Audizione del Presidente dell’UPB nell’ambito dell’esame della legge di bilancio per il 2020

 

Il Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Giuseppe Pisauro, è stato ascoltato oggi in audizione dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato nell’ambito dell’esame preliminare della manovra economica per il triennio 2020-22.

 

Nel suo intervento il presidente Pisauro ha analizzato i contenuti della manovra – decreto 124/19 e DDL di bilancio – illustrando le valutazioni dell’UPB sul suo impianto complessivo e sugli andamenti delle principali grandezze di finanza pubblica, passando in rassegna i principali interventi ipotizzati e i loro effetti, sottolineandone aspetti condivisibili e elementi di criticità.

 

In estrema sintesi alcuni dei punti salienti evidenziati nel corso dell’audizione.

 

La crescita resta debole Successivamente alla pubblicazione della NADEF gli indicatori congiunturali sono marginalmente migliorati, in un contesto economico che però resta debole. Come anticipato dall’UPB nella sua Nota sulla congiuntura di ottobre, nel terzo trimestre dell’anno il PIL è aumentato in termini congiunturali dello 0,1 per cento. La previsione, sulla base dei modelli di breve termine, dell’UPB indica per lo scorcio finale dell’anno una variazione del PIL appena positiva. Nel complesso del 2019 il PIL aumenterebbe dello 0,2 per cento, marginalmente al di sopra delle attese della NADEF 2019.

 

L’UPB ha effettuato un’analisi sugli effetti della manovra di bilancio sull’attività economica nel prossimo triennio. Secondo le simulazioni effettuate, la manovra di bilancio avrebbe un effetto espansivo sul PIL reale nel complesso del triennio 2020-22 di 0,3 punti percentuali, appena al di sotto di quello stimato dal MEF nel DPB (0,4 punti).

 

Le grandi cifre della manovra e la zavorra delle clausole – Dopo un deficit nel 2020 al livello degli ultimi due anni (2,2 per cento del PIL), la manovra prevede una riduzione del disavanzo pubblico programmatico a partire dal 2021. Il miglioramento previsto per il 2021 e il 2022 è peraltro unicamente attribuibile alla presenza di una parte ancora rilevante delle clausole di salvaguardia. Queste ultime vengono infatti disattivate solo per un terzo e un decimo e restano presenti nei conti per importi pari rispettivamente a 19 miliardi nel 2021 e a 25,8 miliardi nel 2022 (1,0 e all’1,3 per cento del PIL) senza che nessuna indicazione programmatica circa il loro trattamento futuro venga fornita nella NADEF o nel DPB. Senza il contributo delle clausole, il deficit – in un esercizio puramente meccanico – risulterebbe pari al 2,8 per cento del PIL nel 2021 e al 2,7 per cento nel 2022. Inoltre, sempre In termini puramente meccanici, le clausole garantirebbero oltre la metà della riduzione programmatica del rapporto debito PIL nel biennio 2021-22.

 

Un secondo aspetto problematico della manovra è relativo agli andamenti fortemente divergenti previsti per le spese e le entrate complessive. Al netto delle clausole di salvaguardia, le maggiori entrate nette – pari a 7,5 miliardi nel 2020 – si riducono progressivamente (a 5,3 e a 3,9 miliardi nel 2021 e nel 2022); le maggiori spese nette, molto inferiori nel primo anno (0,7 miliardi), crescono invece sensibilmente, raggiungendo gli 8,5 miliardi nel 2021 e gli 11,3 miliardi nel 2022, con una componente preponderante di quelle di natura corrente. La manovra determina spese nette di conto capitale negative nel 2020, positive di 2 e 4 miliardi nel biennio successivo, gli aumenti previsti nell’articolato vengono infatti limitati dalla riduzione di altri stanziamenti di bilancio.

 

Meno incertezze ma restano i rischi – Rispetto a quanto ipotizzato nella NADEF, la manovra fuga alcuni elementi di incertezza. In particolare, ridimensiona, rispetto agli originari 7 miliardi previsti per il 2020, l’apporto delle misure di contrasto all’evasione fiscale, ora oggetto di quantificazioni più prudenti e realistiche.

 

Le grandezze di finanza pubblica appaiono in ogni caso soggette a rischi e incertezze derivanti dall’andamento del quadro macroeconomico. Un forte peggioramento del contesto internazionale potrebbe influire negativamente sulla domanda estera rivolta al nostro Paese e quindi sulla crescita del PIL, che potrebbe risultare inferiore a quella dello scenario programmatico prospettato nella NADEF. Inoltre, sul fronte dei tassi di interesse, la situazione favorevole dovuta alla loro recente riduzione è soggetta a incertezza, con rischi sulla spesa per l’onere del servizio del debito.

 

Dal contrasto all’evasione agli incentivi ai pagamenti tracciabili – Nell’ambito della manovra risorse per 3 miliardi nel 2020, 3,7 nel 2021 e 3,5 nel 2022 provengono dalle misure di contrasto dell’evasione fiscale e di incentivo all’utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili introdotte con il decreto fiscale. Queste misure appaiono condivisibili dal punto di vista del merito e la loro valutazione finanziaria risulta sufficientemente prudenziale. A queste norme si aggiungono gli interventi, sempre finalizzati al contrasto dell’evasione, previsti nel DDL di bilancio, dai quali sono attesi maggiori spese per 3 miliardi in ciascun anno del biennio 2021-22 e maggiori entrate per 0,2 miliardi nel 2020, 1,3 nel 2021 e 1,1 nel 2022.

 

Le misure, che non includono forme di condono fiscale, possono essere suddivise in quattro diverse tipologie le quali rispondono a quattro finalità differenti: 1) contrastare frodi in materia di IVA e accisa in ambiti specifici; 2) ostacolare le indebite compensazioni di imposta; 3) ampliare e a rendere più tempestive le informazioni a disposizione dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza; 4) incentivare l’uso di forme di pagamento alternative al contante.

 

Tra le nuove misure previste rientra la norma del DDL di bilancio che prevede la possibilità per l’Agenzia delle entrate di integrare, previa pseudonimizzazione dei dati personali, le banche dati di cui già dispone con i dati dell’archivio dei rapporti finanziari per definire profili di rischio utili a far emergere posizioni da sottoporre a controllo o per incentivare l’adempimento spontaneo del contribuente. La portata innovativa della norma, risiede nella possibilità per l’Agenzia delle entrate di passare da logiche deduttive a logiche induttive nella propria attività di controllo, grazie al trattamento automatico di grandi masse di dati a monte della determinazione dei criteri di rischio. L’efficacia della norma, dipende tuttavia in modo cruciale: 1) dalla capacità dell’Agenzia di sfruttare il potenziale informativo che avrà a disposizione e cioè di poter disporre delle adeguate competenze statistico-informatiche e di risorse umane professionalmente idonee a questo scopo; 2) dall’effettivo superamento delle problematiche connesse con il trattamento dei dati personali. In merito a quest’ultimo aspetto la norma del DDL di bilancio prevede l’inclusione dell’attività di prevenzione e contrasto dell’evasione fiscale tra quelle per le quali è prevista la limitazione dei diritti dell’interessato con riferimento ai dati utilizzati. Andrebbe approfondito se la norma così come proposta nel DDL di bilancio sia effettivamente sufficiente a consentire la limitazione dei diritti, ossia se siano previsti tutti gli elementi necessari richiesti dall’articolo 23 del Regolamento generale sulla protezione dei dati.

 

Con l’obbligo generalizzato di memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi, l’entrata in vigore della lotteria degli scontrini, il suo potenziamento nel caso di pagamenti tracciabili, la previsione di sanzioni in caso di comportamenti volti a eludere l’obbligo e la limitazione, seppure timida, all’utilizzo del contante si prosegue nella direzione di contrastare l’evasione concentrando l’attenzione sullo stadio finale della catena degli scambi commerciali (i consumatori finali). Si contrasta in particolare la parte di evasione connessa con l’omissione della dichiarazione. Tutti questi strumenti che ampliano la disponibilità di informazioni e ne aumentano la tempestività, possono contribuire a migliorare la capacità di analisi e di controllo preventivo dell’Amministrazione e accrescere l’adempimento spontaneo. Tuttavia tali misure potrebbero incentivare forme di evasione con consenso (quelle in cui esiste un accordo tra acquirente e venditore), ampliando anziché riducendo l’evasione nelle cessioni con il consumatore finale. Questo tipo di evasione, sicuramente più difficile da contrastare, non è ancora stata affrontata con determinazione.In presenza di un’emersione dei costi favorita dall’obbligatorietà della fatturazione elettronica e della trasmissione telematica dei corrispettivi, l’aumento dell’evasione con consenso potrebbe portare anche a una perdita di gettito. Questo fenomeno andrebbe contrastato dalla previsione di adeguati controlli sulla stabilità e credibilità dei margini di ricavo.

 

Un meccanismo di contrasto di interessi che disincentivi l’evasione con consenso nello stadio finale della catena degli scambi non può che derivare dall’introduzione di corposi incentivi per l’utilizzo di mezzi di pagamento diversi dal contante e da un limite stringente all’impiego di quest’ultimo. È inoltre auspicabile il raggiungimento di un consenso generale sulla necessità di ridurre le spese associate all’utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili soprattutto per quelli di importo molto limitato.

 

Le misure sulla tassazione delle imprese. – La manovra di bilancio determina complessivamente, in termini di cassa, un maggiore prelievo nel 2020 sulle società di capitali pari a 1,9 miliardi; negli anni successivi, gli effetti delle diverse misure sostanzialmente si compensano e dal 2023 producono una riduzione del gettito di 1,2 miliardi. In generale, si ripropone uno schema di intervento simile a quello utilizzato negli ultimi anni: il maggiore gettito del primo anno è determinato da misure di natura straordinaria; vengono prorogati ed estesi a sostegno delle imprese gli incentivi agli investimenti (super e iper ammortamento e il credito d’imposta); infine, per la terza volta in un anno, viene modificato il regime di tassazione Ires. Infatti, il DDL di bilancio reintroduce dal 2019 il regime ACE e contestualmente prevede l’abrogazione dell’aliquota agevolata per la quota di utili di esercizio accantonata a riserva disponibile introdotta con il DL 34/2019. Sebbene la normativa per il 2019 sia stata modificata per tre volte, sul piano sostanziale il regime dell’ACE rimane in vigore senza soluzione di continuità. L’unica differenza è che l’aliquota nozionale utilizzata per quantificare il rendimento figurativo viene ridotta dall’1,5 all’1,3 per cento

 

L’UPB, utilizzando il proprio modello di microsimulazione, ha quantificato gli effetti redistributivi sia sulle società non finanziarie sia su quelle finanziarie delle modifiche apportate al regime Ires e della proroga del super e dell’iper ammortamento. Dalle simulazioni emerge che nel 2020 il complesso delle società non finanziarie registrerebbe un aggravio di imposta pari allo 0,7 per cento del prelievo. In particolare, l’aggravio derivante dall’abolizione dell’aliquota agevolata è solo in parte compensato dai benefici derivanti dalla reintroduzione dell’ACE (mitigati dalla riduzione della aliquota nozionale di remunerazione del capitale) e della proroga del super e dell’iper ammortamento. Saranno le società non finanziarie medio-grandi a subire l’aggravio maggiore (intorno all’1,3 per cento del gettito), nonostante siano quelle che ricevono anche maggiori benefici dalla proroga del super e dell’iper ammortamento (tra lo 0,6 e lo 0,8 per cento del gettito). Simmetricamente, le società non finanziarie di minori dimensioni godono del beneficio maggiore (tra lo 0,4 e l’1,4 per cento del gettito) essenzialmente per effetto dell’impatto positivo dell’ACE (dell’ordine del 3-4 per cento del gettito). Infine, le società del settore finanziario, che sono escluse dal regime agevolato sugli utili non distribuiti, beneficiano integralmente della reintroduzione dell’ACE sebbene mitigata dalla minore aliquota nozionale sul capitale (6,7 per cento del gettito).

 

La stretta sul regime sostitutivo per le partite IVA – Il DDL di bilancio introduce alcune modifiche ai regimi sostitutivi previsti per le imprese individuali e i lavoratori autonomi dalla legge di bilancio per il 2019. Da un lato, abroga il regime sostitutivo per i lavoratori autonomi e le imprese individuali con ricavi compresi tra 65.000 e 100.000 euro che sarebbe entrato in vigore dal 2020; dall’altro introduce alcuni limiti miranti a ridurre i margini per comportamenti elusivi con riferimento al regime forfettario previsto per lavoratori autonomi e le imprese individuali con ricavi inferiori a 65.000 euro. Nonostante gli interventi adottati, resta molto ampio, a parità di reddito, il differenziale fiscale tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti. Persiste inoltre il contrasto con lo spirito originario sottostante l’introduzione dei primi regimi forfettari, che puntava a semplificare la gestione amministrativa e a ridurre il carico fiscale esclusivamente per le micro imprese.

 

Misure sulle tax expenditures. – Le spese fiscali sono da tempo oggetto di particolare attenzione sia nella legislazione (iniziative di analisi e monitoraggio al fine di un loro riassetto e una loro razionalizzazione) sia nel dibattito politico (come possibile fonte di copertura finanziaria di nuovi provvedimenti). Come nelle manovre di bilancio degli scorsi anni, anche nella manovra per il triennio 2020-22 non vi è traccia di un riassetto o di una razionalizzazione delle spese fiscali. Al contrario, la manovra prevede il rinnovo mediante proroga di diverse spese fiscali (si pensi, a titolo esemplificativo, a quelle sulle ristrutturazioni edilizie e sulla riqualificazione energetica), aumenta l’entità di certe altre rispetto alla legislazione vigente (ad esempio nel caso della cedolare secca agevolata sulla locazione nei comuni ad alta densità abitativa), ne introduce di nuove (come nel caso del bonus facciate). La manovra contiene tuttavia un timido e iniziale tentativo di ridurre le spese fiscali connesse con l’Irpef limitando le detrazioni di alcune spese al 19 per cento oltre un certo livello di reddito con effetti di recupero di gettito limitatissimi.

 

Cedolare secca sugli affitti a canone concordato. –  Il DDL di bilancio rende permanente la misura dell’aliquota della cedolare secca sugli affitti a canone concordato nei Comuni ad alta densità abitativa e nei capoluoghi di provincia e nei comuni limitrofi.

 

Il numero di contribuenti con reddito sottoposto a cedolare secca (sia quella ordinaria sia quella agevolata) è progressivamente aumentato nel tempo con una dinamica che mostra segni di rallentamento, ma che non sembra ancora essersi esaurita. Dalle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2018 emerge che nei comuni ad alta tensione abitativa la quota dei contribuenti con cedolare ad aliquota ridotta sul totale dei contribuenti con cedolare secca è pari al 38,3 per cento. L’incidenza maggiore dell’agevolazione si riscontra nel Nord-Est (e, in particolare, nei comuni dell’Emilia-Romagna), in cui i contratti a canone concordato sono più della metà del totale. L’incidenza più bassa si osserva nel Nord-Ovest e nel Sud e in generale nei comuni non capoluogo, mentre tra i comuni capoluogo l’agevolazione sembra generalmente meno diffusa nei capoluoghi di regione, specialmente al Sud.

 

Il ricorso alla cedolare secca (sia ordinaria sia agevolata) è stato prevalentemente ad appannaggio dei contribuenti a reddito più elevato: oltre la metà dell’imponibile della cedolare secca infatti è percepito dal 10 per cento dei contribuenti più ricchi. La cedolare secca potrebbe risultare tuttavia meno regressiva qualora parte del risparmio di imposta si fosse riversato sui canoni di locazione come sembrerebbe apparire da alcune analisi preliminari.

 

Limitazione delle detrazioni Irpef al 19 per cento. – Si prevede la non detraibilità di tali spese per i contribuenti con reddito complessivo superiore a 240.000 euro e una detraibilità soltanto parziale – secondo un coefficiente che decresce linearmente rispetto al reddito – per i contribuenti con reddito tra i 120.000 e i 240.000 euro.

 

Per il complesso dei contribuenti le spese interessate dalla misura (ossia gli importi sui quali calcolare la detrazione del 19 per cento) ammontano a 23,5 miliardi; a queste corrispondono detrazioni (risparmi di imposta) di circa 4,5 miliardi, l’11,4 per cento del totale delle tax expenditures relative all’Irpef pari a 39,3 miliardi.

 

Il criterio di selettività adottato dalla norma coinvolge una platea di contribuenti a reddito elevato estremamente ridotta da cui consegue che l’intervento finisce per non incidere significativamente sull’entità complessiva delle detrazioni. Infatti, i soggetti con reddito superiore a 240.000 euro costituiscono soltanto lo 0,1 per cento del totale dei contribuenti, mentre quelli con reddito compreso tra 120.000 e 240.000 euro sono appena lo 0,6 per cento. Ne deriva che la quota complessiva delle detrazioni coinvolte nella riforma ammonta a solo il 2,9 per cento del totale e ciò nonostante che la quota di contribuenti in queste fasce di reddito che usufruiscono delle detrazioni sia quasi doppia rispetto a quella per redditi inferiori a 120.000 euro (oltre 80 per cento, contro il 48) e che l’importo medio della detrazione sia molto più elevato (doppio se non triplo rispetto a quello dei contribuenti con reddito inferiore a 120.000 euro).

 

Le misure per le famiglie – Il DDL di bilancio prevede diverse misure a sostegno delle famiglie, alcune delle quali di carattere temporaneo, altre di carattere strutturale, per un effetto complessivo di maggiore spesa corrente di 612,2 milioni per il 2020, 1.044 milioni per il 2021 e 1.244 milioni per il 2022.

 

Tra le misure temporanee rientrano la proroga e il potenziamento di due misure legate alle nascite, ovvero il bonus bebè e il congedo parentale obbligatorio per i padri. Tra le misure di carattere strutturale si figurano l’istituzione di un Fondo per l’assegno universale e i servizi alle famiglie nonché l’incremento per le famiglie con basso ISEE del contributo per il pagamento delle rette degli asili nido pubblici e privati. Indirettamente volto a sostenere le famiglie è anche lo stanziamento in conto capitale in favore dei Comuni destinato alla costruzione, ristrutturazione o messa in sicurezza degli asili nido. Va sottolineata la necessità di un adeguato coordinamento tra le politiche a sostegno della domanda e dell’offerta pubblica di asili nido, attraverso adeguate misure per ridurre i divari territoriali nella disponibilità di asili nido pubblici, al fine di evitare la concentrazione di un duplice beneficio, sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda, a favore dei cittadini residenti nei territori coperti dal servizio a scapito di quelli residenti nei territori che ne sono sprovvisti.

 

Le risorse per gli investimenti e la “clausola del 34 per cento” per il Mezzogiorno – La manovra prevede una serie di interventi relativi alla spesa per investimenti e contributi agli investimenti, che riguardano anche gli stanziamenti relativi all’anno in corso. Complessivamente, in termini di indebitamento netto delle AP le risorse destinate a tali finalità vengono ridotte per oltre 500 milioni nel 2019 e per oltre 1,1 miliardi nel 2020, mentre vengono incrementate nel 2021 e 2022, rispettivamente di circa 0,9 e 2,7 miliardi.

 

Per il 2020 si prevede inoltre, a garanzia per le regioni del Mezzogiorno e al fine di ridurre i divari territoriali, il rafforzamento della clausola di ripartizione in base alla popolazione delle risorse perla spesa ordinaria in conto capitale, passando dalla sola logica ex post al rispetto del principio del riequilibrio territoriale già in sede di riparto delle risorse. Tuttavia, l’esclusione dal perimetro applicativo della regola del 34 per cento degli stanziamenti previsti da leggi che fanno riferimento a “criteri o indicatori di attribuzione già individuati”, potrebbe, di fatto, ridurre l’efficacia della norma rispetto agli obiettivi dichiarati.