Rapporto sulla politica di bilancio 2018

Aggiornamento delle previsioni economiche a breve-medio termine. Valutazione del quadro programmatico del DPB e dei macro-capitoli della manovra. Coerenza tra andamenti di finanza pubblica e regole europee. Analisi degli effetti delle principali misure del DDL di bilancio. Il Rapporto sulla politica di bilancio 2018 sviluppa, approfondendoli e integrandoli con analisi ad hoc, i contenuti delle audizioni presso le Commissioni bilancio di Camera e Senato del 3 ottobre e del 7 novembre.

 

Il Rapporto si articola in tre capitoli: il primo relativo al quadro macroeconomico, alle recenti tendenze congiunturali e alla prevedibile evoluzione nei prossimi anni; il secondo dedicato alla visione d’assieme della manovra di bilancio e dei suoi contenuti, ai potenziali rischi per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, alla coerenza del quadro programmatico con le regole UE in materia di saldo strutturale, spesa e debito; l’ultimo, riservato alla valutazione degli interventi più significativi della manovra.

 

I principali indicatori congiunturali segnalano il proseguimento della fase positiva di ripresa a livello internazionale e per la stessa economia italiana. Il Governo conferma la stima di una crescita reale del PIL pari all’1,5% sia nel 2017 sia nel 2018. L’aggiornamento della previsione UPB che tiene conto delle più recenti tendenze congiunturali interne e internazionali e della composizione della manovra quale risulta dal DDL di bilancio e dal DL 148/2017 porta a consolidare la stima 2018 di crescita reale del PIL (’1,3-1,4% rispetto all’1,3% atteso a settembre). Per il biennio successivo si confermano sostanzialmente le stime UPB di settembre (con un incremento del PIL dell’1,4 per cento e di circa l’1 per cento rispettivamente per il 2019 e il 2020). Completa l’analisi dello scenario macroeconomico la verifica, sulla base del modello econometrico usato dall′UPB, dell’impatto della manovra sulla crescita del PIL: nella stima UPB, l’insieme degli interventi fornirebbe, rispetto allo scenario tendenziale, un impulso dello 0,2% tanto nel 2018 quanto nel 2019; nel 2020 il contributo delle misure si tradurrebbe in una flessione del PIL di poco inferiore a un decimo di punto.

 

La manovra di finanza pubblica per il triennio 2018-2020 (DL 148/2017 e il DDL di bilancio per il 2018) – che determina un maggiore indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche rispetto agli andamenti tendenziali a legislazione vigente di 0,6 punti percentuali di PIL sia nel 2018 che nel 2019, e di 0,1 punti nel 2020 – contiene misure espansive che si riducono nell’arco della programmazione: dall’1,6 per cento del PIL nel 2018 all’1,3 nel 2019 e allo 0,8 per cento nel 2020. Al netto della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia dell’IVA e delle accise (che vale 15,7 miliardi su una manovra complessiva da 28 miliardi nel 2018 ed è effettuata per il 70 per cento in deficit), i valori si ridimensionano e stabilizzano sullo 0,7-0,9 per cento del prodotto. Le risorse di copertura individuate sono pari, in rapporto al PIL, rispettivamente all’1 per cento nel 2018 e allo 0,6 nei due anni successivi.

 

Confrontando le previsioni di finanza pubblica del DPB con quelle pubblicate dalla Commissione europea dello scorso 9 novembre emergono differenze significative. A fronte di un indebitamento netto effettivo molto simile, il livello dell’indebitamento netto strutturale stimato dalla Commissione europea è molto meno favorevole rispetto a quello del DPB. Focalizzando l’attenzione, anziché sui livelli, sulle variazioni del saldo strutturale – meno condizionate dalle diverse stime dell’output gap adottate da Governo e Commissione – nel 2018 il miglioramento previsto dalla Commissione risulta pari a un solo decimo di punto percentuale di PIL contro quello previsto dal Governo, pari a tre decimi. Guardando alle componenti, si evince che – essendo uguale il miglioramento atteso per la spesa per interessi nel 2018 (due decimi) – la differenza è attribuibile a una diversa stima del saldo primario strutturale, previsto migliorare di un decimo di punto dal DPB e peggiorare – sempre di un decimo di punto percentuale di PIL – nelle stime della Commissione europea. Ancora più netto lo scarto ipotizzato per il 2019: previsioni diverse relativamente al saldo primario corretto per il ciclo portano la Commissione a stimare un deterioramento di quattro decimi di punto percentuale del saldo rispetto al 2018 a fronte di un miglioramento di quattro decimi riportato nel DPB; ciò principalmente perché la Commissione ha deciso di non includere nelle proprie previsioni gli aumenti dell’IVA e delle accise previsti dalle clausole di salvaguardia in quanto analoghi aumenti già previsti a legislazione vigente sono stati ripetutamente annullati nel recente passato.

 

Valutato in un orizzonte pluriennale, il quadro di finanza pubblica che incorpora la manovra presenta alcuni elementi di rilievo che hanno caratterizzato anche il più recente passato. Per il primo anno della programmazione viene sterilizzata la clausola di salvaguardia ed evitato un aumento delle aliquote di imposta anche grazie a un disavanzo maggiore del previsto, nell’ambito di un dialogo con le Istituzioni della UE per una interpretazione più flessibile delle regole del Patto di stabilità e crescita. Per il biennio successivo, una più intensa riduzione del deficit nominale e il “sostanziale” raggiungimento del pareggio strutturale – sebbene più graduali di quanto ipotizzato nel DEF di aprile – sono comunque ancora affidati alla presenza di rilevanti clausole di salvaguardia: 0,7 per cento del PIL nel 2019, 1 per cento nel 2020. Senza la presenza delle clausole, il deficit programmatico rimarrebbe, nel 2019, sostanzialmente sullo stesso livello previsto per il 2018 (1,6 per cento del PIL) e nel 2020 si ridurrebbe di alcuni decimi di punto (1,2 per cento del PIL) analogamente a quanto è avvenuto nel recente passato. Ciò deriva dal fatto che, al netto delle clausole, nella manovra si sommano misure con effetti complessivi non permanenti sulle entrate (si passa da circa 6,4 miliardi del 2018 a 1,7 e 1,6 miliardi nel 2019 e 2020) e crescenti sulle spese (1,6 miliardi circa nel 2018, 6,9 miliardi nel 2019 e 4,2 miliardi nel 2020). Senza considerare le clausole disattivate, la manovra presentata in Parlamento implica un miglioramento del deficit solo nel 2018, pari allo 0,3 per cento del PIL, e determina un peggioramento nei due anni successivi, rispettivamente dello 0,3 e dello 0,1 per cento.

 

L’azione programmatica che ne scaturisce appare in sostanza caratterizzata da un’ottica di “corto respiro”. A medio termine, anche se il DPB preannuncia progressi su politiche alternative essenziali per evitare l’attivazione degli aumenti di gettito previsti dalle clausole di salvaguardia (revisione della spesa e recupero di evasione ed elusione per il biennio 2019-2020), permane una incertezza sulla composizione e l’entità delle misure che saranno effettivamente attuate, dal momento che la politica di bilancio attualmente si fonda sull’aumento dell’IVA la cui disattivazione, tra l’altro, è per il 2019 inferiore a quanto indicato nella NADEF. A breve termine, per il 2018, il rinvio dell’introduzione dell’IRI (regime di tassazione proporzionale per gli imprenditori individuali e le società di persone), cambia le aspettative circa le caratteristiche e il livello di tassazione a carico del sistema produttivo. Per l’intero triennio della programmazione, e persino per l’anno in corso, mancano indicazioni su quali settori il Governo intende effettuare le privatizzazioni. Questi elementi rischiano di minare la credibilità stessa dei conti pubblici e, di conseguenza, la prevedibilità del quadro macroeconomico; ma soprattutto determinano incertezza sulle aspettative e, quindi, sulle scelte e i comportamenti, degli operatori economici.

 

La valutazione delle regole di bilancio è caratterizzata da forti elementi di criticità sia per il 2017, sia per il 2018. Per il 2017, le stime presentate nel DPB implicano rischi di deviazione significativa sia per la regola sul saldo strutturale sia per quella sulla spesa. Questi rischi sono sottolineati anche dalla recente opinione della Commissione europea sul DPB. Se tali andamenti venissero confermati ex post dai dati a consuntivo, potrebbero essere attivate le procedure di correzione dei saldi di bilancio previste, a livello nazionale, dalla normativa sul pareggio di bilancio e, a livello UE, dal Patto di stabilità e crescita. Per il 2018, l’aggiustamento strutturale prefigurato dal Governo nel DPB (0,3 punti percentuali) potrebbe essere sufficiente per il rispetto delle regole considerato che la Commissione ha riconosciuto la necessità di non ostacolare l’ancora incerta ripresa del nostro Paese con manovre eccessivamente restrittive. Tuttavia, tale aggiustamento deve essere considerato un obiettivo minimo e al momento, secondo le previsioni della Commissione, vi sarebbe un gap di 0,2 punti percentuali. Infine, la regola numerica sul debito pubblico non viene rispettata nel biennio 2017-18 con nessuno dei criteri previsti dalla normativa. Per gli anni successivi, la più decisa riduzione del debito in rapporto al PIL nel DPB si basa su un quadro a legislazione vigente molto incerto anche per la presenza di aumenti delle aliquote IVA più volte annullati negli anni recenti. In occasione dell’Opinione sul DPB, la Commissione ha richiesto al Governo chiarimenti sulla strategia e i “passi concreti” che intende adottare per la riduzione del rapporto debito/PIL e il rispetto della relativa regola.

 

Se si escludono le consuete misure di sterilizzazione totale e parziale delle clausole di salvaguardia su IVA e accise nel primo e nel secondo anno di programmazione, la manovra di bilancio si caratterizza per la presenza di alcuni interventi rilevanti dal punto di vista finanziario e del disegno generale di politica economica e da un numero elevato di misure di importo limitato e di tipo settoriale.

 

Risorse relativamente rilevanti sono dedicate al settore del pubblico impiego (complessivamente, 2,1 miliardi nel 2018 e 2,3 dal 2019) per il rinnovo dei contratti e assunzioni mirate in determinati comparti delle Amministrazioni pubbliche. Si prevedono poi interventi a favore dell’occupazione (principalmente attraverso misure di decontribuzione), per le famiglie e per il contrasto della povertà, di sostegno alle imprese (tra gli altri, la proroga dei cosiddetti iper e superammortamenti), di sostegno agli investimenti pubblici in calo praticamente ininterrotto dal 2010 (sono previsti maggiori stanziamenti di competenza di 940 milioni nel 2018, 1,94 miliardi nel 2019, 2,55 miliardi nel 2020, il cui impatto sul conto delle Amministrazioni pubbliche è stimato pari rispettivamente a 170 milioni nel 2018, 1,14 miliardi nel 2019 e a 1,37 miliardi nel 2020).

 

Sul versante delle coperture, i principali contributi derivano dal differimento al 2018 dell’introduzione dell’IRI (2 miliardi nel 2018 e 0,75 nel 2019) e dalle misure di contrasto dell’evasione fiscale e di potenziamento della riscossione (da 1,7 miliardi del 2018 a 3,4 nel 2020). Con riferimento a queste ultime misure, si prosegue nell’introduzione di disposizioni di natura preventiva che tendono, da un lato, a facilitare l’acquisizione di informazioni rilevanti per i controlli mirati da parte dell’Amministrazione finanziaria e, dall’altro, a incoraggiare l’adempimento fiscale e favorire la soluzione di controversie. Nel caso dell’estensione temporale e dei soggetti ammessi alla definizione agevolata dei carichi fiscali si ripropone una misura simile a un condono fiscale che, prevedendo l’estinzione di sanzioni e interessi di mora, premia i contribuenti meno meritevoli e indebolisce il senso di obbedienza fiscale.

 

Tra le misure più qualificanti rientrano le decontribuzioni permanenti sulle assunzioni dei giovani, che rispondono a una duplice esigenza: da un lato, incentivare l’occupazione di quella fascia di popolazione caratterizzata da più elevati tassi di disoccupazione e maggiore precarietà; dall’altro, accompagnare in maniera graduale la conclusione delle due decontribuzioni temporanee adottate nel 2015 e nel 2016 che andranno a esaurimento proprio nel 2018 e che avevano dato risultati apprezzabili anche per i giovani.

 

Questa misura ha il pregio di essere permanente e quindi funzionale, da un lato, a interrompere la sequenza di interventi di natura temporanea e a favorire la normalizzazione del mercato del lavoro e, dall’altro, a inserirsi in un percorso di graduale riduzione del cuneo sul lavoro. Inoltre ha una maggiore capacità di targeting sia rispetto ai lavoratori (i giovani e gli studenti) sia rispetto ai datori di lavoro (le imprese che non ridimensionano gli organici prima e dopo l’ottenimento dell’agevolazione).

 

Con riferimento al Reddito di inclusione (REI), il DDL di bilancio amplia progressivamente la platea dei potenziali soggetti interessati e aumenta l’importo massimo del beneficio. L’abolizione dei requisiti categoriali di accesso al REI ne fanno una misura a carattere universale, anche se condizionata alla prova dei mezzi e all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione lavorativa e inclusione sociale. Ulteriori limitazioni sono rappresentate dalla temporaneità del beneficio anche al perdurare delle condizioni di bisogno e dal fatto che l’importo è vincolato alle risorse disponibili (1,7 miliardi nel 2018 e circa 2,2 dal 2019).

 

L’impatto del REI nella nuova versione appare rilevante in relazione alla dimensione della povertà assoluta in Italia, benché risulti ancora insufficiente a superare il fenomeno. Infatti le famiglie beneficiarie sono circa il 44 per cento dei nuclei familiari in condizione di povertà assoluta e la maggiore capacità di copertura riguarda nuclei che risiedono nel Mezzogiorno e nel Centro, che non sono proprietari dell’abitazione di residenza, quelli nei quali il capofamiglia è cittadino italiano, non occupato e di età fino a 40 anni.

 

Nell’ipotesi che il REI raggiunga esclusivamente i nuclei in condizione di povertà assoluta, il poverty gap (distanza media del reddito dei poveri dalla soglia di riferimento) si ridurrebbe dal 20,7 all’11,2 per cento, mentre la misura non dovrebbe indurre modifiche nel poverty head count ratio (ovvero il numero di poveri sul totale della popolazione), in quanto il reddito di riferimento del REI, pari alle risorse di cui il nucleo potrà disporre dopo aver ricevuto il beneficio, appare generalmente inferiore alle soglie di povertà assoluta dell’Istat . In termini di impatto sulla diseguaglianza complessiva della distribuzione dei redditi disponibili, l’introduzione del REI comporterebbe una riduzione dell’indice di concentrazione di 0,4 punti.

 

Infine, relativamente alle misure di contrasto dell’evasione fiscale, va sottolineato che l’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria rappresenta un passo importante verso la digitalizzazione dei sistemi di adempimento dei contribuenti e di controllo della Amministrazione finanziaria e costituisce un ulteriore miglioramento degli strumenti che mirano a ridurre l’evasione senza consenso (cioè quelle in cui non esiste un accordo tra acquirente e venditore) nell’ambito delle transazioni business to business.

 

Rimane, tuttavia, il rischio che tale misura incentivi i soggetti IVA a puntare più intensivamente verso forme di evasione con consenso e ampli l’evasione nelle transazioni business to consumer. All’emersione dei costi favorita dall’obbligatorietà della fatturazione elettronica potrebbe corrispondere anche una perdita di gettito che, tuttavia, potrebbe essere contrastata dalla previsione di adeguati controlli sui margini di ricavo delle imprese. Con riferimento allo stadio finale della catena degli scambi commerciali sarebbe cruciale l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica e quello di comunicazione dei corrispettivi per i soggetti non tenuti all’emissione della fattura (commercianti, ristoratori, ecc.). L’affiancamento alla fatturazione elettronica di limiti all’uso del contante più stringenti di quelli attualmente vigenti potrebbe contribuire in modo significativo a contrastare l’evasione con consenso.