20 aprile 2023 | La Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Lilia Cavallari, è intervenuta oggi in audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, riunite in seduta congiunta, nell’ambito dell’esame preliminare del Documento di economia e finanza (DEF) 2023. La Presidente ha illustrato le ragioni che hanno condotto a un esito positivo della validazione del quadro macroeconomico programmatico del DEF (precedentemente era stato validato il quadro tendenziale), per poi analizzare le tendenze congiunturali, la strategia delineata dal DEF e le dinamiche dei principali aggregati di finanza pubblica.
Dall’analisi del DEF emerge un quadro macroeconomico complessivamente condivisibile pur con rischi al ribasso sulla crescita oltre il breve termine e un quadro di finanza pubblica prudente sebbene con alcune criticità. Entrambi i quadri presuppongono il completo ed efficiente utilizzo delle risorse europee nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Su questo fronte, il DEF appare come un “documento ponte” in attesa di maggiore chiarezza sul profilo temporale della spesa, data l’annunciata rimodulazione del Piano.
Gli obiettivi programmatici contenuti nel DEF per il periodo 2023-26 appaiono coerenti con le indicazioni della proposta di riforma del nuovo framework di regole della UE. Potrebbe, tuttavia, essere necessario proseguire il consolidamento oltre il periodo di programmazione del DEF considerando l’obiettivo di mantenere il profilo discendente del debito in rapporto al PIL e la necessità di finanziare le maggiori spese previste nel medio-lungo termine in connessione con l’invecchiamento della popolazione.
Qui di seguito i principali elementi contenuti nella memoria consegnata alle Commissioni.
La congiuntura dell’economia italiana. – Nel 2022 il PIL italiano ha proseguito la fase di recupero iniziata l’anno precedente dopo la contrazione legata alla pandemia. L’economia è cresciuta del 3,7 per cento, più degli altri principali partner europei, sospinta in particolare dalla domanda, per consumi ed esportazioni. Dopo la flessione marginale del trimestre finale del 2022, secondo le stime UPB nei primi tre mesi di quest’anno il PIL avrebbe ripreso a espandersi moderatamente in termini congiunturali; l’incertezza intorno a queste stime è ampia ma la banda di variazione è comunque bilanciata. Nonostante il debole andamento dei primi mesi dell’anno, la manifattura è attesa in recupero per l’allentamento delle pressioni sui costi dell’energia, mentre i servizi continuerebbero a giovarsi di rilevanti flussi turistici; al contrario, la recente crescita dell’edilizia in prospettiva dovrebbe ricondursi su ritmi più moderati, anche per la rimodulazione degli incentivi al comparto residenziale.
La validazione delle previsioni macroeconomiche. – Lo scorso 7 aprile l’UPB ha comunicato la validazione delle previsioni macroeconomiche tendenziali contenute nel DEF, predisposte dal MEF tenendo conto dei rilievi dell’Ufficio. Anche il processo di validazione del quadro macroeconomico programmatico ha avuto un esito positivo, sebbene al limite: le previsioni programmatiche del DEF sono nel complesso coerenti con quelle del panel UPB (composto da CER, Oxford Economics, Prometeia e REF.ricerche, oltre allo stesso UPB), pur situandosi in prossimità del valore superiore delle stime su tutto l’orizzonte di previsione. Il tasso di variazione del PIL reale non eccede l’estremo superiore delle previsioni del panel UPB, se non marginalmente nel 2024. La dinamica del PIL nominale si colloca al di sotto della mediana del panel, eccetto l’ultimo anno, quando è comunque analoga alla previsione dell’UPB. L’impatto della manovra di finanza pubblica sulla crescita del PIL è simile a quello stimato dai previsori del panel ed è uguale a quello dell’UPB.
Lo scenario macroeconomico dell’economia italiana appare soggetto a rischi, soprattutto di matrice internazionale e prevalentemente orientati al ribasso sulla crescita oltre il breve termine. Tra i principali, il rischio connesso all’ipotesi dell’integrale, tempestivo ed efficiente utilizzo da parte dell’Italia dei fondi europei del NextGenerationEU per l’attuazione dei progetti predisposti con il PNRR, la guerra in Ucraina, le tensioni finanziarie globali, la persistenza dell’inflazione, i rischi climatici e ambientali. I fattori avversi per i prossimi anni incidono sulle previsioni più recenti degli altri analisti, sia privati sia istituzionali, che si caratterizzano per dinamiche di crescita più basse di quelle prefigurate dal Governo, soprattutto sul PIL del 2024.
PNRR: potenzialità e rischi. – Il PNRR, data la sua rilevanza economica e strategica, è un elemento fondamentale di cui tenere conto nella valutazione delle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica. Secondo le analisi dell’UPB basate sul modello MeMo-It l’impatto macroeconomico sarebbe di circa tre punti percentuali di PIL alla fine del periodo (2026), nell’ipotesi di una completa e tempestiva realizzazione dei progetti finora previsti. La valutazione è leggermente inferiore a quella contenuta nel DEF (pari al 3,4 per cento) ma lo scostamento è soprattutto imputabile al diverso strumento econometrico adottato per la simulazione. Nei primi due anni del programma l’attivazione di investimenti pubblici è stata moderata, per cui occorre un forte recupero della capacità di spesa nel corso dell’orizzonte di previsione del DEF per compensare i ritardi. Appare necessario che la rimodulazione del PNRR prospettata dal Governo sia realizzata senza comportare ritardi e orientata al sostegno alla crescita economica potenziale.
La rimodulazione del Piano potrà inoltre influire sui profili temporali della spesa pubblica, per cui il DEF appare da questo punto di vista come un “documento ponte” in attesa di una maggiore chiarezza che dovrà necessariamente emergere al più tardi entro l’autunno, con la pubblicazione della NADEF e la definizione della legge di bilancio per il 2024.
Infine, a oggi la principale fonte di informazione ufficiale sullo stato di attuazione del Piano, ReGiS, presenta limiti in termini di completezza e tempestività dell’informazione. Per questi motivi, ReGiS non appare ancora in grado di fornire adeguate informazioni per una solida valutazione del grado di attuazione del PNRR e delle sue prospettive future né della spesa realizzata e realizzabile.
Andamenti e obiettivi di finanza pubblica. – Dopo un disavanzo nel 2022 risultato ben superiore alle attese a causa delle nuove regole di classificazione contabile degli effetti del Superbonus e del bonus facciate, il percorso dei saldi tendenziali delineato nel DEF risulta – per il biennio 2023-24 – appena più favorevole di quello indicato nella NADEF dell’autunno scorso. Per gli anni successivi le previsioni indicano un disavanzo pubblico in continua discesa e dal 2025 nuovamente pari o inferiore al 3 per cento in termini di PIL. Dal 2024 è atteso inoltre – dopo quattro anni – il ritorno a un avanzo primario.
Il deficit pubblico calerebbe in maniera rilevante nell’anno in corso, passando dall’8 per cento al 4,4 per cento del PIL, anche a causa del notevole ridimensionamento degli effetti dei bonus edilizi e della consistente diminuzione delle misure contro il caro energia, per poi ridursi più gradualmente al 3,5 per cento nel 2024, al 3 nel 2025 e al 2,5 nel 2026, riflettendo anche la natura a legislazione vigente della previsione. Il saldo primario dovrebbe rimanere ancora negativo nel 2023 allo 0,6 per cento del PIL, ma ben inferiore rispetto al 2022, e divenire positivo e crescente dall’anno successivo, collocandosi allo 0,5 per cento nel 2024, all’1,2 nel 2025 e al 2 nel 2026. Il miglioramento di tale saldo sarebbe ascrivibile a una spesa primaria che è attesa diminuire in termini di PIL (di 7,3 punti percentuali, dal 52,4 per cento del 2022 al 45,1 nel 2026) in maniera ben più consistente delle entrate (di 1,7 punti percentuali, dal 48,8 per cento del 2022 al 47,1 nel 2026). La riduzione delle entrate deriverebbe da un ridimensionamento della pressione fiscale dal 43,5 al 42,7 per cento e, in particolare, della componente relativa alle imposte dirette, su cui influiscono le modifiche alla tassazione delle persone fisiche già disposte, quelle al meccanismo di indicizzazione delle pensioni e il venire meno dal 2024 del prelievo straordinario sulle imprese operanti nei settori dell’energia. La spesa per interessi è prevista in riduzione al 3,7 per cento del PIL nell’anno in corso grazie alla forte decelerazione dei prezzi – che ha effetto sui titoli indicizzati all’inflazione –, ma successivamente in progressivo aumento al 4,1 nel 2024, al 4,2 nel 2025 e al 4,5 nel 2026 a causa dell’aumento dei tassi correnti e attesi, sia a breve che a lungo termine.
Per il biennio 2023-24, il quadro programmatico del DEF 2023 conferma gli obiettivi di disavanzo sul PIL fissati nella NADEF 2022 e nel DPB 2023 di novembre. Il disavanzo rimane quindi programmato al 4,5 per cento del PIL nel 2023, al 3,7 per cento nel 2024 e al 3 per cento nel 2025; viene poi fissato un obiettivo pari al 2,5 per cento per il 2026.
La differenza tra saldi programmatici e tendenziali nel biennio 2023-24 verrà destinata a finanziare nel 2023 un taglio del cuneo fiscale sui redditi medio-bassi di oltre 3 miliardi e ad aumentare nel 2024 il Fondo per la riduzione della pressione fiscale (per oltre 4 miliardi). Per disporre il rifinanziamento delle cosiddette politiche invariate a partire dal 2024 e per proseguire la riduzione della pressione fiscale nel biennio 2025-26, oltreché, in generale, per finanziare i nuovi provvedimenti che il Governo deciderà di adottare nell’ambito della manovra di fine anno , le coperture andranno individuate – secondo il DEF – all’interno del bilancio pubblico, anche attraverso un rafforzamento della revisione della spesa volta a individuare risparmi crescenti nel tempo, e attraverso una maggiore collaborazione tra fisco e contribuenti.
La strategia di finanza pubblica: alcune osservazioni generali. – Lo scenario programmatico di finanza pubblica conferma gli obiettivi del precedente documento programmatico, in continuità con quanto avvenuto nel recente passato. Queste scelte vanno nella direzione di affermare una programmazione più stabile nel medio termine che contempla una riduzione del rapporto tra il debito e il PIL, come peraltro proposto della Commissione europea nell’ambito della riforma del framework di regole della UE. Tuttavia, nel 2024, anno in cui verrà rimossa la clausola generale di salvaguardia, il deficit è ancora previsto superiore al 3 per cento del PIL e il percorso di riduzione del rapporto tra il debito pubblico e il PIL prevede diminuzioni nel triennio 2024-26 in media pari a circa 0,6 punti percentuali, inferiori a quelle prospettate in precedenza.
Questa impostazione di bilancio si inserisce in un contesto di incertezza dal punto di vista sia dello scenario macroeconomico sia delle prospettive di finanza pubblica. Oltre all’incertezza legata al PNRR e alla sua prospettata rimodulazione ancora da definire, si rileva che nel DEF sono presenti informazioni generiche sulle risorse da dedicare alle politiche invariate e sugli interventi che concorreranno alla loro copertura.
All’interno delle politiche invariate, solitamente, la componente più rilevante riguarda il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e, in proposito, si deve sottolineare che: è forte il rischio di aumenti significativi a causa dell’inflazione cumulata; le risorse stanziate nella legge di bilancio, ai fini dei rinnovi contrattuali, riguardano solo le Amministrazioni centrali e analoghe risorse devono essere reperite per il rinnovo delle Amministrazioni locali che verosimilmente non saranno in grado di trovarle all’interno dei propri bilanci; in prospettiva, tali elementi saranno di particolare rilevanza se si considera che nell’arco temporale del DEF rientrano sia il triennio economico di contrattazione 2022-24 di tutti i comparti pubblici sia i due terzi di quello successivo (2025-27).
Inoltre, non è chiaro come la riduzione del cuneo fiscale per i redditi medio-bassi, indicata come temporanea, si raccordi con gli interventi strutturali previsti nel disegno di legge delega per la riforma fiscale. Per quanto riguarda la possibilità di una riduzione della tassazione nell’arco della legislatura, nel DEF si fa riferimento, tra le possibili coperture, a una maggiore collaborazione tra fisco e contribuenti. Interventi volti ad aumentare la compliance sono desiderabili ma i loro effetti finanziari sono di incerta quantificazione ex-ante e possono emergere solo gradualmente nel tempo; per il principio di prudenza, è auspicabile che non vengano utilizzati a copertura di interventi strutturali di riduzione del carico fiscale.
Per quanto riguarda la spesa sanitaria, sebbene nelle previsioni tendenziali del DEF potrebbero essere state adottate ipotesi più realistiche rispetto alle stime precedenti circa l’effettiva necessità di finanziamento futuro, si ricorda che in Italia essa risulta inferiore alla media europea – con conseguenze sfavorevoli sulla qualità dei servizi offerti – con la possibilità che si renda necessario il rifinanziamento del servizio sanitario nazionale.
Infine, alcuni tra i provvedimenti collegati alla decisione di bilancio elencati nel DEF – come quello in materia di disciplina pensionistica – potrebbero richiedere risorse aggiuntive, di cui va individuata adeguata copertura finanziaria.
Nell’insieme, sembrerebbero quindi necessarie cospicue risorse di copertura che appaiono difficili da reperire, dopo il periodo di risanamento del recente passato, mantenendo i livelli attuali di prestazione dei servizi e politiche sociali.
È plausibile che alla luce delle recenti misure relative al blocco della cedibilità dei bonus edilizi le autorità statistiche decidano che essi debbano essere nuovamente classificati come crediti non pagabili sulla base del profilo di effettiva fruizione delle detrazioni dall’imposta. Ciò determinerebbe minori disavanzi di bilancio nel triennio 2023-25 ma peggiorerebbe quelli degli anni successivi. Un eventuale utilizzo dei margini di bilancio a seguito della ulteriore eventuale riclassificazione implicherebbe necessariamente un aumento del debito pubblico.
L’andamento programmatico del debito tra aumento dei tassi e minori acquisti della BCE. – Dopo il calo registrato nel 2022 (dal 149,9 al 144,4 per cento del PIL), il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto è atteso diminuire ancora negli anni successivi, passando dal 142,1 per cento nel 2023 al 140,4 per cento nel 2026. Si tratta di una discesa meno marcata rispetto a quella prevista nella NADEF: alla fine del periodo di programmazione il rapporto tra il debito e il PIL risulterebbe inferiore di circa 15 punti percentuali rispetto al picco del 2020 (154,9 per cento) ma superiore di oltre 6 punti percentuali rispetto alla situazione pre-pandemica del 2019, quando il debito era pari al 134,1 per cento del prodotto. Per raggiungere questo livello entro la fine del decennio dovrebbero realizzarsi ulteriori riduzioni del rapporto nel quadriennio 2027-2030 pari, in media, a circa 1,6 punti percentuali di PIL all’anno, superiori alle diminuzioni attualmente programmate per il triennio 2024-26.
A partire dal luglio scorso, il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha avviato la fase di restrizione della politica monetaria, dapprima ponendo fine agli acquisti netti di attività finanziarie nell’ambito dell’Asset Purchase Programme (APP) dal 1° luglio, e poi procedendo a un rialzo dei tassi d’interesse di riferimento della politica monetaria. Complessivamente, tra luglio dell’anno scorso e i primi mesi del 2023, l’incremento dei tassi di interesse di riferimento è stato pari a 3,5 punti percentuali. Inoltre, dallo scorso marzo il portafoglio dell’APP viene ridotto in media di 15 miliardi al mese, per effetto del reinvestimento solo parziale del capitale rimborsato sui titoli in scadenza e ciò proseguirà almeno fino a giugno.
Nel 2023, la spesa per interessi è prevista in diminuzione al 3,7 per cento del PIL, in coerenza con la progressiva discesa del tasso d’inflazione italiano ed europeo; nel triennio successivo, invece, la spesa per interessi tornerebbe a salire al 4,1 per cento del PIL nel 2024, al 4,2 nel 2025 e al 4,5 nel 2026. Ciò è dovuto principalmente ai seguenti fattori: 1) al rialzo della curva dei rendimenti sui titoli di Stato per tutto il periodo di programmazione, che implica un onere via via più significativo, cumulandosi negli anni gli effetti delle emissioni con un costo maggiore; 2) al livello ancora elevato del tasso d’inflazione, che nel DEF viene ipotizzato convergere verso valori vicini al 2 per cento solo a partire dal 2025 per quello italiano e dal 2026 per quello europeo; 3) al livello relativamente elevato del fabbisogno del settore statale (anche a causa dell’impatto di cassa dei crediti fiscali legati al Superbonus e al bonus facciate).
A seguito delle decisioni della BCE si può stimare l’impatto dei programmi dell’Eurosistema sul mercato dei titoli di Stato italiani per il 2023 valutando così l’ammontare dei flussi netti di titoli restanti che dovranno essere assorbiti dagli investitori privati. Secondo queste stime, le emissioni lorde dei titoli di Stato (rimborsi dei titoli in scadenza e nuove emissioni) al netto degli acquisti dell’Eurosistema sul mercato secondario ammonterebbero a 424 miliardi, circa 107 miliardi in più rispetto al 2022. Le emissioni nette di titoli di Stato (nuove emissioni) sempre al netto degli acquisti dell’Eurosistema sul mercato secondario sarebbero positive per 104 miliardi, in marcato aumento rispetto ai 2 miliardi stimati per il 2022. Gli investitori privati dovranno quindi assorbire una quantità di debito pubblico italiano rilevante rispetto agli anni passati.
Gli obiettivi del DEF tra vecchie e nuove regole. – Con la disattivazione della clausola di salvaguardia generale a fine 2023 la Commissione europea ha confermato che, in attesa della riforma del framework delle regole di bilancio, continuerà a valere per il 2024 la versione attuale del Patto di stabilità e crescita (PSC). Sulla base delle regole vigenti è possibile valutare sinteticamente gli obiettivi del DEF per il 2024, e per quanto riguarda la regola sul disavanzo anche per il 2023.
Da questa valutazione emerge che lo scenario programmatico del DEF prevede un obiettivo di aggiustamento strutturale nel 2024 coerente con la regola sul saldo strutturale del PSC; per quanto riguarda la regola sulla spesa, non è possibile verificarne il rispetto in quanto nel DEF 2023 non vengono riportati i valori dettagliati delle componenti necessarie per il calcolo dell’aggregato di spesa netta.
Per quanto riguarda la regola sul disavanzo nominale, nel DEF esso è previsto pari al 4,5 per cento del PIL nel 2023 e al 3,7 nel 2024. Il disavanzo in rapporto al PIL del 2023, di conseguenza, è superiore e non vicino al 3 per cento e il superamento del limite non è temporaneo. Se l’interpretazione della regola rimanesse invariata rispetto alla legislazione vigente del Patto di stabilità e crescita, vi è quindi il rischio che la Commissione europea possa proporre di aprire in primavera 2024 una procedura di disavanzo eccessivo per l’Italia sulla base del mancato rispetto della regola sul disavanzo nel caso in cui si dovesse effettivamente realizzare a consuntivo un indebitamento netto significativamente superiore al 3 per cento del PIL nel 2023 e il Governo dovesse confermare una violazione del limite del 3 per cento nel 2024.
Tuttavia, secondo le indicazioni della Comunicazione della Commissione sugli orientamenti di bilancio per il 2024, nella fase di transizione di riforma del framework UE le vecchie regole saranno interpretate anche tenendo conto del nuovo quadro proposto dalla Commissione stessa, ovvero con una particolare attenzione alla dinamica di medio termine del debito. Da questo punto di vista, gli obiettivi di saldo primario e di indebitamento netto contenuti nel DEF per il periodo 2023-26 appaiono coerenti con le indicazioni disponibili sulla proposta di riforma del nuovo framework di regole della UE, ipotizzando che il quadro macrofinanziario di medio termine sia in linea con l’esperienza storica pre-pandemia. L’analisi mostra inoltre che potrebbe essere necessario proseguire nella strategia di consolidamento oltre il periodo di programmazione del DEF fino a raggiungere un avanzo primario dell’ordine di 2,5-3 per cento del PIL per assicurare un’elevata probabilità della riduzione del debito in rapporto al PIL, anche in scenari sfavorevoli, e allo stesso tempo per finanziare il previsto aumento della spesa legata all’invecchiamento della popolazione.