Pubblicato il Focus n. 6 “Il dibattito sulla flessibilità pensionistica”

 

Il Focus n. 6 fa il punto sul dibattito in corso per il reinserimento di margini di flessibilità nei requisiti di pensionamento fissati dalla riforma “Fornero” del 2011:

 

 

  • La riforma Fornero aveva l’obiettivo di mettere in equilibrio di lungo periodo il sistema pensionistico e contribuire al consolidamento fiscale. Il primo obiettivo richiedeva di far aumentare il tasso di occupazione nella fascia di età 55-64 anni, che in precedenza era tra i più bassi in Europa (circa 10 punti percentuali al di sotto della media dell’Area euro). Per effetto della riforma oggi il divario si è dimezzato (5 punti) ma è ancora rilevante.

 

  • L’aumento del tasso di occupazione nella fascia di età 55-64 si è però accompagnato (anche per effetto della crisi) a un declino del tasso di occupazione delle fasce di età più giovani (15-24 e 25-49 anni). Lo stesso è avvenuto, seppure in proporzioni minori in occasione delle due precedenti riforme pensionistiche, la “Maroni” del 2004 e la “Prodi” del 2007. L’intensità di questi andamenti divergenti sembra essere una peculiarità italiana.

 

  • La letteratura economica conferma la possibilità che, a ridosso di inasprimenti dei requisiti di pensionamento, si possa verificare un effetto di spiazzamento generazionale (crowding-out), tanto più forte quanto più ampi e repentini siano i cambiamenti e quanto meno predisposto sia il mercato del lavoro a favorire disimpegni graduali dei lavoratori anziani. L’introduzione della flessibilità in uscita potrebbe concorrere non solo a ridurre gli effetti di spiazzamento intergenerazionale dei lavoratori anziani su quelli giovani ma anche a sostenere la produttività del lavoro e ad assicurare un maggior adattamento delle regole di pensionamento alle esigenze individuali.

 

  • Nel recente dibattito sono emerse due proposte di flessibilità, la “Damiano” e la “Boeri”, che attualmente non sembrano essere all’ordine del giorno ma dalla cui analisi possono emergere indicazioni utili. Entrambe prevedono un canale di uscita aggiuntivo a quelli già esistenti, sulla base di uno “scambio” tra anticipazione del pensionamento rispetto ai normali requisiti e riduzione dell’importo della pensione. Nelle stime dell’UPB riferibili ai lavoratori dipendenti in senso stretto e ai lavoratori autonomi (esclusi i dipendenti pubblici), se tutti coloro che avessero l’opportunità di sfruttare la flessibilità effettivamente lo facessero, nel 2017 secondo la proposta “Damiano” ci sarebbe una maggiore spesa pubblica per oltre 3 miliardi di euro, crescente sino a raggiungere gli 8 miliardi nel 2024; la flessibilità “Boeri” peserebbe meno sui conti pubblici: da 650 milioni di euro del 2017 a 2,8 miliardi del 2024. Entrambe le proposte non sono neutrali da un punto di vista attuariale.

 

  • Nella proposta governativa dell’APE (Anticipo Pensionistico) la flessibilità verrebbe finanziata con il ricorso a un prestito bancario che, una volta raggiunti i requisiti per la normale uscita per vecchiaia o anzianità, il pensionato ripagherebbe tramite trattenute alla fonte sulla sua pensione; questa opzione implicherebbe abbattimenti significativamente superiori rispetto a quelli delle proposte ”Damiano” (al massimo 2 per cento per anno di anticipo) e “Boeri” (3 per cento all’anno). Il progetto governativo contempla anche l’attivazione di una detrazione fiscale, selettiva nelle condizioni economiche, per sostenere alcune categorie di pensionati nella restituzione del prestito.

 

  • Oltre all’APE (nella (a) versione generale e (b) versione sussidiata), sono in discussione altri strumenti pro flessibilità, e in particolare (c) misure specifiche per i lavoratori precoci, gli usurati e quelli con storie contributive ripartite tra più gestioni pensionistiche, oltre a (d) un’ottava salvaguardia per gli esodati. Il coordinamento di questi quattro strumenti costituisce uno degli snodi critici dell’intervento.