Audizione sul disegno di legge di bilancio 2019

 

Il Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Giuseppe Pisauro, è stato ascoltato oggi in audizione dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato nell’ambito dell’esame preliminare della manovra economica per il triennio 2019-2021.

 

Nel suo intervento il presidente Pisauro ha analizzato i contenuti della manovra, illustrando le valutazioni dell’UPB sul suo impianto complessivo, sugli andamenti delle principali grandezze di finanza pubblica, sui principali interventi ipotizzati e sui loro effetti.

 

Questi in estrema sintesi i punti salienti evidenziati nel corso dell’audizione.

 

Quadro macroeconomico – Il rallentamento congiunturale già sottolineato in occasione della presentazione della NADEF si è ulteriormente accentuato. Ne risulta confermata la previsione, indicata in sede di validazione dello scenario tendenziale di una crescita dell’1,1 per cento del PIL 2018, mentre emergono ulteriori rischi al ribasso relativamente al prossimo anno. Secondo le stime di breve termine dell’UPB  la crescita del 2019 già acquisita risulterebbe pari allo 0,1 per cento, rendendo l’obiettivo di aumento del PIL per il prossimo anno (1,5 per cento) ancora più ambizioso di quanto già rilevato in precedenza.

 

La manovra e il quadro di finanza pubblica – La manovra peggiora il disavanzo pubblico, sia rispetto al deficit tendenziale sia, per il biennio 2019-2020, rispetto al risultato atteso per il 2018, che verrebbe nuovamente raggiunto solo nel 2021. La riduzione del disavanzo nel 2020 e nel 2021 si otterrebbe peraltro unicamente grazie al mantenimento di una quota di clausole di salvaguardia su IVA e accise, pari rispettivamente allo 0,7 (13,7 miliardi) e allo 0,8 per cento (15,6 miliardi) del PIL.

 

Le grandezze della finanza pubblica programmate dal Governo appaiono soggette a rischi (indebolimento del quadro macroeconomico e impatto dell’evoluzione recente dei tassi di interesse) e incertezze (l’efficacia delle misure di razionalizzazione della spesa, i tempi di attuazione delle norme sul “reddito di cittadinanza” e sulla riforma del sistema pensionistico, l’effettiva realizzazione dei valori programmatici della spesa per investimenti).

 

Nelle valutazioni più recenti dell’UPB, che incorporano la manovra al suo valore facciale, l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche si posizionerebbe nel 2019 al 2,6 per cento del PIL. In particolare, le divergenze rispetto alla stima della NADEF e a quella recentemente diffusa dalla Commissione europea sono imputabili alla diversa previsione sulla crescita economica e all’impatto dell’aumento dello spread sulla spesa per interessi.

 

Il nuovo regime per le partite IVA e le modifiche alla tassazione delle imprese – La manovra prevede misure quantitativamente e qualitativamente rilevanti sul reddito di impresa (conferma dell’eliminazione dell’IRI e abolizione dell’ACE) e su quello delle partite IVA inferiori ai 65.000 euro e tra 65.000 e 100.000 euro che riguarderebbero circa l’80 per cento dell’insieme di lavoratori autonomia e imprenditori individuali.

 

Il nuovo schema di imposizione (dal quale è atteso, complessivamente, un aumento del carico tributario di 6,1 miliardi nel 2019 e una riduzione di 0,5 miliardi nel 2020 e di 1,8 dal 2021) fa emergere una maggiore frammentazione del sistema e alcune importanti modifiche strutturali. L’IRI, anche se costituiva un regime opzionale, determinava una maggiore neutralità fiscale nella scelta della forma giuridica dell’impresa. La sua abolizione e l’introduzione del nuovo regime per i lavoratori autonomi e per le imprese individuali, caratterizza le diverse possibilità di tassazione oltre che sulla base della natura giuridica, anche sulla base delle caratteristiche dimensionali delle imprese, generando di fatto tre regimi di tassazione: al regime progressivo dell’Irpef (a cui sono soggette le imprese individuali in contabilità ordinaria e le società di persone) e a quello proporzionale dell’Ires (a cui sono sottoposte le società di capitali) si aggiunge un ulteriore regime proporzionale per i soggetti persone fisiche ammessi al regime forfettario e alla imposta sostitutiva (imprese individuali e lavoratori autonomi).

 

 “Quota 100” e il Fondo per la revisione del sistema pensionistico – Una valutazione puntuale dell’adeguatezza delle risorse nel Fondo per la revisione del sistema pensionistico rispetto agli obiettivi di modifica del sistema stesso (6,7 miliardi nel 2019 e 7 miliardi a decorrere dal 2020) sarà possibile solo dopo l’approvazione dei relativi criteri di attuazione dell’eventuale apertura di un nuovo canale di pensionamento. Se questo canale fosse parametrato a una eventuale “quota 100” come somma di un’età almeno pari a 62 anni e di un’anzianità contributiva di almeno 38 anni, la misura potrebbe potenzialmente riguardare nel 2019 fino a 437.000 contribuenti attivi. Qualora l’intera platea utilizzasse il canale di uscita appena soddisfatti i requisiti potrebbe comportare un aumento della spesa pensionistica lorda stimabile in quasi 13 miliardi nel 2019 e sostanzialmente stabile negli anni successivi.

 

Questa stima non è ovviamente direttamente confrontabile con le risorse stanziate nel Fondo per la revisione del sistema pensionistico per vari fattori: dal tasso di sostituzione dei potenziali pensionati con nuovi lavoratori attivi a valutazioni di carattere soggettivo (condizione di salute o penosità del lavoro) o oggettivo (tasso di sostituzione tra reddito e pensione, divieto di cumulo tra pensione e altri redditi, altre forme di penalizzazione). Resta il fatto che, secondo stime UPB, chi optasse per quota 100 subirebbe una riduzione della pensione lorda rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale da circa il 5 per cento in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30 per cento se l’anticipo è di oltre 4 anni.

 

Le misure per il rilancio degli investimenti – Il rilancio degli investimenti pubblici è uno degli obiettivi prioritari della strategia del Governo che punta a riportare la spesa al livello pre-crisi del 3 per cento del PIL. Per realizzarlo la manovra prevede risorse per investimenti e contributi agli investimenti per complessivi circa 1,4 miliardi nel 2019, 6,5 nel 2020 e 7,6 nel 2021 suddivisi un due fondi, uno per la Amministrazioni centrali e uno agli Enti locali. Vengono inoltre previsti interventi sul quadro normativo (in particolare Codice degli appalti e regole di bilancio degli Enti territoriali) con misure di semplificazione e correzione sia, infine, introducendo strumenti per fronteggiare le carenze tecnico-organizzative delle Amministrazioni, soprattutto locali, nel programmare, progettare e valutare gli investimenti pubblici.

 

Gli obiettivi appaiono condivisibili anche se la loro realizzazione appare ambiziosa alla luce dell’esperienza recente che ha visto anche nel 2017 una spesa ancora in calo e pari a 33,8 miliardi, inferiore di oltre 20 miliardi rispetto alla spesa del 2009. Per il 2018, il MEF stima una riduzione ulteriore degli investimenti pubblici, che dovrebbero scendere a circa 33 miliardi di euro.

 

Gli interventi sulla finanza locale – Una parte significativa della manovra è diretta ad aumentare la capacità di spesa da parte degli Enti territoriali al cui incremento contribuisce anche la revisione delle regole di finanza locale, che, in linea con i rilievi della Corte costituzionale, consente l’utilizzo degli avanzi di amministrazione. Appaiono elevate, ancorché di incerta quantificazione, le somme (circa 16 miliardi a fronte dei 22 miliardi di avanzi potenzialmente spendibili iscritti nei bilanci degli enti) che potrebbero essere utilizzate con maggiore rapidità rispetto alle ipotesi governative, anche alla luce del fatto che si tratterebbe di interventi a lungo rinviati durante la fase di compressione della spesa degli anni pregressi. L’analisi su base territoriale dell’impatto della misura fa emergere una situazione eterogenea tra aree del paese, con una maggiore concentrazione degli avanzi disponibili al Nord.

 

Nel DDL di bilancio viene inoltre data possibilità a ciascun ente di finanziare gli investimenti con nuovo indebitamento, con il solo limite della sostenibilità del piano di ammortamento dei debiti in essere. Una misura, che consentirebbe una accelerazione della spesa per investimenti già finanziata da mutui, attraverso la libera utilizzazione del Fondo Pluriennale Vincolato alimentato da debito, ma determinerebbe il ricorso a nuovo indebitamento sin dal primo anno, con impatto immediato sul disavanzo e sul debito della PA.