Audizione della Presidente dell’UPB, Lilia Cavallari, nell’ambito dell’esame del DDL di bilancio per il 2024

Comunicato stampa

 

  • Scenario globale incerto rende più stringenti i vincoli di bilancio e comprime i margini di manovra per interventi futuri
  • Obiettivo crescita 2023 raggiungibile ma aumentano rischi al ribasso per prossimo anno
  • Manovra orientata al breve periodo, pesa su aspettative di famiglie e imprese
  • Pensioni, segnali di cambiamento per garantire la sostenibilità del sistema
  • Irpef e decontribuzioni: maggiori benefici per redditi medio-bassi e operai ma criticità da coperture e soglie di reddito
  • Determinante la piena attuazione del PNRR, possibile spinta al tra 2,3 e 2,6 punti di PIL

 

La Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Lilia Cavallari, è intervenuta oggi, 14 novembre, in audizione presso le Commissioni bilancio del Senato della Repubblica e Camera dei Deputati riunite in seduta congiunta, nell’ambito delle audizioni preliminari all’esame del disegno di legge sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e sul bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026.

Si fornisce di seguito un estratto dei principali elementi trattati, rinviando al sito dell’UPB (www.upbilancio.it) per il testo della memoria e la sua sintesi.

 

Quadro macroeconomico

Il contesto in cui si inserisce la manovra appare fragile e incerto, soprattutto con riferimento a un quadro globale scosso da nuovi conflitti e tensioni geopolitiche che si ripercuotono sui mercati ed espongono il sistema economico internazionale a shock non prevedibili e potenzialmente molto rilevanti. La congiuntura internazionale è debole, gli scambi mondiali dovrebbero accelerare l’anno prossimo, attesa che costituisce un’ipotesi chiave a supporto del quadro macroeconomico del Governo sulle previsioni di accelerazione del PIL dell’Italia nel 2024.

Nel nostro Paese il PIL non si espande, in media, da circa un anno, con un’attività produttiva stagnante frenata, oltre che dalla domanda estera, prevalentemente dal deterioramento della domanda interna. Nel terzo trimestre il PIL dell’Italia è rimasto invariato, sia in termini congiunturali sia rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il ristagno dell’attività produttiva in Italia si è accompagnato a una riduzione dell’inflazione scesa sotto il due per cento, principalmente per la forte flessione in ragione d’anno dei prezzi dei beni energetici, mentre si riduce lentamente l’inflazione dei beni alimentari.

 

Obiettivi Italia

Le previsioni macroeconomiche ufficiali, validate dall’UPB il mese scorso in occasione dell’audizione sulla NADEF, sono ancora accettabili per il 2023 mentre sono decisamente aumentati i rischi al ribasso per l’anno prossimo. Le previsioni macroeconomiche ufficiali sul PIL si collocano nella fascia alta delle attese rispetto a quelle di altre istituzioni e analisti privati. Gli obiettivi di crescita del Governo per il 2024 sono raggiungibili, ma solo sotto l’ipotesi che si rafforzi consistentemente la domanda estera e che avanzino speditamente i progetti del PNRR. Sullo sfondo, si fanno più evidenti le criticità legate all’integrale utilizzo dei fondi del Piano, affiancate dai rischi di natura esterna.

Il PNRR ha un ruolo centrale per il sostegno dell’economia e la sua attuazione non può ammettere rinvii.  Secondo stime dell’UPB, il pieno avanzamento dei progetti del PNRR fornirebbe uno stimolo all’attività economica che, se pur appena inferiori rispetto a quello prefigurato dal MEF, è determinante per lo sviluppo nel prossimo biennio. Nel 2026, anno in cui si dovrebbe completare il programma europeo RRF, le stime dell’UPB indicano che il PNRR dovrebbe spingere il livello del PIL tra i 2,3 e i 2,6 punti percentuali rispetto allo scenario in assenza del Piano. Affinché tale risultato sia raggiunto occorre avanzare speditamente con l’attuazione degli interventi.

 

La manovra di bilancio 2024-26

Alla luce delle condizioni di incertezza e instabilità dello scenario interno e internazionale, combinate con il peso del debito e la debole dinamica del PIL nel nostro paese, i già forti vincoli di bilancio si fanno più stringenti.

Sebbene l’impatto della manovra sia coerente con gli obiettivi programmatici stabiliti nella NADEF 2023 e nel DPB 2024, ogni rallentamento sulla strada obbligata di riduzione del debito rischia di comprimere ulteriormente i margini di manovra per affrontare condizioni sfavorevoli, quali shock inattesi o rallentamenti della crescita.

In una situazione soggetta a rischi di natura interna e soprattutto internazionale, la manovra appare improntata a un’ottica di breve periodo, con interventi temporanei e frammentati. Inoltre, per il secondo anno consecutivo, si prevede sia un aumento del deficit per il primo anno rispetto a quanto precedentemente stabilito, sia il rinvio all’anno finale dell’orizzonte previsivo – il 2026 – del conseguimento di un disavanzo inferiore al 3 per cento del PIL.

I già stretti margini di azione per il bilancio sono compressi dall’elevato onere sul servizio del debito, aggravato dal rialzo dei tassi di interesse e dal maggior ricorso all’indebitamento. Un aumento permanente della curva dei rendimenti sui titoli di Stato di un punto percentuale dal 2024 comporterebbe un aumento della spesa per interessi pari a circa 20,5 miliardi cumulati nel triennio 2024-26.

I principali beneficiari della manovra sono le famiglie attraverso interventi sui redditi dei lavoratori privati e pubblici, la conferma per il prossimo anno della riduzione dei contributi previdenziali a loro carico, il rifinanziamento del SSN, le misure a sostegno della genitorialità.

Gli interventi di revisione dell’Irpef e della maggiorazione della deduzione per gli incrementi occupazionali seppur formalmente temporanei sono inseriti negli schemi di decreto legislativo per l’attuazione della delega fiscale, che per loro natura dovrebbero prevedere misure di carattere strutturale. Di conseguenza sembra implicita l’intenzione di confermarli negli anni successivi. Ciò richiederà una copertura strutturale. I decreti attuativi individuano all’interno del sistema fiscale risorse strutturali che potrebbero essere utilizzate a tal fine, tuttavia tali risorse, derivanti in larga misura dall’abrogazione dell’ACE e dall’Imposta minima nazionale, non appaiono sufficienti per finanziare entrambe le misure negli anni successivi.

La manovra inizia ad affrontare parte delle criticità sugli andamenti di medio periodo della spesa che derivano dalle tendenze demografiche. In ambito previdenziale, rilevano le misure volte a preservare la sostenibilità del sistema pensionistico. Alla riproposizione, sebbene a condizioni più stringenti, dei canali temporanei di pensionamento con requisiti ridotti rispetto agli ordinari, si affiancano misure volte a incidere positivamente e strutturalmente sull’evoluzione futura della spesa pensionistica come l’anticipo dell’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti per l’uscita anticipata e la parificazione delle aliquote di rendimento di alcuni dipendenti pubblici. In campo sanitario, le risorse aggiuntive sono sufficienti a mantenere l’incidenza della spesa sul PIL al livello pre-pandemico, già allora sottoposto a tensioni.

Nell’immediato, si ricorre nuovamente ai tagli lineari, sia a livello centrale che territoriale. È auspicabile che la parte a carico delle Province e Città metropolitane e dei Comuni avvenga attraverso i fondi perequativi per tenere adeguatamente conto dei fabbisogni standard per tutte le funzioni fondamentali al fine di salvaguardare queste e i livelli essenziali delle prestazioni.

In conclusione, è importante rafforzare l’orientamento di medio periodo della programmazione di bilancio, anche attraverso un rinnovato impegno per l’attuazione del PNRR. Ciò comporta in particolare il mantenimento di saldi che assicurino una discesa continua del debito in rapporto al PIL in un contesto di crescita sostenuta da riforme e investimenti. Un orientamento di medio periodo fornirebbe certezza agli operatori economici con un impatto positivo sulla crescita e sarebbe coerente con il nuovo quadro di regole della UE che, se approvato, richiederà la predisposizione di piani pluriennali strutturali da mantenere nel tempo, superando l’impostazione a breve della politica di bilancio.

 

Taglio cuneo fiscale e rimodulazione Irpef

La misura più rilevante della manovra, il taglio del cuneo fiscale, pari a 10,7 miliardi, è finanziata temporaneamente in deficit: una eventuale ulteriore estensione richiederà l’individuazione di misure di copertura strutturali.

La conferma della decontribuzione (7 p.p. per retribuzioni lorde fino a 20.000 e 6 p.p. sopra tale soglia fino a 35.000 euro) garantisce un importante supporto ai redditi da lavoro bassi e medi, in particolare il reddito degli operai incrementando la capacità redistributiva del complesso del prelievo contributivo e fiscale. La modalità di calcolo per fasce fa però cessare ogni beneficio oltre la soglia di retribuzione lorda di 35.000 euro, con una perdita di circa 1.100 euro con il superamento di tale soglia per un solo euro. Nell’eventualità di ulteriori proroghe vi sarebbe un forte disincentivo al lavoro e si renderebbe più complesso il raggiungimento degli accordi di rinnovo contrattuale.

Dato l’onere rilevante della misura e dati i suoi problemi strutturali, in futuro sarà opportuno riflettere sulla necessità della sua riproposizione, anche alla luce della dinamica dei rinnovi contrattuali e, più in generale, del problema del sostegno dei lavoratori a rischio di povertà

La revisione dell’Irpef riduce da 4 a 3 le aliquote e gli scaglioni, aumenta la detrazione massima per redditi da lavoro dipendente equiparandola a quella relativa ai redditi da pensione e limita la detraibilità di alcuni oneri non sanitari sopra 50.000 euro di reddito. Nel complesso la misura, prevista per il solo 2024, assorbe risorse per 4,3 miliardi. Il beneficio è di 75 euro annui per i redditi da lavoro dipendente tra 8.000 e 15.000; superato tale importo e fino a 28.000 il vantaggio aumenta progressivamente con il reddito fino a un massimo di 260 euro; oltre i 50.000 euro il beneficio può azzerarsi per effetto del taglio delle detrazioni per oneri e spese non sanitarie.

Dalle analisi UPB, l’intervento sull’’Irpef risulta sostanzialmente neutrale dal punto di vista della redistribuzione. Includendo anche la decontribuzione, l’impatto delle misure diventa progressivo. L’effetto dei due interventi è più consistente per gli operai, con un vantaggio medio della categoria del 3,4 per cento dell’imponibile, seguiti dagli impiegati con un più contenuto 1,9 per cento. Per i pensionati, l’incidenza del beneficio e il beneficio assoluto risultano inferiori a quelli di operai e impiegati. La decontribuzione premia sempre, in rapporto al reddito, in modo particolare i più giovani, soprattutto entro i 35 anni.

Un ulteriore decontribuzione è prevista per il triennio 2024-26 in favore delle madri con tre o più figli di cui almeno uno minorenne e, per il solo 2024, anche per le madri con due o più figli di cui almeno uno di età inferiore ai dieci. La misura consiste nell’esonero totale dal versamento dei contributi sociali a carico del lavoratore fino a un massimale di 3.000 euro.

Gli effetti della misura si intrecciano e sovrappongono con quelli della decontribuzione parziale fino a 35.000 euro di retribuzione lorda e pertanto il vantaggio risulterà più ridotto di quello che si verificherà dal 2025, quando quest’ultima non sarà più in vigore.

Da un’analisi condotta con il modello di microsimulazione UPB emerge che nel complesso le lavoratrici madri con figli beneficeranno di una riduzione di contributi di circa 1,5 miliardi, per poco più della metà (790 milioni) dovuti alla decontribuzione parziale e per la restante parte alla misura specifica. Mentre la prima si rivolge, per costruzione, interamente a lavoratori con retribuzioni inferiori a 35.000 euro, l’intervento specifico per le madri è per circa il 57 per cento a vantaggio delle lavoratrici con meno di 35.000 euro e per il restante 43 per cento è invece destinato a lavoratrici con retribuzioni superiori.

 

Maggiorazione della deduzione per l’occupazione

La manovra introduce per il 2024 per i titolari di reddito di impresa e per gli esercenti arti e professioni un incentivo di natura temporanea alle nuove assunzioni nella forma di una maggiorazione della deducibilità del costo del lavoro del 20 per cento. L’entità del nuovo incentivo dipende dall’aliquota fiscale dell’impresa oltre che dalla presenza di una base imponibile sufficientemente capiente.

Nel caso delle società di capitali fiscalmente capienti, la maggiorazione del costo deducibile del 20 per cento si traduce in una riduzione percentuale dell’onere effettivo sostenuto dall’impresa di circa 6,3 punti che equivale a uno sgravio contributivo dell’ordine di 7,8 punti percentuali. Per le imprese capienti soggette all’Irpef la riduzione dell’onere del lavoro crescerà all’aumentare dell’aliquota marginale. Con un’aliquota marginale minima del 23 per cento l’onere si ridurrà del 5,9 per cento, con l’aliquota massima del 43 per cento l’onere si ridurrà del 15 per cento. Questo corrisponde a uno sgravio contributivo rispettivamente di 7,4 e 18,7 punti percentuali. Per le imprese non capienti il vantaggio in termini finanziari sarà inferiore in quanto differito nel tempo attraverso il meccanismo del riporto delle perdite.

Va infine notato che la misura si inserisce in un contesto caratterizzato dalla presenza, ormai da diversi anni, di altre agevolazioni con la stessa finalità che si configurano come esoneri parziali o totali dal versamento dei contributi sociali a carico del datore di lavoro. Pertanto, l’appetibilità della nuova misura e la sua efficacia nell’incentivare nuova occupazione vanno valutate alla luce delle coesistenti decontribuzioni in favore dei datori di lavoro e delle loro caratteristiche (entità dello sgravio, durata del beneficio, platea incentivata).

L’introduzione dell’Imposta minima nazionale richiede un attento ridisegno degli incentivi alle imprese per non pregiudicarne l’efficacia. Le modalità di concessione delle agevolazioni, incidendo in maniera differenziata sull’aliquota effettiva, influenzano la dimensione dell’imposizione integrativa che è calcolata a residuo rispetto all’aliquota minima del 15 per cento. Tali modalità possono dunque limitare l’impatto delle agevolazioni e per evitare tale esito queste ultime devono essere disegnate in modo da non ridurre significativamente l’aliquota effettiva.

 

Effetti abolizione dell’ACE e introduzione dell’imposta minima nazionale

Nell’ambito dei provvedimenti attuativi della legge delega per la riforma fiscale, viene disposta l’abrogazione dal 2024 dell’ACE, l’incentivo permanente alla capitalizzazione delle imprese. Mai esplicitamente richiamata nella legge delega, la misura viene collocata nell’ambito della revisione degli incentivi fiscali, ma di fatto costituisce una modifica strutturale del disegno dell’imposta sul reddito delle imprese che comporta la rinuncia alla neutralità tributaria sulla scelta delle fonti di finanziamento. Rappresentando solo il primo tassello di un progetto di riforma più ampio, le finalità della sua abolizione sono difficili da individuare.

Con l’abrogazione dell’ACE si ripristina la maggiore convenienza fiscale per il finanziamento con capitale di terzi rispetto al capitale proprio. Il costo effettivo, al netto dell’imposta, di 1 euro di finanziamento rimane pari a 0,76 euro nel caso del debito e passa, con l’abolizione dell’ACE, da 0,76 a 1 euro nel caso del capitale proprio. L’applicazione, prevista dalla legge delega, di un’aliquota di imposta ridotta sugli utili impiegati nella realizzazione di investimenti nei due periodi d’imposta successivi alla loro realizzazione, implicherebbe un meccanismo di incentivo che sembrerebbe compensare solo parzialmente l’asimmetria di trattamento delle fonti di finanziamento.

 

Misure in ambito pensionistico

Le misure in ambito pensionistico vanno nella direzione di un cambiamento di visione rispetto agli ultimi anni. Sono riproposti i canali temporanei di pensionamento con requisiti ridotti rispetto agli ordinari, ma a condizioni più stringenti. Contemporaneamente, si introducono norme che incideranno strutturalmente sull’evoluzione della spesa pensionistica con effetti di consolidamento a medio-lungo termine come ad esempio il ricalcolo della quota retributiva delle pensioni degli iscritti ad alcune Casse di lavoratori pubblici e l’anticipo dello sblocco dell’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti di pensionamento anticipato.

Su orizzonti lunghi il ricalcolo della quota retributiva per alcune categorie di lavoratori pubblici ha un impatto finanziario significativo: da oggi al 2043 i risparmi cumulati ammonterebbero a 32,9 miliardi (21,4 al netto della fiscalità), la maggior parte dei quali si realizzeranno negli anni in cui è atteso il manifestarsi della gobba pensionistica. Tuttavia, nei prossimi anni (fino al 2028-2030) il ricalcolo richiede un sacrificio a livello individuale, parzialmente compensabile negli effetti con un posticipo del pensionamento di uno o due anni.

Per i lavoratori “contributivi” sono stabiliti la riduzione dell’importo minimo per l’accesso alla pensione di vecchiaia ordinaria e l’aumento di quello per l’accesso alla pensione anticipata con requisiti di età. Si permette a chi arriva a 67 anni con una posizione pensionistica molto debole, difficilmente migliorabile tramite ulteriori sforzi lavorativi, di accedere a dei redditi che seppure bassi possono alleviare i bisogni, mentre si richiede che i soggetti relativamente più giovani si sforzino di rafforzare autonomamente l’adeguatezza delle proprie pensioni.

Sullo sfondo, restano i problemi della bassa e discontinua contribuzione pensionistica delle generazioni giovani che, se nulla cambia, prelude alla maturazione di pensioni anch’esse basse. Sarebbe opportuno non limitare il dibattito ai soli cambiamenti delle regole e dei parametri del sistema pensionistico, ma di abbracciare tematiche più ampie del mercato del lavoro, del rafforzamento degli altri istituti di welfare rivolti alle età più giovani, della fiscalità e della crescita, con specifica apertura inclusiva per i giovani.

 

Sanità

Le risorse aggiuntive stanziate dalla manovra sono sufficienti a mantenere nel 2024 l’incidenza della spesa sul PIL al livello pre-pandemico (6,4 per cento per nel 2019). Va sottolineato che il Servizio sanitario nazionale, pur presentando una spesa contenuta in termini pro-capite e in rapporto al PIL e buoni indicatori di salute, appariva già allora sottoposto a tensioni. Non si assiste ancora a quel potenziamento strutturale del SSN che sembrava essere diventato un obiettivo condiviso nella fase dell’emergenza sanitaria.

Il finanziamento del SSN per il 2024 potrebbe non coprire integralmente le spese, tenendo conto del costo delle misure previste dal DDLB, compreso l’incremento del tetto sulla spesa farmaceutica diretta, dell’applicazione dei nuovi LEA e del contenzioso delle imprese sul pay-back. Ulteriori difficoltà, in tutto il periodo di programmazione, potrebbero sorgere in relazione alle carenze di personale e all’impatto di eventuali nuove pressioni dei prezzi dei beni energetici sul settore sanitario.

 

Interventi per la famiglia: disabilità e asili nido

Il Fondo unico per l’inclusione delle persone con disabilità in sostituzione di quattro distinti finanziamenti preesistenti in materia è certamente un primo passo nella direzione di superare la marcata frammentazione degli interventi in materia. La dotazione del nuovo Fondo è, tuttavia, inferiore al valore complessivo delle risorse disponibili nei fondi eliminati. Il quadro istituzionale per la disabilità, come anche per le altre materie connesse all’ambito sociale, rimane tuttavia estremamente complesso e variegato e si appoggia su molteplici ulteriori fonti di finanziamento. È auspicabile una rapida attuazione della delega in materia di disabilità anche per evitare che in futuro risorse destinate alla disabilità siano distolte per finanziare altro.

Sono inoltre previste diverse misure a sostegno alla genitorialità. Tra queste, l’intervento che innalza il contributo per il pagamento delle rette degli asili nido (bonus asili nido) a 3.600 euro con riferimento ai nati dal 2024 per i nuclei con un indicatore ISEE fino a 40.000 euro nei quali sia presente almeno un figlio di età inferiore a dieci anni, fa sì che il bonus aumenti di fatto di 600 euro per i nuclei con un ISEE fino a 25.000 euro e di 1.100 euro nel caso di ISEE compreso tra 25.000 e 40.000 euro. La manovra prevede contestualmente un incremento del tetto di spesa per la misura, nonostante in passato gli importi complessivamente erogati siano sempre stati inferiori a quelli stanziati. Pur considerando l’incremento del bonus, la stima della relazione tecnica appare eccessivamente prudenziale. Inoltre, appare poco verosimile che detto incremento, data la differenziazione delle tariffe a livello comunale, sia nel pubblico sia nel privato, consentirà di coprire integralmente le rette sostenute da tutte le famiglie interessate.