al Sud la quota dei benefici totali derivanti dal REM risulta doppia rispetto alla media (8,4 per cento, contro il 4,6).

 

Nei prossimi mesi sarà necessario un costante monitoraggio delle prestazioni erogate, sia per verificare l’andamento della spesa rispetto alle coperture, sia per trarne informazioni sull’andamento dell’occupazione nei vari settori. È cruciale che l’INPS diffonda i dati delle domande e dei pagamenti, in maniera tempestiva e calendarizzata e, soprattutto, che diffonda, per le integrazioni salariali, i dati sulle ore autorizzate effettivamente utilizzate (il “tiraggio”).

 

Con le novità apportate dal decreto in esame le indennità una tantum risultano diversificate in termini di importo, di durata e di condizioni di accesso. In mancanza di informazioni certe sul differente impatto della crisi, le scelte differenziate sollevano qualche perplessità, soprattutto nella prospettiva, non escludibile a priori, che le indennità possano essere estese oltre maggio, come già sta accadendo per le integrazioni salariali.

 

In tema di compatibilità, anche dopo le precisazioni contenute nel DL in esame non è chiara, tranne quando espressamente prevista, la cumulabilità tra le indennità una tantum e le integrazioni salariali (in particolare la CIG COVID-19), le indennità per disoccupazione, il RdC e il REM. Andrebbe valutata l’opportunità di inserire una norma “cornice” che fissi la mutua incompatibilità tra tutte le prestazioni erogate sotto emergenza da COVID-19 o che ne chiarisca la portata prendendo spunto da quanto fatto con l’articolo 98 del decreto con rifermento all’indennità riconosciuta ai collaboratori attivi nel settore dello sport.

 

Infine, il maggiore importo cui possono avere accesso i lavoratori autonomi e i liberi professionisti senza Cassa a maggio, rispetto all’importo ricevibile ad aprile, si spiega con il fatto che nel frattempo la misura acquisisce una selettività più elevata facendo riferimento a situazioni di grave perdita di fatturato/redditi.

 

Gli interventi in favore delle imprese. – Tra le misure contenute nel decreto emergono quelle volte a sostenere la liquidità e il finanziamento delle imprese e quelle di sospensione ed esonero del pagamento delle imposte.

 

Le misure del primo tipo rispondono all’esigenza di affrontare la fase successiva a quella strettamente emergenziale alla quale sono state rivolte le misure finora introdotte. Si tratta in generale di misure caratterizzate da una più stringente selettività e differenziate in relazione alle dimensioni e alla natura giuridica dell’impresa. Un obiettivo generale che l’insieme di queste misure si pone è quello della patrimonializzazione delle imprese, per evitare il rischio che gli strumenti di sostegno del credito messi in campo nella fase emergenziale lascino la struttura finanziaria delle imprese troppo appesantita sul lato del debito, con la necessità di destinare il flusso di cassa dei prossimi anni ai rimborsi anziché al finanziamento degli investimenti. E questo in un momento in cui i mutamenti della domanda e dei modelli imprenditoriali obbligheranno probabilmente a costose operazione di riconversione.

 

Per le imprese di media dimensione e per quelle più grandi, le misure adottate sono finalizzate a rafforzare la loro struttura finanziaria prestando attenzione a un maggiore equilibrio delle fonti di finanziamento delle società e creare quindi condizioni più favorevoli per gli investimenti che saranno fondamentali per la ripresa e la riqualificazione delle attività produttive. Gli incentivi agli apporti di capitale sembrano quindi completare le agevolazioni per il finanziamento delle imprese che erano finora prevalentemente concentrate sul capitale di debito. Si può peraltro osservare che l’estensione della possibilità di ricorrere a ulteriori prestiti di natura obbligazionaria per un sottoinsieme delle imprese che beneficiano del credito di imposta, attraverso il canale privilegiato del Fondo Patrimonio PMI introdotto dal decreto, è strettamente subordinata all’apporto di capitale proprio nella stessa società, garantendo quindi un maggiore equilibrio tra le fonti di finanziamento esterne e interne.

 

Per le imprese beneficiarie, queste agevolazioni si affiancano temporaneamente all’ACE, determinando un forte potenziamento dell’incentivo alla capitalizzazione. Si deve tuttavia sottolineare che il beneficio è indirizzato a un numero ristretto di imprese dato che la classe di ricavo ammessa rappresenta meno del 5 per cento delle società di capitali (quasi 50.000, esclusi i settori non interessati dalla norma) e circa il 25 per cento dei ricavi complessivi.

 

Per le imprese più grandi, costituite come Società per Azioni, lo stesso obiettivo dovrebbe essere garantito dal Patrimonio Destinato; tuttavia, la maggior parte delle imprese, quelle con fatturato inferiore a 5 milioni, resta esclusa dagli incentivi al rafforzamento patrimoniale. Queste ultime non solo potrebbero subire un deterioramento maggiore dei loro bilanci, ma le difficoltà di reperire ulteriori finanziamenti potrebbe rallentare i loro investimenti e ostacolare la loro crescita dimensionale.

 

Infine va osservato che le agevolazioni per il rafforzamento patrimoniale sono soggette complessivamente a un limite di spesa che potrebbe essere insufficiente a beneficiare tutte le imprese interessate e i loro effetti finanziari si manifesteranno solo dal 2021: in particolare per le società la dimensione della agevolazione è condizionata alla effettiva chiusura del bilancio del 2020 per la determinazione delle perdite complessive realizzate.

 

Nell’ambito delle misure del secondo tipo, spiccano quelle che prevedono veri e propri esoneri dal pagamento delle imposte, come nel caso della abolizione del saldo 2019 e del primo acconto 2020 dell’IRAP per la maggior parte delle imprese. Trattandosi di una riduzione di imposta generalizzata e rilevante anche per molti settori che hanno risentito meno della emergenza, tale misura appare meno coerente con la finalità di indirizzare le risorse pubbliche alle imprese maggiormente colpite dalla crisi che sembra caratterizzare questa nuova fase di interventi. Già nei primi anni dopo la sua introduzione l’IRAP è stata oggetto di discussione e il mondo imprenditoriale ne ha richiesto ripetutamente la soppressione. Se questa misura dovesse rappresentare un primo passo in questa direzione emergerebbe la necessità di ripensare al quadro complessivo di tassazione delle imprese e del finanziamento del sistema sanitario.

 

Ecobonus e crediti di imposta cedibili. –La misura, ponendo integralmente a carico del bilancio pubblico gli interventi agevolati, appare finalizzata, oltre che a sostenere il settore dell’edilizia, a estendere la platea dei beneficiari, facendo venir meno l’ostacolo all’utilizzo di questa agevolazione per i proprietari di immobili che non dispongono di adeguata liquidità o non hanno sufficiente capienza fiscale per godere della detrazione.

 

Occorre però segnalare il possibile utilizzo della misura a fini elusivi o speculativi. L’entità della detrazione riduce sensibilmente il conflitto di interessi tra fornitori e acquirenti sul costo degli interventi agevolati, avendo entrambe le parti convenienza a massimizzare la spesa fino a raggiungere l’importo massimo agevolabile. Nel caso, ad esempio, di imprese che forniscano sia lavori di riqualificazione energetica che di ristrutturazione al medesimo cliente, potrebbe convenire alle parti sovrastimare il costo dei primi, al fine di finanziare con l’agevolazione anche i secondi. L’effettiva destinazione delle risorse pubbliche alle finalità previste dalla norma sarà quindi rimessa all’efficacia dei presidi antielusivi previsti.

 

Con riferimento agli effetti finanziari, si segnala un rischio di sottostima degli oneri ai fini dell’indebitamento netto. Ove i crediti di imposta ceduti e utilizzati in compensazione fossero classificati come “pagabili” (in quanto fruibili indipendentemente dall’esistenza o meno di un reddito tassabile nella dichiarazione dei redditi dell’acquirente), il relativo importo impatterebbe interamente sull’indebitamento netto nel biennio 2021-22, anziché essere distribuito nel tempo sulla base delle rate di fruibilità del credito. Tale considerazione si riferisce sia alle operazioni di ristrutturazione per le quali viene aumentata la misura del beneficio e ridotto il tempio per la relativa fruizione, sia per le restanti operazioni di ristrutturazione del biennio 2020-2021 per le quali la norma si limita a concedere la possibilità di optare per la trasformazione delle detrazioni in crediti d’imposta cedibili.

 

La finanza locale: risorse per l’emergenza e anticipazioni per il pagamento dei debiti commerciali. – Tra le principali linee di intervento volte a sostenere l’attività delle Amministrazioni locali vi sono l’attribuzione di risorse straordinarie e la concessione di anticipazioni di liquidità per il pagamento dei crediti commerciali. Viene inoltre ampliata la sfera di operatività delle Amministrazioni locali in materia di aiuti alle imprese del proprio territorio, nel rispetto del Quadro transitorio degli aiuti di Stato previsto dalla Commissione europea.

Sebbene i dati disponibili sugli andamenti cassa delle Amministrazioni locali del primo quadrimestre 2020 non consentano per il momento di formulare una valutazione attendibile in merito alla congruità delle risorse previste dal provvedimento rispetto alle esigenze complessive che si manifesteranno nel corso dei prossimi mesi a causa dell’emergenza sanitaria, le somme assegnate appaiono comunque significative e la loro tempestiva assegnazione potrà consentire di far fronte agli squilibri di bilancio che iniziano a manifestarsi, mentre il monitoraggio degli andamenti effettivi consentirà di valutare le reali esigenze.

 

La concessione di anticipazioni di liquidità per far fronte al pagamento dei debiti commerciali replica interventi già adottati in passato, mostrando come il problema dei ritardi di pagamento, benché in progressivo miglioramento, non sia stato ancora definitivamente risolto. Tale intervento costituisce tuttavia nel breve periodo uno strumento utile a diversi fini: a consentire l’erogazione di liquidità al mondo imprenditoriale che lavora con la pubblica amministrazione; a evitare il rischio di apertura della procedura di infrazione preannunciata dalla Corte di giustizia europea per gli eccessivi ritardi nei pagamenti; a limitare l’applicazione della misura sanzionatoria che prevede, a decorrere dal 2021, l’obbligo di accantonamenti aggiuntivi a carico degli Enti che non rispettano i tempi di pagamento. Tale rimedio temporaneo non deve però indurre a rinviare nel tempo quei processi di efficientamento della gestione dei bilanci necessari a evitare il ricorso a soluzioni contabili e pratiche commerciali scorrette. In assenza dell’adozione di tali processi di efficientamento, nonché di criteri di assegnazione delle risorse che assicurino per tutti gli enti il finanziamento delle funzioni fondamentali, il rimedio temporaneo rappresentato dalle anticipazioni di liquidità rischia di produrre nel medio periodo effetti opposti, in quanto la necessità di rimborsare le anticipazioni sottrarrà liquidità agli Enti che hanno dovuto farvi ricorso, contribuendo conseguentemente al rischio del riformarsi dei ritardi di pagamento.

 

Dal punto di vista contabile, non appare prudenziale assumere la totale assenza di riflessi sull’indebitamento netto con riferimento alla parte delle anticipazioni che verrà utilizzata dagli enti per il pagamento dei debiti commerciali di parte capitale, dato che la spesa in conto capitale degli enti territoriali è registrata in competenza economica al momento dell’esborso di cassa.

 

Le misure relative al settore sanitario. – Il DL 34/2020 aumenta le risorse destinate al rafforzamento dell’assistenza sanitaria complessivamente per 4,85 miliardi nel 2020, 0,609 nel 2021 e 1,609 nel 2022. Esse includono: 1) l’incremento per il 2020 del Fondo emergenze nazionali per 1,5 miliardi; 2) ulteriori 1,467 miliardi, sempre per il 2020, per l’attuazione dei piani di riorganizzazione volti ad assicurare il rafforzamento delle terapie intensive, che saranno trasferiti al Commissario straordinario; 3) l’aumento del finanziamento diretto al SSN, pari a 1,8 miliardi nel 2020, 0,6 nel 2021 e 1,6 nel 2022; 4) ulteriori limitati finanziamenti volti a rafforzare ulteriormente la sanità militare.

 

Il DL 34/2020, accanto ai rifinanziamenti, prevede una serie di misure specifiche e indica gli interventi autorizzati. L’onere di tali misure, per la parte che non passa attraverso la contabilità speciale del Commissario straordinario, è posto a carico del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard. Il costo complessivo, ove le Regioni attuassero gli interventi autorizzati, risulta quindi per i prossimi anni, e soprattutto per il 2021, superiore ai rifinanziamenti concessi: si tratta infatti di circa 1,7 miliardi, di cui 1,2 per l’assistenza territoriale, quasi 400 milioni per quella ospedaliera e circa 100 per la formazione. Per la copertura di parte dei nuovi interventi si fa probabilmente affidamento anche sui finanziamenti già decisi in passato (che prevedono un incremento di 1,5 miliardi nel 2021 rispetto al 2020). Ulteriori risorse potrebbero essere assegnate in futuro. Il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale per il 2022 peraltro non è stato ancora stabilito.

 

L’allarme legato alla diffusione del COVID-19 ha fatto emergere esigenze di rafforzamento del SSN, non solo limitate all’emergenza attuale, che dovranno trovare risposta ed è plausibile che questo richieda un aumento delle risorse, anche maggiore di quanto già deciso. In questa fase appare tuttavia quanto mai necessario porre attenzione al rapporto costo-efficacia nell’uso delle risorse e alle priorità emerse sia durante la diffusione della pandemia, sia nel periodo che l’ha preceduta.

 

Ad esempio, il miglioramento della rete dell’assistenza territoriale appare un obiettivo imprescindibile, in presenza di numerose carenze già da tempo segnalate e di una evidente insufficienza nella capacità di gestione delle emergenze sul territorio, che ha probabilmente contribuito ad accrescere il carico degli enti ospedalieri e a determinarne l’eccessivo affollamento nella fase più acuta della pandemia. L’incremento dei posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva, a sua volta, appare necessario per far fronte alle situazioni di emergenza e utile anche per gestire i picchi delle epidemie influenzali. Tuttavia, sarebbe auspicabile che nell’organizzazione dei servizi venisse adottata un’ampia flessibilità, sia nell’utilizzo del personale, che in fasi ordinarie potrebbe essere adibito anche a supportare altri servizi, come quelli di emergenza-urgenza, sia nella gestione delle strutture, considerando che nei più moderni ospedali i posti letto possono essere rapidamente trasformati e rivolti alle cure intensive. Ancora, è più che mai rilevante in questo momento che la gestione delle risorse sia consapevole e coerente con obiettivi di appropriatezza, di fronte alle numerose richieste che potrebbero pervenire anche dagli erogatori/produttori, soprattutto privati, di servizi.