Audizione sulla distribuzione territoriale delle risorse pubbliche per aree regionali

 

Il Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Giuseppe Pisauro, è stato ascoltato oggi dalla Commissione Bilancio della Camera nell’ambito di un’audizione sul tema “Distribuzione territoriale delle risorse pubbliche per aree regionali”.

 

La redistribuzione interregionale operata dal bilancio pubblico è generalmente stimata mediante un indicatore sintetico, il cosiddetto “residuo fiscale”, sostanzialmente rappresentato dalla differenza tra spese per servizi erogati da qualsiasi amministrazione pubblica in una determinata regione ed entrate prodotte nella stessa regione. Un residuo fiscale negativo indica che il bilancio pubblico produce un flusso redistributivo in uscita da quell’area a favore del resto del Paese; se positivo il flusso redistributivo da parte del resto del Paese è diretto verso quell’area.

 

Gran parte della redistribuzione tra aree territoriali è il risultato dell’interazione tra programmi di spesa nazionali – i cui beneficiari ultimi sono gli individui sulla base di caratteristiche che prescindono dall’area di residenza (ad es. età, stato di salute, reddito) – e le modalità del finanziamento di tali programmi, tramite un sistema tributario basato sul principio di capacità contributiva. I residui fiscali per una regione o per qualsiasi altro territorio sono la somma dei residui fiscali degli individui che risiedono in quell’area. Non sono infatti i territori in quanto tali a sopportare le imposte e a beneficiare della spesa pubblica, ma gli individui. La riduzione dell’entità dei residui fiscali regionali richiederebbe una ridefinizione della ripartizione del prelievo tra livelli di governo e una corrispondente riduzione degli standard delle prestazioni garantite a livello nazionale, integrati da standard locali differenziati. In questo caso la residenza diventerebbe una caratteristica rilevante per un trattamento differenziato degli individui.

 

Le informazioni sui flussi interregionali oggi disponibili risentono di un elevato grado di incertezza, rendendo difficile una valutazione univoca. Due sono le principali fonti ufficiali disponibili per il calcolo dei residui fiscali: le analisi della Banca d’Italia (BdI) sulla finanza pubblica regionalizzata; la banca dati dei Conti pubblici territoriali (CPT) sviluppata dall’Agenzia per la coesione territoriale. Entrambe le fonti attribuiscono ai territori regionali le entrate e le spese degli enti della PA, seguendo criteri diversi. I valori dei residui fiscali calcolati nei due casi presentano quindi differenze significative anche se generalmente concordano sul segno della redistribuzione da e verso le varie regioni.

 

Dai dati risulta confermato che le entrate pro capite regionali sono all’incirca proporzionali al PIL pro capite regionale (sono maggiori nelle aree più ricche), mentre la distribuzione delle spese regionali è assai più uniforme rispetto al variare del reddito pro capite regionale. Ne consegue  che le regioni con PIL più elevato mostrano residui negativi (entrate maggiori delle spese) mentre le regioni con PIL più bassi evidenziano residui positivi (spese maggiori delle entrate).

 

Esaminando i valori per macro-regioni della spesa pro capite al netto degli interessi emerge che, fatto 100 il valore nazionale della spesa , nel Nord il valore è pari a 126 per le regioni a statuto speciale e a 99 per le regioni a statuto ordinario. Un valore, quest’ultimo, analogo a quello del Centro se si esclude il Lazio (134). Nel Sud infine i valori sono pari a 88 nel caso delle regioni a statuto ordinario e a 91 per quelle a statuto speciale.

 

Agli obiettivi di redistribuzione territoriale e di riduzione dei divari territoriali in termini di potenzialità di sviluppo sono dirette le politiche di coesione finanziate in parte da risorse UE e in parte da fondi nazionali. Queste politiche, pur sostenendo in particolare la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno, non hanno tuttavia impedito il declino sostanzialmente ininterrotto di tale spesa a decorrere dal 2001, con l’eccezione degli anni di chiusura delle erogazioni relative ai cicli di programmazione comunitari, in particolare il 2009 e il 2015. La riduzione ha peraltro riguardato anche il Centro-Nord, che registra a partire dal 2010 una flessione lievemente più marcata rispetto a quella del Mezzogiorno.

 

Le richieste recentemente avanzate dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna di avviare consultazioni con il governo per ottenere  forme e condizioni di autonomia rafforzata secondo quanto previsto dall’articolo 116, comma 3 della Costituzione (“federalismo differenziato”) sono di per sé neutrali sul piano fiscale e finanziario. Qualora alla richiesta di nuove funzioni venisse collegata quella di trattenere una quota rilevante delle imposte raccolte nel proprio territorio non commisurata alla spesa storica statale di cui si chiede la devoluzione, avvicinando il federalismo differenziato al modello delle Regioni a statuto speciale. Ciò comporterebbe evidentemente una riduzione dei flussi interregionali attualmente osservabili.