Audizione nell’ambito dell’esame della Comunicazione “L’economia dell’UE dopo la COVID-19: implicazioni per la governance economica” della Commissione europea

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La Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Lilia Cavallari, è intervenuta in audizione presso la Commissione Bilancio della Camera, nell’ambito dell’esame della Comunicazione “L’economia dell’UE dopo la COVID-19: implicazioni per la governance economica” della Commissione europea.

Nel suo intervento, la Presidente dell’UPB si è soffermata sulla riforma delle regole di bilancio da introdurre prima della disattivazione, attesa per il 2023, della clausola di salvaguardia introdotta nel marzo del 2020 per contrastare gli effetti della pandemia da COVID-19 sulle economie dell’area dell’euro.

 

Nelle sue previsioni invernali la Commissione europea, ipotizzava un ritorno del PIL a livelli pre-pandemici entro la fine dell’anno in corso per tutti gli Stati membri. Di qui, la disattivazione della clausola per il 2023 e il ritorno dell’applicazione delle regole di bilancio. Considerato il quadro di incertezza innescato dalla guerra in Ucraina e dai suoi effetti sull’economia europea, la Commissione ha tuttavia già preannunciato di voler valutare di nuovo la disattivazione della clausola sulla base delle prossime previsioni di primavera.

 

Il ripristino del Patto di stabilità andrebbe in ogni caso accompagnato da una riforma delle regole di bilancio e, in generale, della governance economica della UE per adeguarle a un contesto economico profondamente mutato. Il dibattito pubblico che si è sviluppato sulla revisione delle regole di bilancio assume un rilievo particolare per l’Italia che, nella classifica dei paesi a più elevato rapporto tra debito e PIL, è seconda solo alla Grecia.

 

Nonostante le riforme del 2005 e del 2011, le regole che sovrintendono l’applicazione del Patto di stabilità e crescita (PSC) hanno del resto evidenziato una serie di criticità:

 

    • il carattere pro-ciclico delle regole numeriche e delle relative politiche fiscali, che si traduce nella richiesta di consolidamento dei conti in periodi di ciclo sfavorevoli e nella mancanza di adeguati disincentivi per allentamenti di bilancio in periodi di espansione (oltre all’assenza di procedure vincolanti che incentivino i paesi che hanno spazi di bilancio a utilizzarli nei periodi di rallentamento economico); ciò contribuisce ad aumentare l’ampiezza delle fluttuazioni cicliche allontanando il prodotto e l’occupazione dai valori tendenziali;

 

    • la caduta molto marcata degli investimenti pubblici in rapporto al PIL conseguente alle restrizioni di bilancio (nella media UE sono diminuiti dal 3,8 per cento del 2009 al 2,8 nel 2016 per poi risalire al 3,3 nel 2020; in Italia il rapporto è passato dal 3,7 per cento del 2009 al 2,1 per cento del 2018 ed è risalito solo successivamente per raggiungere il 2,6 per cento nel 2020, quindi ancora al di sotto della media della UE);

 

    • l’ampio utilizzo di indicatori non osservabili e che necessitano di essere stimati (output gap e elasticità delle componenti cicliche del bilancio rispetto alle basi imponibili, tra gli altri);

 

  • il significativo grado di flessibilità e di interpretazione delle regole, secondo decisioni spesso prese e rese note solo in autunno, quindi dopo la predisposizione dei Programmi di stabilità; e che, nel caso dell’Italia, ha contribuito a ridurre la portata del Documento di economia e finanza non solo come documento strategico di medio termine della finanza pubblica, ma anche come strumento per fissare gli obiettivi dei principali saldi di bilancio per l’anno successivo.

 

Il riconoscimento dei problemi e il dibattito pubblico che ne è seguito hanno condotto a una serie di proposte di riforma che in parte si riflettono in alcuni “temi chiave”, sui quali potrebbe essere trovato un consenso fra gli Stati membri. A cominciare dall’opinione secondo cui il nuovo framework di bilancio dovrebbe assicurare la sostenibilità del debito e promuovere la crescita attraverso il sostegno agli investimenti e alle riforme.

 

Il primo tra i temi chiave in discussione riguarda il ruolo degli investimenti pubblici e l’introduzione nelle regole fiscali di una qualche forma di “golden rule”, permettendo il ricorso al disavanzo per finanziare spese con ricadute nel lungo periodo (per la transizione climatica e la trasformazione digitale, ad esempio) o per finanziare beni pubblici europei (ricerca e innovazione, difesa, sicurezza, autonomia energetica, stabilità finanziaria).

 

I possibili effetti di una golden rule sono illustrati con un esercizio stilizzato basato su un’applicazione semplificata delle regole di bilancio. Lo scenario base è rappresentato dall’applicazione senza modifiche della regola di avvicinamento verso l’Obiettivo di medio termine (OMT). Questo scenario viene confrontato con uno che accompagni l’aggiustamento sul saldo strutturale con un’espansione annuale di 0,5 punti percentuali di PIL degli investimenti pubblici cumulata a partire dal 2023 fino al 2030. Con due diverse ipotesi di investimenti associati alla golden rule: una relativa a tutti gli investimenti pubblici; la seconda, nella quale si ipotizza un incremento selettivo, concentrato su investimenti a maggiore impatto in termini di moltiplicatore, come, ad esempio, gli investimenti pubblici in energia rinnovabile.

 

L’impatto sul PIL nelle due ipotesi, stimato rispettivamente attraverso il moltiplicatore del modello Memo-IT, utilizzato dall’UPB, e mediante un moltiplicatore stimato dal Fondo monetario internazionale sulla base di dati relativi a diversi paesi, è in entrambi i casi rilevante: nel primo scenario, il PIL reale sarebbe nel 2030 più elevato del 3,8 per cento rispetto allo scenario con il solo aggiustamento strutturale; nel secondo caso, nel 2030 il PIL reale sarebbe superiore del 5,4 per cento.

 

L’impatto risulterebbe favorevole anche sulla riduzione del debito in rapporto al PIL. Fino al 2025, la riduzione del rapporto in ambedue gli scenari con golden rule sarebbe superiore allo scenario con soli aggiustamenti strutturali. Successivamente, la riduzione continuerebbe a essere superiore nello scenario con investimenti pubblici in energia rinnovabile: nel 2030, la riduzione del rapporto rispetto al 2022 nello scenario con il solo aggiustamento strutturale sarebbe pari a 8,6 punti percentuali, mentre nello scenario con la golden rule in investimenti pubblici in energia rinnovabile la diminuzione sarebbe superiore e pari a 10,9 punti percentuali.

 

Una golden rule ben congegnata, in sostanza, potrebbe consentire di coniugare meglio un percorso di consolidamento del debito con la crescita.

 

Altro tema chiave in discussione riguarda da un lato l’individuazione del debito in rapporto al PIL come principale parametro del nuovo framework (cosiddetta àncora), dall’altro una revisione del livello dell’obiettivo per il rapporto tra il debito e il PIL e della dinamica di avvicinamento a esso. Dati i livelli di debito raggiunti a fine 2021, sul tavolo ci sono varie ipotesi: aumentare il parametro di riferimento del rapporto tra il debito e il PIL previsto dal Trattato di Maastricht, innalzandolo all’attuale valore medio della UE, prossimo al 100 per cento; in alternativa, consentire un periodo più lungo per il raggiungimento dell’obiettivo, per esempio 40 anni invece di 20 (come previsto dall’attuale regola di aggiustamento del debito); o, ancora, prevedere un percorso di riduzione più graduale per il debito generato da eventi esogeni quali, ad esempio, la pandemia o da condizioni macroeconomiche sfavorevoli.

 

Per valutare le implicazioni di una regola che abbia come caratteristica principale un obiettivo di debito di medio termine e il relativo sentiero di aggiustamento, è stato condotto un esercizio stilizzato in cui si suppone il ritorno dal 2023 di una regola di riduzione del debito secondo tre diverse configurazioni: 1) la prima ipotizza l’attuale regola di riduzione del debito pubblico contenuta nel PSC (il debito in rapporto al PIL si deve ridurre di un ventesimo l’anno rispetto al 60 per cento del PIL); 2) la seconda ipotizza che il rapporto si riduca di un quarantesimo l’anno rispetto al 60 per cento del PIL; 3) la terza che il rapporto si riduca di un ventesimo l’anno rispetto al 100 per cento del PIL.

 

In tutti gli scenari, il rispetto della regola richiederebbe nel 2023 un miglioramento rilevante del saldo primario rispetto al 2022. Nel primo, occorrerebbe un saldo primario pari a circa il 4 per cento del PIL nel 2023 con un aumento di quasi 7 punti percentuali rispetto al 2022. Nello scenario con una velocità di aggiustamento inferiore, il saldo primario necessario nel 2023 sarebbe negativo, ovvero un disavanzo pari a circa mezzo punto percentuale, corrispondente comunque a un miglioramento di quasi 2 ½ punti percentuali rispetto al 2022. Nella terza ipotesi (obiettivo di rapporto tra il debito e il PIL del 100 per cento da raggiungere in 20 anni) il saldo primario richiesto sarebbe il pareggio, un miglioramento di poco meno di 3 punti di PIL rispetto all’anno precedente. Per gli anni successivi, l’avanzo richiesto per il saldo primario dovrebbe rimanere elevato nel primo scenario (circa il 2 per cento del PIL in media dal 2024 al 2030), mentre negli altri due l’avanzo primario necessario sarebbe pari in media a circa mezzo punto percentuale del PIL, un livello più contenuto ma ambizioso se il suo raggiungimento dovesse essere richiesto in tempi rapidi.

 

Per quanto riguarda le possibili corrispondenti riduzioni del rapporto tra il debito e il PIL, nel primo scenario il debito si ridurrebbe nel 2030 di oltre 31 punti percentuali di PIL rispetto al 2022; negli altri due scenari la riduzione rispetto al 2022 sarebbe pari a circa 16-17 punti percentuali di PIL.

 

È importante sottolineare che questi scenari sono stati stimati senza considerare l’impatto sul PIL che gli aggiustamenti di bilancio potrebbero comportare e i relativi effetti di retroazione sulla finanza pubblica. Considerando tali effetti, gli aggiustamenti dei saldi primari porterebbero a una riduzione minore del rapporto tra il debito e il PIL.

 

Oltre all’individuazione del rapporto tra il debito e il PIL come àncora del nuovo framework, altro argomento oggetto di numerose proposte riguarda la semplificazione dell’attuale sistema di regole. In pratica, si ipotizza di utilizzare un solo indicatore, analogo all’attuale regola della spesa, per il monitoraggio. Questo indicatore rappresenterebbe quindi un obiettivo operativo o intermedio, fissato sulla base di una serie di criteri e ipotesi. Rispetto all’applicazione della regola della spesa attuale, il tasso di crescita consentito dovrebbe essere calcolato per permettere di raggiungere il livello obiettivo dell’àncora del debito nel tempo di aggiustamento stabilito. Se il livello del rapporto tra il debito e il PIL effettivo è superiore all’àncora, la crescita nominale della spesa netta dovrà essere inferiore al tasso di crescita del PIL nominale, dove quest’ultimo è calcolato sulla base delle stime di crescita del PIL reale effettivo, potenziale o di trend negli anni futuri e di un’ipotesi di tasso di inflazione. Quello di riferimento potrebbe essere il tasso previsto oppure quello coerente con gli obiettivi della Banca centrale europea (BCE).

 

In un’unione economica e monetaria come l’area dell’euro, dove le politiche di bilancio rimangono competenza dei governi nazionali, il ritorno delle regole di bilancio è importante in quanto può risultare uno degli strumenti per il coordinamento delle politiche economiche tra gli Stati membri in un contesto economico profondamente segnato dalla crisi pandemica, dalla guerra in Ucraina e dalle sfide della transizione ecologica. In questo mutato contesto, il ritorno delle regole del PSC rappresenta un’occasione cruciale per una loro profonda riforma in modo da eliminarne o almeno ridurne gli aspetti più problematici.

 

Le nuove regole dovrebbero contribuire a contemperare l’esigenza di sostenibilità del debito con quella di stabilizzare le fluttuazioni economiche e promuovere la crescita; ciò comporta la richiesta di aggiustamenti di bilancio modulati sulla base della situazione macroeconomica, finanziaria e di finanza pubblica di ciascun paese e della UE nel suo complesso.

 

La necessità di regole che preservino o rafforzino le spese produttive e gli investimenti pubblici è condivisibile sia per il loro più elevato moltiplicatore, sia per il contributo che possono dare alla crescita di medio periodo. È inoltre importante che le regole siano coerenti con il fabbisogno di investimenti mirati, necessari per accompagnare la transizione energetica, ambientale e digitale. La tutela degli investimenti richiede però di perseguire l’aggiustamento di bilancio nel corso dei prossimi anni attraverso riduzioni della spesa corrente o innalzando la pressione fiscale: occorrerà uno sforzo significativo per individuare le priorità di spesa e aumentarne l’efficacia e per allargare le basi imponibili attraverso il rafforzamento della lotta all’evasione e la razionalizzazione del sistema tributario.

 

Tra le modifiche dei parametri sui quali basare il percorso di riduzione del debito, appaiono più convincenti quelle che indicano obiettivi e percorsi di aggiustamento differenziati sulla base delle condizioni specifiche di ogni singolo paese. Più complessa è la valutazione delle proposte che suggeriscono una semplificazione delle regole indicando nel rapporto tra il debito pubblico e il PIL l’unico riferimento di medio periodo e nella crescita della spesa netta il solo indicatore per il monitoraggio annuale.

 

Un quadro di regole semplificato, basato su indicatori preferibilmente osservabili e più decentralizzato potrebbe migliorare la comprensione del processo di sorveglianza della UE da parte delle autorità nazionali e del pubblico in generale. Occorrerà però che l’obiettivo di debito di medio periodo sia credibile, coerente con un sentiero di crescita sostenuta e sostenibile; e che possa essere rivisto in caso di condizioni macroeconomiche e finanziarie mutate (o in senso favorevole o sfavorevole) rispetto alle ipotesi iniziali. L’utilizzo dell’indicatore basato sulla spesa netta per il monitoraggio annuale riduce i problemi di osservabilità e comprensibilità rispetto al saldo strutturale ma non li elimina.

 

Negli anni pre-pandemici, la complessità delle regole ha richiesto un significativo grado di interpretazione che, in molti casi, ha portato a decisioni rese note solo in autunno. È auspicabile che, con la riforma del quadro di sorveglianza, eventuali nuovi elementi per l’interpretazione delle regole vengano forniti a livello della UE prima della predisposizione dei Programmi di stabilità da parte degli Stati membri, che le strategie di medio termine contenute in questi documenti riacquistino la loro centralità e che le ragioni per eventuali modifiche siano adeguatamente motivate. Inoltre, è necessario assicurare la coerenza dei Documenti programmatici di bilancio annuali approvati in autunno con le strategie pluriennali stabilite in primavera. In tale ottica, è importante garantire un flusso tempestivo di informazione e l’indicazione di chiare linee guida per la predisposizione e il monitoraggio dei piani di aggiustamento e dei documenti di finanza pubblica.

 

Ristabilire regole efficaci è solo uno degli strumenti per potenziare la governance economica della UE. La riforma del sistema di regole non può infatti prescindere da un rafforzamento del coordinamento tra politica di bilancio e politica monetaria, il cosiddetto policy mix. La crisi pandemica ha infatti evidenziato ancora più chiaramente la necessità e i vantaggi di un più forte coordinamento tra politica monetaria e politica di bilancio.

 

L’architettura istituzionale della UE già prevede importanti momenti di coordinamento delle politiche economiche nell’area comune, attraverso il Semestre europeo per quanto riguarda la coerenza del quadro macroeconomico dell’area e con lo European Fiscal Board per la coerenza dell’orientamento fiscale comune. È auspicabile che questi strumenti siano efficacemente rafforzati.

 

Il coordinamento, inoltre, sarebbe ancora più incisivo in presenza di un maggiore spazio fiscale comune sia per fini di stabilizzazione macroeconomica nell’area dell’euro sia per finanziare i beni pubblici europei. Sarebbe quindi auspicabile la creazione di un fondo comune (capacità di bilancio) che, affiancato alle politiche nazionali, agevolasse la determinazione di un orientamento fiscale coerente nell’area dell’euro in grado di rispondere sia a shock comuni a tutta l’area sia a shock asimmetrici che colpiscano i diversi paesi in modo differenziato. Per quanto riguarda i beni pubblici europei, l’esperienza del programma Next Generation EU può rappresentare un valido modello di riferimento. In tale ottica, è necessario che il programma raggiunga pienamente gli obiettivi che si è preposto in modo che possa essere considerato un suo rinnovo o rafforzamento dopo il 2026. Un più ampio spazio fiscale comune avrebbe ripercussioni favorevoli anche sul funzionamento della politica monetaria la quale non sarebbe più isolata nel compito di stabilizzazione macroeconomica e acquisirebbe maggiore spazio di manovra sui tassi di interesse.

 

La revisione della governance economica della UE rappresenta un’occasione unica per approfondire questi temi fondamentali.