Audizione su misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e la dote unica per i servizi

 

Il Consigliere dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Alberto Zanardi, è intervenuto oggi in audizione presso la Commissione Affari sociali della Camera impegnata nell’esame del disegno di legge che delega al Governo il riordino e il potenziamento delle misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e la dote unica per i servizi.

 

Zanardi ha approfondito gli obiettivi della riforma, effettuando una prima valutazione dell’intervento proposto e dei suoi effetti redistributivi su alcune figure tipo e sottolineando possibili profili di criticità relativi al riordino degli strumenti esistenti e al coordinamento con altre misure.

 

Ecco in sintesi gli elementi salienti toccati nel documento illustrato dal Consigliere UPB.

 

Obiettivi della riforma. – Le finalità della riforma sono sintetizzabili in tre obiettivi principali:

 

  1. potenziare le politiche di sostegno economico alle famiglie con figli per allineare le risorse investite a quelle di paesi che destinano fondi maggiori in questo campo e cercare di contrastare così il declino della natalità. A questo scopo è prevista la necessità di investire risorse aggiuntive e di importo crescente (3,2 miliardi il primo anno, 6,4 il secondo e 9,6 a regime) rispetto ai trasferimenti monetari assicurati dagli attuali strumenti che si intendono sostituire da coprire con risparmi di spesa non ancora identificati;

 

  1. razionalizzare le misure esistenti di sostegno dei figli superandone la frammentarietà e la disomogeneità e prevedendo l’introduzione di un assegno unico legato al reddito del genitore principale percettore in sostituzione degli assegni familiari per i figli a carico e delle altre misure esistenti a sostegno della natalità;

 

  1. sostenere economicamente le famiglie con figli attraverso l’introduzione di un nuovo istituto di carattere universale basato sulla situazione economica equivalente (ISEE) e consistente in una dote unica utilizzabile per il pagamento dei servizi per l’infanzia, anche al fine di favorire la partecipazione al mercato del lavoro di entrambi i genitori.

 

Gli effetti redistributivi della riforma: alcune simulazioni. – Una valutazione del nuovo assegno unico rispetto al regime vigente richiederebbe ulteriori informazioni oltre ai principi indicati dal DDL. Ipotizzando un assegno unico decrescente in misura lineare con il reddito del percettore principale del nucleo su tutto l’intervallo di eligibilità (0-100.000 euro), l’UPB, attraverso il proprio modello di microsimulazione tax-benefit, ha cercato di indagare i possibili effetti redistributivi rispetto al sistema attuale per famiglie-tipo rappresentative. Le analisi condotte evidenziano un costo per l’assegno unico compatibile, in prima approssimazione, con l’ammontare delle risorse implicitamente indicate dal DDL (24,9 miliardi, considerando una nostra valutazione dei risparmi associati con gli strumenti che il DDL intende abolire) e che lascia disponibili circa 2 miliardi per l’altro strumento previsto dalla delega, ossia la dote unica. Questa valutazione non include tuttavia: gli oneri per la progressiva eliminazione dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro che finanziano parte del costo degli assegni familiari; il costo della clausola di salvaguardia in base alla quale a ogni nucleo familiare è assicurato almeno l’ammontare di risorse riconosciute dall’attuale assetto normativo; i risparmi di spesa derivanti dall’integrazione tra assegno unico e reddito di cittadinanza (RdC). L’effetto netto di queste voci presumibilmente comporterà un aumento dell’onere complessivo del provvedimento.

 

Se l’attuale sistema di assegni e detrazioni risulta nel complesso maggiormente concentrato sui soggetti con redditi medio bassi, nel caso di una coppia monoreddito (lavoratore dipendente) con un figlio a carico minorenne con più di tre anni l’assegno unico garantisce intorno ai 15.000 euro di reddito familiare un beneficio sostanzialmente analogo a quello vigente. Per valori di reddito inferiori e superiori invece il nuovo assegno unico determina un regime più generoso.

 

Nel caso della famiglia con tre figli l’importo dell’assegno unico risulterebbe inferiore alla somma di assegni familiari e detrazioni per redditi molto elevati (oltre i 90.000 euro); per quasi tutte le famiglie più numerose invece il nuovo assegno risulterebbe penalizzante, in quanto sia gli assegni per il nucleo familiare sia le detrazioni risultano oggi particolarmente elevati. Ciò accade perché per queste famiglie più numerose sono previste delle maggiorazioni specifiche delle detrazioni ordinarie per figli a carico (200 euro a figlio) e una detrazione aggiuntiva di 1.200 euro erogata anche nel caso di incapienza.

 

Concentrandosi sull’età dei figli a carico, si ricaverebbe che l’assegno unico garantisce benefici maggiori di quelli vigenti di entità più o meno elevata per tutte le coppie monoreddito con un figlio a carico tranne nel caso in cui quest’ultimo abbia meno di tre anni e per redditi familiari prossimi ai 15.000 euro.

 

Con il nuovo regime si garantirebbero benefici particolarmente elevati ai lavoratori autonomi che attualmente non ricevono gli assegni al nucleo familiare. Ad esempio per una coppia monoreddito con figlio minorenne con più di tre anni il guadagno ammonterebbe a circa 1.600 euro. Il superamento della categorialità dei benefici se, da un lato, risponde a un principio di equità, dall’altro, pone alcuni problemi riguardo alla opportunità di utilizzare un indicatore affetto da distorsioni quale il reddito ai fini Irpef per graduare il beneficio, data anche la maggiore propensione dei lavoratori autonomi a occultare parte del proprio reddito.

 

Per quanto riguarda il secondo istituto previsto dal DDL, cioè la dote unica, si è ipotizzato un beneficio costante per famiglie con ISEE inferiore a una prima soglia e una sua riduzione lineare fino all’annullamento in corrispondenza di una seconda soglia ISEE di 4.800 euro maggiore della prima.

 

Partendo da queste assunzioni e da un vincolo finanziario di circa 2 miliardi, dalle simulazioni effettuate sempre con il modello UPB, risulterebbe che, in corrispondenza dell’importo massimo della dote previsto dal DDL (400 euro mensili), la dote potrebbe rimanere costante fino a una soglia ISEE pari a 5.000 euro per poi ridursi linearmente fino ad azzerarsi in corrispondenza di un livello ISEE di 9.800 euro. In questo caso il beneficio raggiungerebbe circa 545.000 bambini 0-2 anni (pari al 42 per cento di quelli totali) con un importo medio di 301 euro. Pertanto la dote sembrerebbe configurarsi come un beneficio essenzialmente destinato a famiglie povere. Sarebbe opportuno valutare se effettivamente siano queste le famiglie per le quali l’obbligo di cura dei figli rappresenti il principale impedimento alla partecipazione al mercato del lavoro.

 

Alcuni profili critici. – La riforma si inserisce nell’ambito delle attuali misure di sostegno a reddito e di contrasto alla povertà come il reddito di cittadinanza (RdC) e il bonus 80 euro, con le quali i nuovi istituti andrebbero necessariamente coordinati, sia sotto il profilo degli obiettivi sia dei criteri di erogazione e di funzionamento.

 

In particolare, il DDL prevede che l’assegno unico sia considerato per il calcolo di prestazioni di sostegno al reddito e che debba essere coordinato con l’erogazione del RdC “assicurando equilibrio e integrazione nell’applicazione delle due misure”. Questo coordinamento si presenta tuttavia problematico.

 

Il RdC è uno strumento di contrasto alla povertà nell’ambito del quale il livello del reddito che viene garantito è basato su una scala di equivalenza che svantaggia relativamente i nuclei più numerosi rispetto alla scala implicita dell’ISEE.

 

L’obiettivo del DDL di migliorare la condizione delle famiglie povere con figli a carico, e cioè di attribuire loro risorse maggiori di quelle riconosciute dal sistema vigente, richiederebbe o di rendere la scala di equivalenza sottostante il RdC tale da favorire maggiormente queste famiglie o di realizzare un’integrazione soltanto parziale tra questo strumento e l’assegno unico (ossia uno scomputo di parte dell’importo di quest’ultimo dal RdC).

 

Un secondo elemento di criticità è costituito dai due diversi meccanismi per stabilire l’accesso e l’ammontare, rispettivamente, dell’assegno unico e della dote unica. In entrambi i casi nel disegno degli strumenti si pone un trade-off tra i criteri di efficienza ed equità, la cui soluzione dipende anche dalle finalità dei singoli strumenti. Nel caso dell’assegno unico la riforma sembra privilegiare l’efficienza, incentivando la partecipazione al lavoro del genitore con il reddito meno elevato. Nel caso della dote unica la scelta è stata completamente diversa ponendo maggiore attenzione alle considerazioni di equità, in quanto il criterio di accesso è parametrato all’ISEE, che considera il nucleo familiare nel suo complesso e costituisce la misura più adeguata della sua capacità contributiva.

 

Vi è infine l’esigenza di un coordinamento tra le politiche a sostegno della domanda di servizi di cura per l’infanzia – nell’ambito delle quali rientra la dote unica – e quelle dirette ad ampliare l’offerta di servizi sul territorio. La dote unica garantirebbe un potere di acquisto diversificato tra le diverse aree del Paese data l’attuale disomogeneità nelle condizioni di offerta di servizi per l’infanzia sul territorio sia in termini di copertura sia di composizione (pubblico verso privato) con le conseguenti diversità nelle condizioni di accesso e di prezzo. Per superare questa distorsione andrebbero ridotti i divari territoriali nel livello di offerta dei servizi pubblici, soprattutto nel Mezzogiorno, obiettivo che del resto rientra tra le linee programmatiche indicate nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2019. In una prospettiva di più breve periodo sarebbe auspicabile considerare la possibilità di una diversificazione dell’ammontare della dote che tenga conto delle condizioni dell’offerta locale.