Audizione informale sul DDL n. 2526 (Misure in materia fiscale per la concorrenza nell’economia digitale)

 

Alberto Zanardi, componente del Consiglio dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), è stato ascoltato oggi in audizione congiunta dagli Uffici di presidenza delle Commissioni Finanze e tesoro e Attività produttive del Senato nell’ambito dell’esame del disegno di legge n. 2526, relativo a “Misure in materia fiscale per la concorrenza nell’economia digitale”.

 

Nel suo intervento Zanardi ha analizzato lo sviluppo dell’economia digitale e il ruolo delle cosiddette imprese over the top (OTT), focalizzando l’attenzione sulle problematiche che la digitalizzazione comporta per i regimi di tassazione (qualificazione dei valori da tassare, loro collocazione geografica, modalità effettive di prelievo) e su come il DDL si propone di affrontarle, in assenza di un’auspicabile azione coordinata a livello internazionale. A titolo di esempio, è stato esaminato il caso della pubblicità online.

 

Di seguito alcuni degli elementi salienti evidenziati nell’intervento.

 

  • Le imprese che operano nel mercato della pubblicità online presentano delle caratteristiche comuni in termini di struttura proprietaria e funzionale che consentono loro di minimizzare legalmente l’onere fiscale complessivo a fronte di ingenti ricavi.
  • L’introduzione di quanto previsto dal DDL non esclude la possibilità che le caratteristiche tecnologiche del settore digitale possano portare creazione di spazi per nuove forme di elusione fiscale. In primo luogo, le imprese digitali potrebbero ricorrere all’utilizzo di mezzi di pagamento che non transitano per il circuito degli intermediari finanziari sfuggendo in tal modo alla procedura di accertamento per la regolarizzazione della stabile organizzazione e alla stessa applicazione della ritenuta. In secondo luogo, non configurandosi come uno strumento globale, la misura può perdere di efficacia per effetto di strategie di pianificazione fiscali volte a contenere i profitti attraverso trasferimenti di costi nelle giurisdizioni dove la tassazione è più elevata.
  • Per evitare comportamenti elusivi e pratiche dirette a ridurre le basi imponibili da parte degli operatori (esemplare è il caso della Diverted Profit Tax inglese) la strada più appropriata sarebbe rappresentata da un auspicabile coordinamento degli interventi a livello europeo.
  • Il DDL 2526 non propone l’introduzione di un prelievo generalizzato sulla economia digitale ma piuttosto punta a indirizzare in modo più mirato la fase di accertamento dell’Amministrazione finanziaria attraverso più adeguati strumenti informativi per contrastare in modo più efficace comportamenti elusivi.
  • Allo scopo di contrastare comportamenti elusivi da parte di soggetti non residenti che operano in Italia senza una stabile organizzazione, si introduce il concetto di “stabile organizzazione occulta” basato su alcuni precisi parametri.
  • Ai soggetti che non provvedano a uniformarsi alle richieste di regolarizzazione dell’Amministrazione finanziaria viene applicata sui ricavi una ritenuta alla fonte a titolo di imposta pari al 26% degli importi corrisposti da soggetti residenti in Italia a operatori non residenti.
  • L’elevata entità del prelievo alla fonte ha l’obiettivo di incentivare la società a dare concreto contenuto economico alla stabile organizzazione, assoggettandosi così alla normale imposta sugli utili prevista dall’ordinamento italiano. La ritenuta alla fonte del 26 per cento prevista dal DDL risulterebbe neutrale rispetto all’imposta sulle società nell’ipotesi di margini di profitto vicini al 100 per cento.
  • Nel 2015 il valore della pubblicità online in Europa è ammontato a 36,4 miliardi di euro, al primo posto tra i canali di raccolta pubblicitaria (33,5 per cento della spesa complessiva); in Italia, nello stesso anno, ha rappresentato il secondo canale in termini di rilevanza, raggiungendo 1,66 miliardi (22,5 per cento del totale).
  • Il settore della raccolta pubblicitaria online è fortemente concentrato e a due operatori, Google e Facebook, fa capo una quota pari a quasi la metà del mercato complessivo.
  • Sulla base dei dati disponibili relativi al 2015 i ricavi generati da Google nel nostro Paese sono stimati in 637 milioni a fonte di 67 milioni risultati dal bilancio di Google Italia. Per Facebook la differenza è ancora maggiore: rispettivamente 233 milioni contro 8 milioni.
  • Nel caso di Google, i ricavi che si stima originino in Italia rappresentano il 2,4 per cento del mercato europeo, quelli riportati nel bilancio di Google Italia sono lo 0,3 per cento. Per Facebook la divergenza è anche più importante con il 2,8 per cento di ricavo geografico contro lo 0,1 per cento di ricavo di gruppo.
  • Utilizzando le informazioni disponibili relative al 2015 è possibile valutare per i due OTT qual è il peso fiscale effettivo gravante sugli utili che, si stima, originino in Italia: l’aliquota effettiva è del 23,9 per cento per Google e del 18 per cento per Facebook, contro un’aliquota (IRES più IRAP) che in Italia era del 31,4 per cento.