Audizione dell’UPB sul “DDL famiglia”

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Il Consigliere delle Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Alberto Zanardi, è intervenuto oggi in audizione presso la Commissione Affari sociali della Camera impegnata nell’esame del DDL C. 2561 recante “Deleghe al Governo per il sostegno e la valorizzazione della famiglia” (DDL famiglia).

 

Nell’ampio documento depositato presso la Commissione: si passano in rassegna gli obiettivi, gli strumenti e le risorse per l’attuazione delle deleghe indicati nel DDL famiglia (par. 1); si accenna agli interventi annunciati nel PNRR – presentato al Parlamento lo scorso gennaio e in corso di revisione – con riferimento agli obiettivi del DDL famiglia, dei quali non si può non tenere conto nella valutazione delle potenzialità di quest’ultimo (par. 2); si analizzano gli attuali comportamenti di spesa delle famiglie con figli relativamente ai percorsi educativi e all’apprendimento non formale e informale e le misure di sostegno economico vigenti (par. 3); si forniscono informazioni di contesto sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro, sulle difficoltà di conciliazione della vita professionale con quella privata e sul divario di genere (par. 4); si propongono un confronto internazionale sulle spese per protezione sociale destinate alle famiglie con figli e una breve descrizione delle principali misure attuate in Francia e in Germania (par. 5); si conclude con alcune considerazioni generali sul DDL famiglia (par. 6).

 

La spesa di protezione sociale per la funzione famiglia/figli in Italia è inferiore a quella di tutti gli altri paesi della UE27 con l’eccezione di Malta e Paesi Bassi (1,1 per cento del PIL nel 2018, contro il 2,2 della media UE27, il 2,4 della Francia e il 3,3 della Germania). Inoltre, l’Italia si caratterizza per un’elevata quota di spesa per benefici in denaro (83 per cento, contro una media UE27 del 62,1 e valori della Francia e della Germania prossimi al 60 per cento). Risultano relativamente basse sia le spese relative agli assegni familiari e per figli, sia le risorse destinate a benefici in natura quali quelli relativi agli asili nido e alle scuole dell’infanzia o similari. Il divario di genere, nonostante siano stati fatti importanti progressi negli anni, è ancora elevato nel confronto internazionale e diffuso sotto diversi aspetti, come testimoniano le risultanze dell’indice di uguaglianza di genere della UE. I punteggi dell’Italia nei vari domini sono sempre peggiori di quelli della media UE con l’eccezione del settore della salute; il dominio in cui i risultati sono più deludenti è quello del lavoro (63,3 punti, contro una media UE28 di 72,2), seguito da quelli nelle aree del potere (48,8 punti, contro una media UE28 di 53,5), del tempo (59,3 punti, contro una media UE28 di 65,7) e della conoscenza (61,9 punti, contro una media UE28 di 63,6).

 

Il DDL famiglia si pone essenzialmente due obiettivi: 1) il contrasto alla denatalità attraverso il sostegno alle famiglie con figli e il riconoscimento del valore sociale delle attività educative e di apprendimento anche non formale e informale dei bambini e dei ragazzi; 2) l’aumento dell’occupazione femminile anche favorendo la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Essi sono tra loro interconnessi, dal momento che i compiti di cura dei figli, ma anche degli anziani e dei non autosufficienti, ancora ricadono principalmente sulle donne.

 

Per il raggiungimento degli obiettivi vengono individuati molteplici strumenti: un trasferimento monetario universale a sostegno dei nuclei familiari con figli a carico senza vincolo di destinazione, come l’assegno unico; agevolazioni fiscali e trasferimenti monetari vincolati all’effettuazione di spese meritorie; misure incentivanti, come nel caso del rafforzamento degli incentivi all’occupazione femminile o all’introduzione di forme di lavoro flessibile per favorire la conciliazione tra famiglia e lavoro; la fornitura diretta di servizi pubblici come nel caso del rafforzamento dell’offerta dei servizi socio-educativi per l’infanzia; misure di regolazione, ad esempi relativamente alle modalità di fruizione dei congedi parentali.

 

Da un lato, allo stato attuale il DDL famiglia risulta superato in alcuni suoi contenuti qualificanti da recenti misure introdotte con la legge di bilancio per il 2021 (ampliamento a 10 giorni, sebbene ancora in via sperimentale, del congedo di paternità obbligatorio; esonero contributivo per l’assunzione di lavoratrici disoccupate; destinazione di risorse al Fondo di solidarietà comunale per finanziare lo sviluppo dei servizi sociali comunali e per aumentare la disponibilità di posti negli asili nido; istituzione del Fondo a sostegno dell’imprenditoria femminile) e, soprattutto, dall’imminente approvazione in via definitiva del DDL delega sull’assegno unico e universale (AS. 1892), che avrà anche conseguenze decisive sul suo quadro finanziario. I due DDL infatti condividono l’intero quadro finanziario tranne la parte relativa alla modifica/abolizione di due sole misure vigenti: i buoni per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido e altri servizi per l’infanzia e le detrazioni Irpef sulle spese di locazione per gli studenti universitari fuori sede. Le risorse derivanti dalla cancellazione di queste due misure ammontano a regime a circa 0,7 miliardi (tab. 1), che quindi rappresenterebbero, qualora l’attuazione dell’assegno unico assorbisse tutte le risorse attualmente previste nell’AS. 1892, le disponibilità per finanziare gli interventi previsti dal DDL famiglia una volta approvato definitivamente l’assegno unico.

 

Dall’altro lato, le potenzialità del DDL famiglia risultano accresciute da alcune linee di intervento esplicitamente indicate nel PNRR dello scorso gennaio. Quest’ultimo, nella versione attuale, interviene ad affiancare le misure con effetti di bilancio di natura corrente del DDL famiglia con spesa in conto capitale con l’obiettivo di colmare i divari di fornitura dei servizi pubblici a livello territoriale, superare la povertà educativa, aumentare le prospettive dei giovani, accrescere l’occupazione giovanile e favorire la conciliazione tra vita professionale e vita privata, oltre che annunciando riforme di più ampio respiro. Il DDL famiglia e il PNRR vanno pertanto considerati in maniera integrata vista la condivisione di obiettivi e di parte degli interventi e i possibili riflessi sulle risorse finanziarie che si potrebbero rendere disponibili via PNRR anche per l’attuazione del DDL famiglia.

 

Agli obiettivi (chiari) e agli strumenti (tanti) presenti nel DDL fanno da cornice principi e criteri direttivi di delega piuttosto generali, che lasciano ai decreti legislativi di attuazione delle deleghe molte delle scelte fondamentali di disegno delle misure preannunciate. Queste scelte riguardano in particolare quattro aspetti.

 

  • In primo luogo, il grado di selettività da applicare ai vari interventi, valutando cioè se il sostegno economico pubblico, sebbene universale, debba essere riconosciuto a tutti in ugual misura oppure in misura differenziata tenendo conto, a seconda degli obiettivi, della condizione economica familiare o individuale. La scelta dipenderà dal quadro delle risorse finanziarie disponibili per l’attuazione delle deleghe, ma anche, e soprattutto, da considerazioni di natura redistributiva, visto che molte delle spese meritorie non obbligatorie tendono a essere sostenute più frequentemente dalle famiglie più ricche. Inoltre bisognerebbe porre attenzione agli obiettivi di incentivo verso specifici consumi educativi e culturali che il DDL famiglia vuole perseguire. In particolare, le nuove misure, per essere effettivamente incentivanti, dovrebbero concentrarsi principalmente sulle famiglie che si collocano nella parte bassa della distribuzione del reddito per le quali l’incidenza sul totale della spesa familiare di alcune delle spese meritorie che si vogliono stimolare è relativamente limitata (si pensi alla frequenza a eventi culturali o ai viaggi di istruzione) e di efficienza.

 

A partire dalle informazioni dell’Indagine campionaria Istat sulle spese delle famiglie del 2017, integrate con quelle amministrative delle dichiarazioni ISEE e alle dichiarazioni fiscali, è stata condotta un’analisi sulle spese effettuate dalle famiglie per le attività educative di bambini e ragazzi sia in strutture pubbliche che private (tasse e i contributi scolastici, servizi di mensa e trasporto, libri scolastici, i corsi effettuati in ambito scolastico e gite) e per le attività connesse con l’apprendimento non formale e informale (libri non scolastici, attività sportive, centri estivi e ludoteche, corsi e lezioni di musica e ballo) (paragrafi 3.1 e 3.2 dell’audizione).

 

Per le spese educative, così come per quelle connesse con l’apprendimento non formale e informale, emerge una significativa polarizzazione sulle famiglie in condizione economica più favorevole in tutti i segmenti tranne quello delle scuole pubbliche (fig. 1). In particolare, l’incidenza sulla spesa delle famiglie utilizzatrici decresce al crescere della loro condizione economica (pannello C) ma quest’effetto è più che compensato dal fatto che le famiglie più povere utilizzano di meno i servizi in questione (pannello B) con il risultato che l’incidenza della spesa su quella del totale delle famiglie aumenta passando da quelle più povere a quelle più ricche (pannello A).

 

Esemplificativo è il caso dei nidi privati: l’incidenza della spesa per rette e mensa pesa circa lo 0,5 per cento sulla spesa familiare totale per il primo quintile e circa l’1,9 per cento nel quinto quintile (panello A). Ciò dipende prevalentemente dalla minore fruizione di tali servizi da parte delle famiglie con minore capacità di spesa (il 6 per cento delle famiglie che sostengono spese per servizi educativi nel primo quintile, contro il 45 per cento del quinto quintile – pannello B), mentre per le (poche) famiglie “povere” che utilizzano il servizio, l’incidenza della spesa per nidi può risultare molto elevata (circa l’8 per cento della spesa complessiva, contro poco meno del 2,6 per cento del quinto quintile – pannello C).

 

L’eccezione è, non a caso, rappresentata dalle spese per le scuole pubbliche per le quali l’incidenza sulla spesa del complesso delle famiglie decresce all’aumentare della capacità economica in quanto, per effetto dell’obbligo scolastico, la quota di famiglie utilizzatrici è molto alta e sostanzialmente costante per tutti i quintili di spesa. Oltre la metà delle famiglie del primo quintile spende infatti per servizi educativi nella scuola pubblica, con un onere pari al 2 per cento della spesa complessiva (circa il doppio di quanto riscontrabile per le famiglie del quinto quintile).

 

  • In secondo luogo, va valutato quale ruolo assegnare all’intervento pubblico diretto e quale riconoscere invece all’intervento realizzato attraverso il settore privato nella scelta della combinazione degli strumenti da attivare. È necessario decidere se gli incentivi (ad esempio, per realizzare spese meritorie finalizzate alla crescita educativa) debbano passare attraverso l’offerta di servizi pubblici, includendo pertanto tali servizi negli standard di fornitura pubblici (politiche di offerta), oppure attraverso la domanda delle famiglie e il riconoscimento di strumenti di sostegno per alleviare la spesa sostenuta nell’acquisto dei servizi per i figli (politiche di domanda), oppure ancora attraverso un mix di politiche dal lato dell’offerta e da quello della domanda. L’efficacia di strumenti di sostegno economico della domanda di servizi da parte delle famiglie è tuttavia strettamente dipendente dalla disponibilità di questi servizi ed è quindi necessario un coordinamento tra le politiche a sostegno dell’offerta e quelle a favore della domanda. In mancanza di un rafforzamento delle prime, la destinazione di risorse aggiuntive alla finalità di sostenere economicamente la domanda delle famiglie rischia di favorire soltanto i cittadini residenti nei territori che già dispongono dei servizi a scapito di quelli residenti nei Comuni che non erogano la funzione.

 

Un’analisi sull’offerta di asili nido sul territorio evidenzia che nel 2018 i posti autorizzati coprivano circa il 25,5 per cento dei potenziali utenti (di cui circa la metà a titolarità pubblica) e che la presa in carico degli utenti (ossia gli utenti effettivi per 100 bambini residenti in età 0-2 anni) relativa alle strutture pubbliche o private convenzionate era pari al 14,1 per cento. Entrambi questi indicatori risultavano ampiamente differenziati sul territorio nazionale. Concentrando l’attenzione sugli asili nido comunali, emerge che in molte regioni del Mezzogiorno l’offerta pubblica, seppure inferiore rispetto alla media nazionale, non era pienamente utilizzata dalle famiglie: il minore ricorso ai servizi pubblici si rileva in Abruzzo (66,1 per cento) e in Basilicata (66,8 per cento), mentre un ricorso maggiore, tale da poter determinare situazioni di carenza dell’offerta pubblica emergono in Toscana (93 per cento), nel Lazio (90,8 per cento) e in Lombardia (90,3 per cento).

 

Il mancato utilizzo dei servizi educativi per la prima infanzia è dovuto nella maggior parte dei casi a una volontà specifica delle famiglie dettata da motivi di età o salute del bambino (42,2 per cento) oppure alla presenza di un familiare che può accudirlo e/o alla volontà di non delegarne la funzione educativa (38,5 per cento). Motivi di razionamento dell’offerta (costo, lontananza delle strutture, domanda rifiutata) ricorrono mediamente nel 15,8 per cento dei casi, con frequenza maggiore al Nord e nei Comuni di periferia dell’area metropolitana. Il peso del razionamento potrebbe tuttavia essere sottostimato da queste risposte visto il ricorso agli anticipi alla scuola materna, meno onerosa per la famiglia, che è frequente soprattutto nel Mezzogiorno, segnalando pertanto un problema di sostenibilità dei costi dell’asilo nido. Infine, la domanda di servizi per l’infanzia potrebbe crescere per effetto dell’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro e del loro tasso di occupazione, anche in seguito alle politiche volte a favorire una maggiore flessibilità del mercato del lavoro e a incentivare l’occupazione e l’imprenditoria femminile previste sia dal DDL famiglia che dal PNRR. Vi inciderebbe anche il rafforzamento delle misure di riduzione dei costi di accesso agli asili nido annunciato nel provvedimento in esame.

 

  • In terzo luogo, nel caso di politiche dal lato della domanda, ossia di sostegni economici riconosciuti alle famiglie a fronte del servizio utilizzato, la scelta dello strumento più adatto e cioè se ricorrere alle agevolazioni fiscali (deduzioni dall’imponibile o detrazioni dall’imposta) oppure a trasferimenti monetari vincolati alla realizzazione di spese specifiche. Le prime non sono uno strumento idoneo a sostenere le famiglie più povere a causa degli ampi fenomeni di incapienza fiscale. Inoltre, sono commisurate ai redditi individuali mentre misure di sostegno alle spese relative ai figli dovrebbero essere selettive sulla base di un indicatore di capacità contributiva familiare (ad esempio l’ISEE). Infine, verrebbe ulteriormente complicato il regime impositivo sul reddito delle persone fisiche caricandolo di una finalità, quella del sostegno educativo dei figli e della conciliazione tra vita e lavoro, che non gli è propria. Se dunque lo strumento più idoneo è quello del trasferimento monetario vincolato, potrebbe essere presa in considerazione l’eventualità di concentrare progressivamente in un unico strumento di spesa, l’assegno unico, sia il sostegno alla cura dei figli sia quello alla crescita e alla loro educazione, vincolandone una parte, eventualmente soggetta a criteri di selettività, a quest’ultimo scopo. Ne risulterebbe una semplificazione dell’attuale sistema, caratterizzato, da una pluralità di misure specifiche dalla portata talvolta limitata. In alternativa si potrebbe pensare a uno strumento di spesa da abbinare all’assegno unico, con caratteristiche similari a quest’ultimo, oppure a una sorta di potenziamento e ampliamento ad altri ambiti dell’apprendimento non formale e informale dello strumento noto come bonus cultura che riconoscano alle famiglie un budget spendibile nell’ambito di una molteplicità di finalità ma lasciando la scelta finale circa la composizione di questi consumi educativi all’autonomia delle singole famiglie.

 

  • In quarto luogo si pone la necessità di un attento coordinamento delle politiche di sostegno alle famiglie tra diversi livelli istituzionali. Nel caso ad esempio degli asili nido, un rafforzamento dell’intervento a livello nazionale per ridurre il costo che le famiglie sostengono per le tariffe, secondo le linee del DDL famiglia, potrebbe in realtà indurre i Comuni a rivedere le proprie politiche di fissazione delle tariffe, incrementandole, per cercare di trasferire dalle famiglie ai bilanci comunali le maggiori risorse pubbliche impiegate. Ciò potrebbe essere evitato trasformando il sostegno alle famiglie in trasferimenti di risorse a favore dei Comuni a fronte di un corrispondente abbassamento delle tariffe o di un miglioramento dell’offerta del servizio, oppure prevedendo che la misura del bonus nazionale alle famiglie per sostenere il costo degli asili nido sia determinata con riferimento a una tariffazione benchmark valida sull’intero territorio.

 

 

Se adeguatamente formulato e attuato il DDL famiglia, potrebbe rappresentare l’occasione: 1) per potenziare e rendere strutturali, e quindi certe, alcune misure rilevanti finalizzate a sostenere la genitorialità e la parità di genere che ancora oggi hanno carattere sperimentale, 2) per fornire sostegni universali e fruibili anche dalle famiglie più povere allo scopo di assicurare pari opportunità nella crescita e nei percorsi di educazione formale, non formale e informale ai figli indipendentemente dalla condizione economica della famiglia di appartenenza e creare un vero e proprio cambio culturale; 3) per riordinare e sistematizzare norme frammentarie e disseminate in una pluralità di fonti legislative. Ciò però presuppone l’individuazione di ulteriori risorse finanziarie visto che l’imminente approvazione del DDL sull’assegno unico finirà per drenare gran parte delle disponibilità finanziarie previste nel DDL famiglia. Con riferimento a questi vincoli finanziari, ma anche per garantire un’adeguata prospettiva di coordinamento tra le varie linee di intervento, è necessario collocare il DDL famiglia in una visione integrata con il futuro PNRR. I due provvedimenti devono procedere di pari passo in modo complementare. Si ricorda infatti che il PNRR, nella versione presentata in Parlamento nel gennaio scorso, prevede per favorire la conciliazione tra vita e lavoro il potenziamento del piano asili nido e servizi integrati, anche con finalità di riequilibrio dell’offerta sul territorio nazionale, l’aumento del “tempo-scuola” e quindi dell’offerta formativa, l’incremento di infrastrutture e la messa a disposizione di servizi e reti di assistenza territoriale per le persone con disabilità o non autosufficienti. Per la parità di genere, una delle tre priorità orizzontali delle sei missioni in cui è declinato il Piano, si prevedono iniziative per avvicinare le studentesse alle opportunità offerte dalle discipline STEM e favorire l’occupazione femminile di tipo qualificato oltre che decontribuzioni per l’assunzione di donne e sostegni all’imprenditorialità femminile.