Audizione dell’UPB sulla disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali

 

Il Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Giuseppe Pisauro, è intervenuto oggi in audizione informale presso la Commissione Attività produttive della Camera nell’ambito dell’esame delle proposte di legge in materia di “Disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali”.

 

Dalla fine degli anni novanta, ha ricordato Pisauro, diversi provvedimenti legislativi hanno riorganizzato la disciplina del settore del commercio con l’obiettivo di ammodernarlo e liberalizzarlo. Da ultimo, nel 2011, il cosiddetto decreto “Salva Italia”, tra le altre cose, ha previsto la totale deregolamentazione su tutto il territorio nazionale degli orari di apertura degli esercizi commerciali, domenica e giorni festivi compresi. Le proposte all’esame della Commissione incidono su questo aspetto, reintroducendo limiti alle aperture domenicali e festive e demandando agli enti locali la loro regolamentazione, salvo – in alcune proposte – deroghe per i piccoli negozi delle aree turistiche, balneari e dei piccoli centri montani, e per alcune tipologie merceologiche.

 

La questione dell’apertura domenicale degli esercizi commerciali è molto controversa e ampiamente dibattuta in Italia e a livello internazionale, investendo elementi di natura religiosa, sociale e sindacale a fronte di fattori che riguardano le esigenze dei consumatori, dei lavoratori, la concorrenza e le decisioni d’investimento da parte delle imprese.

 

Le proposte di legge, si collocano in un contesto nel quale sedici sui ventotto paesi UE non prevedono sostanziali restrizioni per le aperture domenicali. La liberalizzazione degli orari di apertura ha prodotto vari effetti: ha cambiato le abitudini di consumo rendendo possibile la suddivisione degli acquisti sull’intero arco settimanale; ha contribuito all’aumento dell’occupazione ma anche alla segmentazione del mercato del lavoro; ha amplificato le conseguenze della crisi economica per alcuni piccoli esercizi commerciali; ha contribuito, insieme alle altre norme di liberalizzazione del commercio, all’attuale assetto della grande distribuzione organizzata e a una diminuzione della frammentazione del settore. La concomitanza di fattori diversi rende non isolabile nei dati l’effetto sulle principali grandezze economiche della sola apertura domenicale ma impone di tenere presenti molteplici aspetti trovando un adeguato equilibrio tra esigenze dei consumatori, tutela di chi lavora nei giorni festivi, libertà di concorrenza e di scelta delle imprese.

 

La difficoltà, allo stato delle informazioni esistenti, di valutare tutti gli aspetti sia microeconomici (famiglie, lavoratori e imprese) sia macroeconomici (consumi, fatturato, prezzi), nonché l’interazione con gli altri fattori economici (le altre norme di ammodernamento e liberalizzazione del commercio, la crisi economica, le modifiche alla regolamentazione del mercato del lavoro, lo sviluppo del commercio online, ecc.), suggeriscono di concentrarsi sulle caratteristiche strutturali del settore del commercio al dettaglio e la loro evoluzione, sulle problematiche connesse alla tutela e alla regolamentazione del lavoro domenicale e sui comportamenti di consumo nei giorni festivi, tralasciando questioni non desumibili dai dati inerenti la libertà individuale, il tempo sottratto alla famiglia, l’uso del tempo libero, i possibili effetti sul degrado urbanistico.

 

Nel 2016 le imprese del commercio al dettaglio erano oltre 606 mila, circa 100 mila più della Francia, 120 mila in più della Spagna, oltre 270 mila in più della Germania. Tra il 2010 e il 2016 il numero è diminuito del 6 per cento, a fronte di aumenti del 20 per cento in Francia, del 2,5 in Germania e dello 0,6 in Spagna.

 

Guardando alla dinamica del fatturato del commercio al dettaglio (esclusi autoveicoli e motoveicoli) tra gennaio 2006 e luglio 2018 le vendite al dettaglio, risentendo degli effetti della crisi economica, sono diminuite di circa il 2,7 per cento. La riduzione è il risultato di un andamento opposto dei principali settori merceologici: quello alimentare e quello non alimentare. Nel primo si è registrata una crescita del 5,2 per cento, mentre nel secondo una riduzione del 6,8 per cento.

 

All’interno di questi aggregati, i canali di vendita del commercio al dettaglio hanno seguito dinamiche diverse e divergenti. I dati dell’Osservatorio Nazionale del Commercio del Ministero dello Sviluppo economico indicano che la crescita più intensa ha riguardato la Grande distribuzione organizzata (GDO): nel complesso, tra il 2010 e il 2017, gli esercizi sono cresciuti del 16,3 cento trainati soprattutto dalla crescita dei grandi magazzini, il cui numero è più che raddoppiato (da 1.570 a 3.169). La crescita è stata più intensa della media nazionale nel Sud e nelle isole e meno marcata al Centro. Anche gli addetti sono aumentati in maniera significativa, di quasi l’11 per cento (14,4 i maschi e 8,6 le femmine) e concentrati soprattutto nei grandi magazzini (45,2 per cento).

 

Il commercio al dettaglio è uno dei settori economici che maggiormente sta concorrendo a salvaguardare i livelli occupazionali e questo avviene soprattutto in virtù delle dinamiche osservabili sul lato della grande distribuzione. A fronte di una dinamica contenuta delle vendite, si è osservata una ripresa del numero di lavoratori dipendenti, da 1,050 milioni del secondo trimestre del 2008 a quasi 1,2 milioni nel corrispondente trimestre del 2018. Nel terzo trimestre del 2018 il numero delle posizioni lavorative dipendenti nella piccola distribuzione (circa 560 mila) ha superato i livelli del 2010.

 

Tra il 2008 e il 2017 il fenomeno del lavoro dipendente domenicale sembra avere acquisito pervasività, interessando più fasce di età e anche soggetti con formazione medio-alta; parallelamente, l’accresciuto ricorso al lavoro femminile, al part-time e alla turnazione lasciano intravedere una certa tendenza alla segmentazione anche all’interno del lavoro dipendente pur restando il tempo indeterminato la modalità contrattuale principale (il 78,4 per cento di coloro che svolgono almeno una volta al mese lavoro domenicale). La quota degli occupati dipendenti utilizzati per lavoro domenicale nel commercio ha quasi raggiunto quella dei lavoratori indipendenti attivi la domenica nello stesso settore.

 

La domenica vede un afflusso considerevole di persone che si dedicano agli acquisti anche se di entità minore di quelle rilevate negli altri giorni della settimana, risentendo anche della minore quantità di esercizi commerciali aperti. Dai dati dell’Indagine Istat sull’uso del tempo emerge che nel 2014 le persone con più di 15 anni che hanno effettuato acquisti la domenica sono state il 24,2 per cento, contro il 51,9 per cento del sabato e il 43 per cento dei giorni feriali. Il tempo medio dedicato agli acquisti è sostanzialmente analogo a quello degli altri giorni feriali e appena inferiore a quello del sabato.

 

Nonostante sia diminuita l’incidenza complessiva delle persone che effettuano acquisti, tra il 2003 e il 2014 la domenica è stata l’unico giorno della settimana in cui questa incidenza è aumentata (1,9 punti percentuali) e ciò è avvenuto a discapito degli altri giorni e soprattutto del sabato (-3,5 punti). Inoltre, anche in considerazione degli effetti della crisi economica, l’aumento si è concentrato soprattutto nel primo periodo (1,5 punti percentuali tra il 2003 e il 2009). Il tempo medio di acquisto è aumentato di circa il 50 per cento (a 1 ora e 7 minuti) a fronte della sostanziale invarianza di quello utilizzato negli altri giorni (1 ora e 18 minuti il sabato e 1 ora e 4 minuti i giorni feriali).

 

La quantificazione empirica del possibile impatto macroeconomico della proposta di legge è assai incerta, per diversi motivi: non vi sono molti casi passati di modifiche legislative simili in Italia, per cui occorre stimare impatti che tengano conto anche delle esperienze di altri paesi; i precedenti storici sono in gran parte in direzione della liberalizzazione, per cui occorre ipotizzare che la restrizione porterebbe a effetti simmetrici rispetto alla liberalizzazione; i dati utilizzati per le stime si riferiscono a un periodo in cui le vendite via internet erano poco o per nulla sviluppate, mentre oggi la possibile sostituibilità con il canale on line sarebbe verosimilmente elevata. Con tutte queste cautele, l’UPB ha effettuato una stima econometrica sugli effetti delle riforme dell’orario di apertura degli esercizi commerciali, attuate negli ultimi 20 anni dai maggiori paesi avanzati. In linea con la letteratura disponibile, l’analisi conferma che nella media dei paesi OCSE le passate liberalizzazioni degli orari di apertura degli esercizi commerciali hanno avuto impatti positivi sull’occupazione, mentre quelli sulle vendite e sui prezzi non sono statisticamente significativi. Gli effetti sulle variabili macroeconomiche di interesse sottendono tuttavia una certa eterogeneità tra le economie considerate. Tale risultato potrebbe riflettere anche le diverse caratteristiche dei provvedimenti adottati a livello di singolo paese. Per quanto riguarda la riforma effettuata in Italia nel 2011, si riscontra un effetto espansivo sull’occupazione, più forte rispetto a quello medio associato alle riforme in altri paesi, come la Francia, la Germania e la Finlandia.