Pubblicato il Focus n. 9 “Gli ammortizzatori del mercato del lavoro dopo il Jobs Act “

 

L’assetto attuale del sistema delle politiche passive per il mercato del lavoro è il risultato di alcuni importanti provvedimenti introdotti tra il 2012 e il 2015 (dalla riforma “Fornero” al Jobs Act e relativi decreti attuativi) che ne hanno riformato profondamente il disegno complessivo. Questo Focus analizza gli interventi attuati, il cui obiettivo era di superare le carenze del nostro Paese nel campo degli ammortizzatori sociali e di potenziare le risorse dedicate al loro finanziamento cercando così di recuperare il gap dell’Italia nei confronti dei principali paesi europei.

 

Storicamente, infatti, l’Italia si è caratterizzata per un sistema di ammortizzatori sociali protettivo rivolto al comparto del lavoro dipendente a tempo indeterminato, con qualche diversità e complessità settoriale e categoriale. Al di fuori di tale perimetro le coperture rimanevano frammentarie e poco efficaci. Fino alle riforme del quadriennio 2012-15, inoltre, i vari istituti di tutela passiva e attiva avevano perso le loro specificità funzionali e finito per sovrapporsi non solo tra loro ma anche ad altri istituti del sistema di welfare rivolti ad ambiti diversi dal lavoro.

 

La riforma “Fornero” e il Jobs Act hanno ridefinito le specificità degli istituti del welfare pubblico, ribadendo la loro natura prettamente assicurativa e marcando le differenze interne tra strumenti di tutela dalla disoccupazione e strumenti di contrasto alla riduzione del reddito in costanza di rapporto lavorativo che, soprattutto all’indomani della crisi del 2008, si erano attenuate a causa degli utilizzi straordinari o in deroga. Al primo gruppo appartengono la nuova assicurazione per l’impiego per il lavoro subordinato (NASPI), l’indennità agricola per i lavoratori dipendenti addetti a mansioni agricole e l’indennità di disoccupazione per i parasubordinati e alcune categorie affini (DIS-COLL) (fig. 1). Nel secondo gruppo rientrano la Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO), la Cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) per il lavoro subordinato e la Cassa integrazione agricola per i lavoratori subordinati con contratto a tempo indeterminato addetti a mansioni agricole (CISOA) (fig. 2). La razionalizzazione e moderazione degli importi e della durata delle prestazioni e la previsione di requisiti di anzianità contributiva meno stringenti che nel passato ha permesso l’estensione della platea dei beneficiari.

 

 

Fig.2 sintesi F9_2018

 

Nella tabella 1 e nella figura 3 sono riportati i più recenti dati di spesa per ammortizzatori del mercato del lavoro dei bilanci consuntivi dell’INPS. Nel 2016 la maggiore voce di spesa era costituita dalla NASPI (circa 8 miliardi di euro, 12 se si includono le contribuzioni figurative), seguita dalla CIGS (circa 1,3 miliardi di euro, 2,5 al lordo dei contributi figurativi). Questi due strumenti hanno rappresentato, nel loro complesso, circa il 70 per cento della spesa destinata agli ammortizzatori contro la disoccupazione (pari a circa 13,6 miliardi di euro, che diventano quasi 21,4 miliardi al lordo dei contributi figurativi).

 

Fig.3 sintesi F9_2018

 

Guardando all’evoluzione della spesa nel tempo emerge che le indennità di mobilità e quelle di disoccupazione sono prima aumentate negli anni a ridosso della crisi economica (2008-2012), per poi ridursi gradualmente sia per il venir meno degli effetti più acuti della crisi sia, soprattutto, per la sostituzione di questi due strumenti prima con ASPI e mini ASPI e poi con la NASPI. Una medesima osservazione può essere fatta per le Casse integrazioni.

 

Passando ai beneficiari, dalla tabella 2 emerge che nel 2016 i destinatari di NASPI sono stati oltre 2 milioni e la NASPI ha rappresentato lo strumento che ha raggiunto la platea più ampia, mentre le Casse integrazioni, nel loro complesso (CIGO, CIGS, e CISOA), hanno beneficiato poco meno di 690.000 lavoratori. Guardando all’evoluzione dei beneficiari nel tempo, si riconoscono – come già sul lato della spesa – i segni della passata crisi economica, con il numero dei beneficiari che, nel complesso degli strumenti in costanza e dopo perdita di lavoro, raggiunge il massimo nel biennio 2009-2010, per poi ridursi gradualmente.

 

Anche se il 2016 non può ancora essere considerato un anno di completa normalizzazione è possibile confrontare i dati della spesa e dei beneficiari rispetto al 2007, anno in cui la crisi economica non aveva ancora colpito il mercato del lavoro italiano. Per quanto riguarda gli strumenti rivolti ai disoccupati, gli oltre 12 miliardi di risorse dedicate alla NASPI nel 2016 si confrontano con i circa 7,5 miliardi destinati nel 2007 alle indennità di mobilità (ordinaria e in deroga) e alle indennità di disoccupazione (nelle varie versioni, ordinaria, agricola, edile). Inoltre, gli oltre 2 milioni di percettori NASPI nel 2016 vanno confrontati con i circa 1,8 milioni di beneficiari delle indennità nel 2007. Per quanto riguarda le Casse, gli oltre 3,7 miliardi dedicati nel 2016, per via ordinaria e in deroga, a CIGO e CIGS superano di gran lunga gli 1,4 miliardi del 2007. Nel 2016 le Casse hanno raggiunto circa 690.000 lavoratori mentre nel 2007 circa 565.000, per un numero di ore indennizzate di circa 395 milioni nel 2016 e di 179 milioni nel 2007.

 

Nel complesso emerge dunque che le platee oggi raggiunte dagli ammortizzatori sociali sono significativamente più ampie rispetto a quelle ammesse ai benefici nell’immediato pre crisi. Tuttavia , sebbene vi sia stato un recupero negli ultimi anni (fig. 4), la spesa a fronte di fenomeni di disoccupazione (al netto del TFR) continua a rimanere in Italia più bassa rispetto a quella media degli altri paesi della UE15. Sulla base dei dati Eurostat sulla spesa per disoccupazione (dataset SESPROS) tra il 1995 e il 2007 l’Italia si colloca su valori inferiori di oltre un punto percentuale di PIL rispetto a quelli medi dei paesi appartenenti alla UE15 e ancora più bassi se il confronto è fatto rispetto a Francia e Germania. Negli anni successivi, con la crisi economica e l’applicazione in deroga degli ammortizzatori sociali, la spesa italiana raggiunge l’1,7 per cento del PIL allineandosi con quelli medi europei e superando quelli della Germania (in contrazione sin dalla metà degli anni ’90). Se si considera la spesa al netto delle liquidazioni di TFR connesse con la perdita di lavoro (0,97 per cento del PIL) l’Italia, pur avvicinandosi alla media UE15, resta, assieme al Regno Unito, il paese con minori esborsi per il contrasto della disoccupazione.

 

Fig.4 sintesi F9_2018

 

Infine, oltre a riformare il pilastro pubblico degli ammortizzatori, il Jobs Act ha introdotto due collegamenti strutturali importanti. Il primo, del tutto inesistente in precedenza, ha riguardato il mondo della Bilateralità; il secondo, solo in parte già esistente, ha riguardato le politiche attive. Il collegamento strutturale, quello tra politiche passive e politiche attive, ha definitivamente completato un processo di costruzione normativa aperto da anni. Tutte le prestazioni (incluse quelle dei Fondi di solidarietà) sono adesso subordinate al rispetto degli obblighi di attivazione, che per i trattamenti di disoccupazione includono anche l’accettazione dell’offerta “congrua” di lavoro, mentre per i trattamenti integrativi consistono nella partecipazione alle iniziative per il mantenimento del capitale umano, la riqualificazione e l’orientamento. A collegare il lato passivo e quello attivo delle politiche del lavoro concorrono anche le rinnovate versioni dei Contratti di solidarietà espansivi e dei Lavori socialmente utili, altri due istituti che il Jobs Act ha provato a revitalizzare.

 

I legami con le politiche attive sono divenuti estremamente importanti. Nel nuovo quadro degli strumenti passivi disegnati dal Jobs Act, la preservazione del capitale umano, la sua riqualificazione e la permanenza tra gli attivi sono elementi essenziali per un adeguato funzionamento dell’intero sistema di welfare. Per poter essere esteso alle platee più ampie mantenendo la sostenibilità della spesa, il sostegno delle nuove prestazioni ha assunto, per il singolo beneficiario, la forma e la sostanza di una circoscritta “finestra di opportunità” che, proprio perché di durata e di importo ridotti rispetto al passato, deve essere messa a frutto tempestivamente per superare le difficoltà lavorative e riacquisire autonomia reddituale. Tuttavia, se sulla carta il disegno dei collegamenti tra politiche passive e politiche attive appare oggi quasi completo e sufficientemente dettagliato, è tutta la “macchina” delle politiche attive (istituzioni, strumenti, governance, programmazione delle risorse, ecc.) che deve ancora essere rodata e dimostrare di realizzare le importanti funzioni sistemiche di cui è diventata depositaria.

 

Il Focus, pur non approfondendo il tema delle politiche attive, rileva che, da un lato, esistono elementi importanti ancora da completare, a cominciare dalla piena operatività dell’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro (ANPAL) e dei suoi rapporti con le Regioni e i provider di servizi e, dall’altro, sono ancora in fase sperimentale alcuni istituti di collegamento tra lato passivo e attivo delle politiche per il lavoro (dai Contratti di solidarietà espansivi ai nuovi Lavori socialmente utili, dall’Assegno di ricollocazione (ADR) al Reddito di inclusione (REI)). L’efficacia delle politiche attive è, a oggi, l’incognita più grossa sul successo del nuovo sistema di welfare per il lavoro. Il confronto internazionale mostra come l’Italia, anche dopo i progressi fatti registrare negli ultimi anni, dedichi ancora risorse inferiori ai principali partner, con la debolezza più evidente che si manifesta proprio sul fronte dei servizi per il mercato del lavoro all’interno delle politiche attive ai quali è dedicata una percentuale di PIL molto modesta (0,04 per cento), tra le più basse in Europa.

 

La sfida adesso è mantenere a regime i nuovi strumenti di tutela passiva e soprattutto migliorare la qualità e l’efficacia delle politiche attive dedicando al ventaglio delle loro funzioni risorse adeguate e permanenti.