Audizione sul disegno di legge di bilancio per il 2022

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Il Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), Giuseppe Pisauro, è stato ascoltato oggi in audizione dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato nell’ambito dell’esame del disegno di legge di bilancio 2022.

 

Nel suo intervento il Presidente Pisauro ha analizzato i contenuti della manovra di bilancio, focalizzando l’attenzione sul quadro macroeconomico nel quale il disegno di legge di bilancio si colloca e illustrando le valutazioni dell’UPB sul suo impianto complessivo, sugli andamenti delle principali grandezze di finanza pubblica alla luce degli interventi ipotizzati, sulle principali misure previste.

 

Il quadro macroeconomico alla luce della manovra. – Il DDL di bilancio si colloca nell’alveo del quadro programmatico macroeconomico e di finanza pubblica fissato per il triennio 2022-24 nel Documento programmatico di bilancio (DPB), che ha confermato le previsioni presentate nell’ultima Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (NADEF); al riguardo, l’UPB ha validato sia il quadro macroeconomico tendenziale sia quello programmatico della NADEF 2021, sebbene evidenziando i rischi al ribasso sulla crescita dei prossimi anni.

 

Per il 2021 il DPB prospetta un aumento del PIL pari al 6,0 per cento, notevolmente migliore rispetto a quello prefigurato in primavera nel Documento di economia e finanza (DEF) 2021. Lo scenario relativo al 2022 incorpora la manovra di bilancio, che porterebbe la variazione del PIL stimata dal MEF al 4,7 per cento, mezzo punto sopra lo scenario tendenziale; l’anno successivo l’effetto espansivo della manovra si ridurrebbe a due decimi di punto di PIL (che aumenterebbe del 2,8 per cento dal 2,6 del tendenziale), mentre si annullerebbe nel 2024.

 

Successivamente alla data di pubblicazione della NADEF è stata resa nota dall’Istat la stima preliminare del PIL sul terzo trimestre del 2021 (2,6 per cento su base congiunturale), risultata migliore di quanto atteso sia dai maggiori previsori sia dal Governo all’epoca della definizione del Quadro macroeconomico (QM) del MEF. Secondo le stime effettuate con i modelli di breve termine dell’UPB nel quarto trimestre dell’anno in corso, nell’ipotesi di assenza di nuove restrizioni per l’emergenza sanitaria, il PIL si espanderebbe in termini congiunturali poco al di sotto di un punto percentuale. Considerando una crescita dello 0,7 per cento la variazione del PIL nel complesso del 2021 sarebbe del 6,3 per cento e si renderebbe possibile il rientro sui livelli di attività precedenti al COVID-19 già dal prossimo inverno; se anche negli ultimi tre mesi dell’anno la crescita economica fosse nulla la variazione del PIL nel 2021 sarebbe comunque del 6,1 per cento, quindi appena superiore all’obiettivo del Governo.

 

Nelle ultime settimane si è registrata anche in Italia una recrudescenza dell’epidemia che potrebbe influenzare l’attività economica tra lo scorcio finale di quest’anno e l’avvio del successivo. Nell’opinione del panel dei previsori UPB potrebbero inoltre configurarsi altri scenari avversi che delineano quindi una prevalenza di rischi al ribasso. Nel confronto con le previsioni recenti di istituzioni e analisti privati gli obiettivi del Governo sul PIL risultano cauti per il 2021 mentre si collocano nella fascia alta delle stime per i prossimi anni.

 

Nel complesso il DDL di bilancio e il DL fiscale 146/2021 espandono il deficit pubblico per 1,2 punti percentuali di PIL nel 2022 (23,3 miliardi), per 1,5 punti nel 2023 (29,9 miliardi) e per 1,3 nel 2024 (25,7 miliardi), tra l’80 e il 90 per cento per interventi dal lato delle uscite. Secondo una simulazione effettuata con il modello macroeconometrico in uso all’UPB (MeMo-It), l’effetto dei provvedimenti sull’economia italiana sarebbe quantificabile in una maggiore crescita nel 2022 e nel 2023, rispettivamente di 0,5 e 0,3 punti di PIL, mentre l’impatto risulterebbe appena restrittivo nell’anno finale di previsione. Tali effetti sono molto simili sia a quelli indicati dal Governo sia a quelli stimati dall’UPB nell’ambito dell’esercizio di validazione dei quadri macroeconomici della NADEF 2021.

 

La manovra e il suo impatto finanziario. – Il DPB ha confermato gli obiettivi programmatici della NADEF: un deficit pari al 5,6 per cento del PIL nel 2022 (rispetto al 9,4 per cento stimato per l’anno in corso) in discesa al 3,9 per cento nel 2023 e al 3,3 per cento nel 2024. Il rapporto tra il debito e il PIL, aumentato di oltre 20 punti percentuali nel 2020 (al 155,6) e atteso in discesa nell’anno in corso (153,5 per cento), nei programmi del Governo dovrebbe ridursi al 149,4 per cento nel 2022, al 147,6 nel 2023 sino ad attestarsi al 146,1 nel 2024, un livello di circa 12 punti percentuali di PIL superiore rispetto al livello del 2019 e di circa 3 punti superiore rispetto a quanto previsto, sempre per il 2024, nello scenario tendenziale della NADEF (pari al 143,3 per cento).

 

Rispetto al tendenziale, la manovra di bilancio prevede interventi espansivi pari al 2 per cento del PIL nel 2022, che si riducono a 1,9 nel 2023 e a 1,8 nel 2024. Le risorse di copertura si collocano allo 0,7 per cento del PIL nel prossimo anno, allo 0,4 nel 2023 e allo 0,6 nel 2024. Per il 2022, le misure espansive ammontano a 37 miliardi a fronte dei quali sono attese risorse di copertura per 13,7 miliardi, con conseguente incremento del deficit di 23,3 miliardi. Per il biennio 2023-24, si osservano impieghi più elevati rispetto al 2022 (38,4 miliardi nel 2023 e 37,8 nel 2024) e minori risorse (8,5 miliardi nel 2023 e 12,2 nel 2024), con conseguente maggiore impatto sul deficit in termini nominali (pari a 29,9 miliardi nel 2023 e a 25,7 nel 2024).

 

Alcune osservazioni generali sulla manovra. – In un contesto di miglioramento dei conti tendenziali rispetto al DEF, basato su più favorevoli andamenti macroeconomici e dei tassi di interesse, la manovra risulta di intonazione espansiva, pur mantenendo il profilo di rientro graduale del deficit. Nel quadro programmatico, nell’ultimo anno di programmazione, il deficit sarebbe superiore al 3 per cento del PIL e sussisterebbe ancora un disavanzo primario, di poco inferiore all’1 per cento.

 

Gli interventi presentano elementi di indeterminatezza e si prospetta, per taluni aspetti, una manovra in divenire, in cui viene operato il rinvio di alcune scelte la cui definizione avverrà verosimilmente lungo l’iter parlamentare di approvazione. La riforma fiscale, ad esempio, risulta per ora delineata solo nei suoi principi fondamentali, con la sola definizione complessiva dello stanziamento del fondo per la riduzione della pressione fiscale e l’indicazione di massima del campo di intervento.

 

Quanto all’impostazione espansiva della manovra, questa è ascrivibile in misura preponderante a un notevole incremento delle spese (compreso tra l’1 e l’1,4 per cento del PIL), in particolare di quelle correnti (pari allo 0,8-1 per cento del PIL), alcune delle quali compensano in parte il venir meno dei sostegni per fronteggiare la pandemia.

 

Con riguardo alla natura degli interventi, dopo gli ingenti sostegni forniti nel biennio 2021-22, alcuni sono volti a prorogare (talvolta anche di un solo anno) norme precedenti con contemporanea progressiva riduzione dei benefici; altri hanno un carattere più strutturale, con effetti quindi permanenti o di lungo periodo sui conti pubblici. Sono presenti, inoltre, provvedimenti che potrebbe essere necessario riproporre a breve termine, come quelli diretti a contenere gli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico e del gas naturale.

 

Infine, sono da evidenziare le disposizioni connesse con l’attuazione del PNRR o a esso complementari. Vengono disposti provvedimenti in linea con gli obiettivi trasversali del PNRR, sono finanziate misure infrastrutturali escluse dal PNRR, vengono prospettati finanziamenti di norme indirizzate a dare continuità al PNRR stesso dopo il 2026, sono presenti disposizioni, di aumento della spesa corrente, atte a finanziare oneri di funzionamento, con elevati oneri a regime a partire dal 2027, quando dovrebbero essere ormai realizzate le infrastrutture previste dal PNRR.

 

In un contesto in cui l’attuazione del PNRR comporta un allungamento delle decisioni di bilancio oltre il triennio di programmazione, in presenza di provvedimenti di carattere strutturale, con effetti quindi permanenti sui conti pubblici anche sul lato della spesa di parte corrente, sarebbe utile una rappresentazione più chiara del profilo temporale del quadro di finanza pubblica almeno sino al 2026, o anche oltre, al 2030, anno in cui si vuole riportare il rapporto tra il debito pubblico e il PIL al di sotto del valore del 2019, come indicato nella NADEF.

 

Come già osservato dall’UPB in varie occasioni, è auspicabile una piena realizzazione di impegni – in particolare quelli relativi agli investimenti – che, tuttavia, appaiono di complessa attuazione. Dati i carichi amministrativi e organizzativi da affrontare si pone, infatti, un problema di adeguatezza delle strutture delle amministrazioni circa la capacità di attivazione della spesa, per cui appare necessario un rinnovamento organizzativo della PA, tramite l’acquisizione di figure professionali adatte, da collocare là dove emergono le carenze più evidenti. I cambiamenti avviati in tali ambiti dovrebbero costituire le prime occasioni per sfruttare l’opportunità di raggiungere un nuovo assetto della distribuzione del personale pubblico, che tenga conto delle nuove priorità, superando i limiti di programmazione e di gestione del personale, connessi anche alle misure di blocco o restrizione del turnover che per lungo tempo hanno condizionato le dotazioni degli addetti.

 

Il raggiungimento degli obiettivi del quadro programmatico di finanza pubblica, soggetto ai rischi di natura macroeconomica interna e internazionale e a quelli legati alla tempistica dell’uscita dall’emergenza pandemica, dipenderà dalla capacità di realizzazione degli interventi sia del PNRR che della manovra espansiva appena disposta, con il massimo impegno rivolto al consolidamento di una ripresa duratura della crescita dopo il rimbalzo dell’anno in corso.

 

L’ultima parte dell’Audizione è dedicata all’analisi qualitativa e quantitativa delle principali misure, dal Superbonus alle misure destinate alle imprese, dalle novità in materia pensionistica e di ammortizzatori sociali ai provvedimenti riguardanti la sanità, il pubblico impiego e la riscossione.

 

Superbonus. – Il DDL di bilancio proroga, con modalità differenti, le molteplici detrazioni fiscali vigenti sulle spese sostenute per l’efficientamento e la riqualificazione energetica, per la riduzione del rischio sismico e per il miglioramento delle condizioni degli immobili e per gli interventi sui giardini con un onere complessivo nel periodo 2022-2036 pari a 30,8 miliardi Di questi, 14,1 miliardi sono destinati al Superbonus, portando a 33,3 miliardi le risorse complessivamente destinate al finanziamento di tale incentivo dalla sua introduzione a oggi.

 

Vista l’appetibilità dell’incentivo e l’assenza di un tetto massimo sulla spesa, nell’audizione si analizzano i dati sull’effettivo utilizzo della misura. Dal monitoraggio dell’ENEA a tutto il mese di ottobre emerge, in sintesi: 1) un complesso di investimenti agevolabili di oltre 9,7 miliardi, a cui corrispondono agevolazioni future per circa 10,7 miliardi: a due mesi dalla fine del 2021 gli interventi già ammessi all’agevolazione costituiscono circa l’85 per cento di quelli attesi nelle stime ufficiali al momento dell’introduzione della misura per i primi 18 mesi di applicazione del provvedimento; 2) gli interventi hanno riguardato un numero relativamente limitato di unità immobiliari (circa 57.700, di cui 8.356 condomini, lo 0,7 per cento del totale degli edifici con più di quattro abitazioni) per un importo medio di spesa elevato (circa 169.000 euro per fabbricato; 573.600 euro per i condomini e 100.000 euro per gli edifici unifamiliari e altre unità funzionalmente indipendenti); 3) una dinamica della spesa pronunciata negli ultimi mesi, con un trend di crescita che non sembra attenuarsi (2,2 miliardi a ottobre, contro i circa 1,8 del mese precedente); 4) una spesa media per comparto che è aumentata di mese in mese; 5) una diversa distribuzione territoriale della spesa agevolata con il Superbonus rispetto a quella incentivata dall’Ecobonus, che ha comportato un parziale riequilibrio territoriale della distribuzione dei benefici: se oltre il 72 per cento delle spese agevolate con l’Ecobonus affluiva al Nord e solo l’11 per cento al Sud, con il Superbonus le quote passano rispettivamente al 44 per cento e al 34 per cento.

 

Alcuni fattori potrebbero contribuire a spiegare queste prime evidenze sull’utilizzo del Superbonus. In primo luogo, l’elevata dimensione della detrazione di imposta riconosciuta e la possibilità di ricorrere allo sconto in fattura da parte del fornitore o di usufruire di un credito di imposta cedibile a terzi ha consentito di accedere agli interventi agevolati anche a soggetti con reddito relativamente più basso e con problemi di liquidità. In secondo luogo, la crescente domanda di servizi di riqualificazione energetica potrebbe aver contribuito all’insorgere di tensioni sui prezzi dei servizi agevolati e delle materie prime come segnalato dagli operatori del settore e dalle rilevazioni Istat sui prezzi. In prospettiva, prezzi più elevati potrebbero, da un lato, spingere ulteriormente le spese verso i massimali contribuendo a incrementare il costo complessivo per l’erario e, dall’altro, nel caso di interventi di importo già prossimo al massimale, ridurre l’entità degli interventi sottoposti ad agevolazione. In terzo luogo, il venir meno del contrasto di interessi tra fornitori e acquirenti per effetto della completa copertura dei costi da parte dell’incentivo potrebbe aver influito su prezzi concordati sui lavori ammessi e aver accresciuto l’onere complessivo della misura.

 

Infine, sull’onere complessivo della misura potrebbe aver inciso, data la generosità della misura agevolativa e la cedibilità a terzi del credito di imposta, la diffusione di comportamenti fraudolenti, come rilevato dall’Agenzia delle entrate. Proprio al fine di contrastare tali effetti il DDL di bilancio prevede l’applicazione di nuovi massimali di spesa per specifiche categorie di beni ed è stato recentemente emanato il DL 159/2021 che prevede un generale rafforzamento dell’attività di controllo da parte dell’Agenzia anche attraverso verifiche preventive sui profili considerati più a rischio.

 

Imprese. – Le misure in favore delle imprese sono costituite prevalentemente da proroghe di interventi di incentivo e di sostegno al finanziamento adottati nel 2020 e nel 2021 oltre che da alcuni interventi di natura settoriale.

 

Un primo gruppo di misure, che va valutato congiuntamente, è costituito: 1) dall’abrogazione e sostituzione del regime del patent box con una maggiorazione del 90 per cento della deducibilità (dalle imposte sui redditi e dall’Irap) dei costi di ricerca e sviluppo sostenuti in relazione a specifici beni immateriali; 2) dalla proroga al 2025 (e in alcuni casi al 2031) di alcuni crediti di imposta sugli investimenti in beni materiali e immateriali e in ricerca e sviluppo (nel caso di beni immateriali, incompatibili con la maggiorazione della deducibilità). Con la prima misura è stata sostanzialmente cambiata la finalità dell’incentivo: con il patent box, che consente di  escludere dalla base imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell’IRAP il 50 per cento dei redditi derivanti dall’utilizzazione di alcune tipologie di beni immateriali e delle plusvalenze – se reinvestite al 90 per cento – derivanti dalla loro cessione, l’investimento viene incentivato aumentando il rendimento netto dei beni immateriali, mentre la nuova deduzione e i crediti di imposta calcolati sulla spesa hanno invece l’obiettivo di aumentare l’attività di ricerca e sviluppo in modo più diretto, riducendone il costo e compensando le esternalità positive che questa produce su innovazione e crescita, con un beneficio anche quando le previsioni reddituali sono più modeste o di lungo periodo. Nella legislazione vigente il regime di patent box e il credito di imposta coesistono e pertanto vengono perseguite entrambe le finalità.

 

Dal punto di vista applicativo le imprese si troveranno di fronte a diverse possibilità di agevolazione. Quelle che non hanno optato per il patent box entro il 22 ottobre 2021 (data di entrata in vigore de DL 146/2021) e, a regime, tutte le imprese potranno scegliere alternativamente fra la maggiorazione della deducibilità o il credito di imposta. In questo caso la deducibilità è potenzialmente più generosa del credito di imposta ma la scelta dipenderà dalle diverse prospettive di redditività delle imprese: nel caso di imprese incapienti per l’imposta sul reddito, il credito di imposta, sebbene meno conveniente, potrebbe garantire un utilizzo più immediato della agevolazione attraverso la compensazione con altre imposte. Le imprese che hanno optato per il patent box entro il 22 ottobre 2021 potranno scegliere di confermare il regime opzionale e usufruire anche del credito di imposta qualora sostengano spese in ricerca e sviluppo, cumulando i due benefici tributari, oppure scegliere da subito di beneficiare del nuovo regime (la deduzione). Il patent box sarà certamente confermato dalle imprese che non hanno spese deducibili per gli stessi beni. Per le altre imprese, data la convenienza della deduzione rispetto al credito di imposta, la scelta dipenderà dal risparmio di imposta aggiuntivo implicito nel patent box.

 

Con riferimento a quest’ultimo caso, utilizzando i dati di bilancio del 2019 delle società di capitali integrati con quelli amministrativi delle dichiarazioni dei redditi, è stato possibile estrapolare le società che hanno optato per il patent box e hanno usufruito contestualmente del credito di imposta sulle spese per ricerca e sviluppo (764 società) ed è stata valutata la convenienza al passaggio al nuovo regime disposto dal DL 146/2021 e dal DDL di bilancio. Dall’analisi emerge che l’82,1 per cento delle società non avrebbe avuto convenienza a passare al nuovo regime. Di queste, il 38,1 per cento sono grandi imprese (con fatturato superiore a 50 milioni) alle quali corrisponde l’88,6 per cento della perdita (beneficio negativo) che in media ammonta a 2,11 milioni. Per le imprese avvantaggiate il beneficio medio risulta inferiore al 10 per cento della perdita media e, anche in questo caso, è concentrato sulle grandi imprese (73,1 per cento).

 

Una seconda misura rilevante è quella che interviene in senso restrittivo sulla disciplina agevolata della rivalutazione dei beni materiali, immateriali e delle partecipazioni e del riallineamento dei loro valori fiscali a quelli civilistici introdotta con il DL 104/2020 e modificata dalla legge di bilancio per il 2021 che, data la particolare convenienza, ha riscontrato un’ampia adesione. A tutto ottobre vi è stato un incasso della prima di tre rate annuali di poco superiore a 3 miliardi (di cui 2,5 per l’imposta sostitutiva del 3 per cento e 0,7 per l’affrancamento dei saldi attivi di rivalutazione con l’aliquota sostitutiva del 10 per cento) a fronte di una stima ufficiale di 144,7 milioni, da cui si può risalire implicitamente a 245,5 miliardi di rivalutazioni/riallineamenti realizzati a fronte dei circa 14,5 miliardi attesi. Agli elevati introiti nei primi tre anni corrispondono tuttavia minori incassi per la maggiore deducibilità delle quote di ammortamento dalla base imponibile dell’Ires/Irpef e dell’IRAP per il periodo di vita utile dei beni rivalutati. La misura del DDL di bilancio è pertanto finalizzata a ridimensionare il significativo impatto della misura in termini di riduzione di gettito atteso nei prossimi anni prevedendo, per i soli beni immateriali ammortizzabili in 18 anni (marchi e avviamento), un allungamento del periodo di ammortamento del maggior valore riconosciuto a fini fiscali da 18 a 50 anni. In alternativa, le imprese possono continuare ad ammortizzare in 18 anni pagando un’ulteriore imposta sostitutiva con aliquota del 9 per cento sulla rivalutazione fino a 5 milioni di euro, dell’11 per cento per i valori che eccedono i 5 milioni e fino a 10 e del 13 per cento per la quota che eccede i 10 milioni. Infine, in considerazione del forte depotenziamento dell’agevolazione, è consentita l’opzione di revoca degli effetti fiscali della rivalutazione con la restituzione o l’utilizzo in compensazione delle imposte sostitutive versate.

 

In primo luogo, la norma altera la convenienza fiscale dell’agevolazione per l’allungamento del periodo di ammortamento, il cui valore attualizzato dipende dal tasso di sconto. In questa ottica per alcune imprese potrebbe risultare conveniente optare per la revoca degli effetti fiscali della rivalutazione e la restituzione della imposta sostitutiva già versata. D’altra parte, anche con un ammortamento potenziale in 18 anni la deducibilità effettiva delle quote dipende dalla capienza fiscale delle imprese, riducendo il valore reale del risparmio di imposta e quindi per alcune imprese l’allungamento del periodo di ammortamento potrebbe risultare meno svantaggioso che per altre.

 

In secondo luogo, l’opzione di mantenere l’ammortamento in 18 anni con il pagamento di un’ulteriore imposta sostitutiva non appare conveniente in ragione delle aliquote elevate. In particolare, per il riallineamento tra valori civilistici e fiscali dei marchi e dell’avviamento si tratterebbe di un regime anche meno conveniente di quello previsto in via ordinaria in sede di operazione straordinaria (fusione) che può essere effettuato con una aliquota del 16 per cento, ma con un periodo di ammortamento ridotto a 5 anni.

 

In terzo luogo, il recupero di gettito derivante dalla misura dipende criticamente dalla quota relativa di beni nelle categorie interessate dalle modifiche rispetto al totale dei beni rivalutati. La Relazione tecnica utilizza, a tal proposito, una quota del 90 per cento di beni immateriali rispetto al totale delle rivalutazioni effettuate (220,9 miliardi rispetto ai 245,5 implicitamente ricavati dai versamenti dell’imposta sostitutiva) e attribuisce questa quota interamente alla rivalutazione/riallineamento di marchi e avviamento. La valutazione ufficiale in termini di gettito potrebbe risultare poco prudenziale in quanto la quota di rivalutazioni attribuibile ai beni materiali potrebbe essere maggiore dei 24,6 miliardi considerati nella Relazione tecnica (la differenza tra i 245,5 miliardi di rivalutazioni complessive e i 220,9 imputati ai beni immateriali) e alcune imprese potrebbero aver rivalutato anche le partecipazioni, di cui la Relazione tecnica non sembra tenere conto.

 

Una terza misura rilevante è l’ulteriore proroga al 30 giugno 2022 del regime straordinario di garanzia pubblica per le PMI attraverso il Fondo Centrale di garanzia. La proroga è tuttavia accompagnata da una riduzione dell’importo massimo della garanzia, dalla reintroduzione del pagamento di una commissione al Fondo per la concessione dei prestiti garantiti e dalla previsione di un regime transitorio dal 1° luglio al 31 dicembre 2021.

 

L’UPB ha valutato l’evoluzione delle domande di finanziamento e di concessione di garanzie tra il 2020 e il 2021 e le implicazioni sul debito bancario complessivo e sull’equilibrio finanziario delle imprese (leverage). Dai dati del Mediocredito centrale emerge che le imprese nel 2021 hanno continuato a ricorrere al Fondo sebbene a un ritmo meno sostenuto rispetto al 2020. Sono prevalse le domande di finanziamenti di importo più elevato e, in queste, vi è stata una ricomposizione tra società di capitali, da un lato, e società di persone e persone fisiche, dall’altro, in favore di queste ultime.

 

Utilizzando i dati di bilancio disponibili per il 2020 e le informazioni nella banca dati di Mediocredito centrale emerge che le imprese che hanno presentato domanda di prestiti garantiti hanno effettivamente incrementato il proprio debito bancario in misura maggiore rispetto alle altre; le stesse imprese, inoltre, hanno visto peggiorare in modo più marcato l’equilibrio finanziario (leverage), in particolare nei settori più colpiti dalla emergenza sanitaria.

 

Mercato del lavoro, ammortizzatori sociali. – Dopo il prolungamento della CIG con causale COVID-19 sino a fine 2021 per il settore del tessile e per il terziario, tutti i datori di lavoro sono messi nelle condizioni di usufruire del sistema delle integrazioni salariali. Il prolungamento è anche prodromico al ridisegno in senso universalistico degli ammortizzatori in costanza di attività che il DDL di bilancio fa partire dal 2022. Con il provvedimento si modifica infatti la disciplina degli ammortizzatori del lavoro, sia quelli in costanza di attività (le Casse e le erogazioni a carico della Bilateralità) sia quelli per disoccupazione (NASPI e DIS-COLL). Gli interventi sembrerebbero rispondere alla volontà di rendere permanenti, estendendole a tutto il lavoro dipendente, alcune delle caratteristiche che gli ammortizzatori hanno assunto nel corso degli ultimi anni quando, per fronteggiare la crisi economica da COVID-19, il loro raggio di azione è stato rapidamente esteso attraverso deroghe.

 

Per raggiungere questo obiettivo, si rafforza, soprattutto per le micro imprese del terziario, il ruolo dei Fondi bilaterali che dovranno fornire le stesse prestazioni di CIGO e CIGS nelle rispettive causali di attivazione. Questo doppio “binario” – pubblico e privatistico – ha dei vantaggi ma anche delle criticità. Tra i vantaggi c’è sicuramente il fatto che si vincola costantemente la spesa alla capienza di bilancio dei Fondi bilaterali (incluso il FIS), che viene alimentata dalle contribuzioni dei loro iscritti. Tuttavia, l’obbligo di autosufficienza dei Fondi non elimina tout court l’eventualità che il bilancio pubblico venga chiamato in soccorso (bail-out) nel caso le attuali aliquote contributive, come rimodulate dal DDL di bilancio, possano non essere sufficienti a garantire l’equilibrio intertemporale dei bilanci dei Fondi, soprattutto in caso di futuri eventi negativi di vasta portata.

 

D‘altro canto, il coinvolgimento del bilancio dello Stato in caso di eventi avversi non fronteggiabili autonomamente dai Fondi avverrà sicuramente in maniera più ordinata e verificabile quando il sistema delle integrazioni salariali sarà disegnato con copertura universale e la componente affidata alla Bilateralità potrà contare su dotazioni finanziarie proprie.

 

Il DDL di bilancio amplia ulteriormente anche la platea della NASPI e posticipa il décalage dell’assegno. Più significative sono le modifiche alla DIS-COLL, con il raddoppio della durata, il posticipo del décalage e il riconoscimento dei contributi figurativi IVS. Per l’iscrizione alla DIS-COLL diviene obbligatorio il pagamento di un’aliquota contributiva pari a quella della NASPI.

 

Reddito di cittadinanza. – Il DDL di bilancio stabilisce per il Reddito di cittadinanza (RdC) un impegno di spesa annuo a decorrere dal 2022 pari a quello del 2021 (8,8 miliardi) e a tale scopo dispone un finanziamento aggiuntivo di 1,1 miliardi annui rispetto alla dotazione iniziale.

 

L’ammontare di risorse stanziate complessivamente per il finanziamento della misura appare coerente con le tendenze della spesa osservate sulla base degli ultimi dati disponibili. Qualora la spesa mensile si confermasse negli ultimi tre mesi dell’anno pari ai 736 milioni riscontrati a settembre, l’ultimo dato disponibile, la spesa totale per il 2021 raggiungerebbe circa 8,7 miliardi. Una spesa mensile dello stesso importo varrebbe su base annua circa 8,8 miliardi, corrispondente all’ammontare di risorse stanziato a regime dal DDL di bilancio, garantendo l’erogazione del beneficio a circa 1.350.000 nuclei e 2.970.000 persone.

 

Il DDL di bilancio inoltre modifica l’assetto normativo con riferimento alle procedure riguardanti gli obblighi lavorativi e i controlli. Tali modifiche riguardano sia i beneficiari della misura sia i soggetti istituzionali coinvolti nella gestione della stessa.

 

Per quanto riguarda i beneficiari, sono state inasprite le condizionalità del beneficio, soprattutto per quanto riguarda gli impegni, formali e sostanziali, in termini di disponibilità alla partecipazione ai percorsi di inserimento lavorativo. Si prevede inoltre la riduzione da tre a due del numero di offerte congrue rifiutabili e dopo il primo rifiuto la seconda offerta può essere collocata sull’intero territorio nazionale. Sono inoltre considerate congrue anche le offerte relative a rapporti di tempo parziale e a tempo determinato.

 

Per quanto riguarda i soggetti istituzionali coinvolti nella gestione del RdC, il DDL di bilancio prevede nuovi specifici compiti, nei diversi ambiti di intervento, generalmente al fine di potenziare l’attività di controllo e di attivazione dei beneficiari.

 

I dati riguardanti i percorsi di attivazione, lavorativa e sociale, implementati nei primi due anni e mezzo di applicazione della misura risultano condizionati dalle conseguenze della pandemia e manifestano criticità nella capacità delle amministrazioni di predisporre le procedure previste dalla normativa che ha istituito il RdC. Le disposizioni del DDL di bilancio che prevedono un incremento dei contatti in presenza dei beneficiari con le strutture (con frequenza almeno mensile) rischiano di scontrarsi con ostacoli di natura operativa e di non concretizzarsi, almeno nel breve periodo. Ciò potrebbe ridurre il desiderato effetto di deterrenza per quei soggetti che, impiegati in attività sommerse, potrebbero essere i più colpiti da questo tipo di prescrizioni.

 

L’incremento della capacità operativa derivante dal coinvolgimento delle Agenzie per il lavoro accreditate potrebbe contribuire a distribuire i carichi di lavoro e aumentare i tassi di effettiva presa in carico dei beneficiari. D’altro canto, l’estensione della definizione di offerta congrua ai rapporti a tempo parziale e a tempo determinato, potrebbe garantire più occasioni di riavvicinamento al mondo del lavoro per i beneficiari del RdC in condizione di difficile occupabilità. In questo contesto, in cui è prevedibile un incremento di offerte congrue, la riduzione del numero di offerte rifiutabili da tre a due (di cui una sull’intero territorio nazionale) potrebbe rivelarsi fin troppo restrittiva.

 

La revisione del RdC operata con il DDL di bilancio lascia invece immutate le principali criticità evidenziate nel corso del dibattito che si è sviluppato su questo strumento come mezzo di contrasto della povertà, oggetto anche della recente Relazione del Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza. Tra le questioni più discusse: una scala di equivalenza che sfavorisce le famiglie numerose, malgrado sia nota la maggiore concentrazione della povertà tra i minori rispetto ad altre fasce di età; l’elevata aliquota marginale che scoraggia il lavoro regolare (80 per cento e 100 per cento con l’aggiornamento della dichiarazione ISEE); la lunghezza del periodo richiesto di residenza in Italia; il peso del patrimonio nella selezione dei beneficiari, in considerazione della difficile liquidabilità dello stesso.

 

Misure pensionistiche. – Il DDL di bilancio introduce misure di natura temporanea e di natura permanente. Tra le prime, vi è la proroga al 2022 della possibilità di usufruire dei canali di pensionamento noti come Opzione donna e APE sociale (con aggiornamento dell’elenco delle attività particolarmente difficoltose e rischiose che possono farvi ricorso) e l’introduzione, sempre per lo stesso anno, di Quota 102 al posto di Quota 100 in scadenza il 31 dicembre 2021, rinviando al prossimo anno le scelte in merito al superamento del meccanismo delle quote che rappresenta un allontanamento selettivo dalle norme ordinarie.

 

Quota 102 risponde all’esigenza di attenuare, per un anno, il “gradino” nei requisiti di accesso alla pensione che si verrebbe a creare tra chi ha maturato o meno i requisiti di Quota 100 al 31 dicembre 2021. La misura ha una portata significativamente più limitata in termini di durata, platee coinvolte e spesa se confrontata con Quota 100, cui essa si sovrappone. Quota 102 si rivolge a quella coorte marginale che non ha potuto usufruire di Quota 100 perché al 31 dicembre 2021 in difetto di un anno rispetto al requisito di anzianità. Questa platea comprende lavoratori che, rispetto ai requisiti ordinari di vecchiaia, potrebbero pensionarsi al massimo 3 anni prima (2,5 considerando le finestre mobili).

 

Di natura permanente è invece la misura che riguarda l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI). Alla luce dello stato di dissesto dei conti, già oggetto di ripetuti richiami da parte della Corte dei Conti, il DDL di bilancio stabilisce la confluenza dell’INPGI nell’INPS a partire dal 1° luglio 2022, per quanto riguarda i rapporti attivi e passivi relativi sia all’assicurazione IVS (la gestione sostitutiva del FPLD dell’INPS, INPGI – AGO) sia ai trattamenti di disoccupazione e di integrazione salariale dei giornalisti con contratto di lavoro dipendente subordinato. L’INPGI continuerà invece a svolgere il proprio ruolo di Cassa previdenziale privatizzata per giornalisti liberi professionisti o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa (la gestione sostitutiva della Gestione Separata dell’INPS, INPGI – GS). Si applica, in altri termini, un’operazione di spin-off simile a quelle spesso osservate in ambito bancario (con la bad-bank nazionalizzata e la newco rinnovata sul mercato).

 

Sono previste fasi transitorie e garanzie. Tra queste emerge la salvaguardia degli assicurati all’INPGI che matureranno i requisiti per la pensione secondo la normativa attualmente vigente per l’Istituto entro il 30 giugno 2022 mentre per gli altri il calcolo delle pensioni sarà soggetto al criterio del pro-rata: alle anzianità contributive acquisite prima del 1° luglio 2022 si applicheranno le più vantaggiose regole valide nell’INPGI, mentre a quelle acquisite successivamente si applicheranno quelle generali del FPLD.

 

Al di là di valutazioni equitative, le ampie norme transitorie e di garanzia rendono possibile l’accumulazione di varia casistica di contenzioso: nei prossimi anni lavoratori afferenti alla stessa gestione previdenziale (INPS FPLD) saranno destinatari di prestazioni diverse e più favorevoli per quelli trasferiti dall’INPGI.

 

I dati della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) e i richiami della Corte dei Conti testimoniano che gli squilibri strutturali erano visibili da tempo; ciò nonostante, l’INPGI-AGO ha continuato a maturare disavanzi crescenti e a consumare rapidamente il patrimonio sino a oggi. Fatto a queste condizioni, il salvataggio a carico del bilancio pubblico oltre a indurre a sottovalutare l’inefficacia delle sorveglianze finisce per premiare ex-post il moral-hazard degli organismi di gestione e dei rappresentanti di categoria, configurandosi come pericoloso precedente all’interno della previdenza di base.

 

Dal lato delle prestazioni pensionistiche, la fase di transizione e il pro-rata previsti per il passaggio dell’INPGI-AGO all’INPS appaiono in contrasto con le riforme del primo pilastro dell’INPS, volte a tenere sotto controllo la spesa guardando alla sostenibilità di medio-lungo termine, alla ricomposizione interna della spesa sociale e alle generazioni dei giovani.

 

Sanità. – L’emergenza dovuta alla pandemia ha fatto emergere le carenze del Servizio sanitario nazionale (SSN) e ha spinto a un ripensamento sulle dimensioni del bilancio complessivo attribuito alla sanità e sulle azioni da compiere per rendere il sistema sanitario più resiliente. Gli investimenti del PNRR sono un esempio della priorità oggi attribuita a questo settore, ma preludono a un maggiore impegno anche in termini di spesa corrente.

 

Il DDL di bilancio per il 2022 incrementa dunque il finanziamento del SSN di circa 2,3 miliardi nel 2022, 3,8 nel 2023 e 4,9 nel 2024, attraverso: 1) un aumento del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard di 2 miliardi nel 2022, 3,2 nel 2023 e 4,2 nel 2024, che assicura una crescita complessiva di tale finanziamento di 2 miliardi l’anno rispetto al 2021; 2) un rifinanziamento del fondo relativo ai farmaci innovativi; 3) un ampliamento delle risorse per i contratti di formazione specialistica; 4) una limitata riduzione del finanziamento per dare copertura alla proroga al 2022 del fondo per l’accesso ai servizi psicologici. Inoltre, sono destinati 1,85 miliardi nel 2022 all’acquisto di vaccini contro il COVID-19. Il DDL di bilancio prevede principalmente misure di rafforzamento del personale (anche attraverso stabilizzazioni), la prosecuzione di alcuni interventi adottati nel corso dell’emergenza sanitaria (recupero delle liste d’attesa, mantenimento delle USCA), l’attuazione del piano di risposta a una pandemia influenzale, l’incremento del tetto sulla spesa farmaceutica e l’aggiornamento dei LEA (anche se resta inapplicata l’entrata in vigore dei LEA introdotti nel 2017 per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per quella protesica). La maggiore spesa di personale assicurerà incrementi del gettito per 662 milioni nel 2022, 447 nel 2023 e 512 nel 2024.

 

Considerando le previsioni tendenziali di spesa sanitaria della NADEF, nell’ipotesi che i maggiori finanziamenti del DDL di bilancio per il 2022 si traducano per intero in maggiori erogazioni, l’incidenza sul PIL della spesa sanitaria sarebbe pari al 6,3 per cento nel 2024, una percentuale inferiore a quella del 2019 (6,4 per cento). Pertanto, dal punto di vista finanziario, non sembra si intenda dare luogo a un effettivo rafforzamento strutturale del SSN, ma sarebbero piuttosto confermate le precedenti scelte di allocazione delle risorse, che ponevano l’Italia tra i paesi europei con spesa sanitaria meno elevata e in progressiva riduzione.

 

Politiche sociali. – Per il triennio 2022-24, il DDL di bilancio stanzia complessivamente 941 milioni, di cui 550 destinati alle misure di inclusione sociale e appostati sul Fondo per le non autosufficienze e i restanti 391 quale incremento del Fondo di solidarietà Comunale (FSC), destinato ai servizi educativi e per l’infanzia nonché al trasporto scolastico per gli alunni con disabilità e ai servizi sociali nei Comuni della Sicilia e della Sardegna. Con riguardo alle misure di inclusione sociale il testo definisce, per specifici ambiti, i Livelli essenziali delle prestazioni (servizi sociali, disabilità, e marginalità sociale e non autosufficienza degli anziani) in linea con le azioni previste dal PNRR. Per i servizi educativi per l’infanzia (nidi e micronidi) viene fissato su base locale un livello minimo di offerta, da raggiungere entro il 2027, corrispondente al numero dei posti (incluso il servizio privato) – equivalenti in termini di costo standard al servizio a tempo pieno dei nidi – pari al 33 per cento della popolazione compresa tra 3 e 36 mesi. Tuttavia, la fissazione del target presenta alcune criticità relative agli enti effettivamente obbligati al rispetto del livello minimo, all’inclusione nel computo del servizio privato, nonché alcune difficoltà di attuazione che potrebbero determinare inefficienze allocative.

 

Investimenti pubblici. – Il disegno di legge di bilancio per il 2022 prevede vari interventi a sostegno degli investimenti pubblici, andando a rifinanziare strumenti esistenti o istituendone di nuovi. La misura più rilevante è l’incremento della dotazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), relativamente alla programmazione 2021-27, che riceve ulteriori 23,5 miliardi, uniformemente distribuiti tra il 2022 e il 2029. Il DDL di bilancio autorizza inoltre 15,4 miliardi complessivi per finanziare i contratti di programma di RFI e ANAS relativi ai prossimi anni, che riguardano principalmente investimenti e manutenzione straordinaria delle infrastrutture. Una norma specifica stanzia 5 miliardi tra il 2022 e il 2035 (200 milioni sul triennio 2022-24) per il potenziamento della dorsale ferroviaria adriatica, al fine di accelerare gli interventi previsti per lo sviluppo delle caratteristiche alta velocità/alta capacità della linea. Un’ulteriore autorizzazione di spesa da 3,7 miliardi complessivi (con stanziamenti distribuiti dal 2022 al 2036, di cui 300 milioni nel prossimo triennio) è dedicata alla realizzazione di infrastrutture per il trasporto rapido di massa nelle città di Genova, Napoli, Roma, Milano e Torino. A fianco ad altre misure relative al potenziamento delle infrastrutture, una parte della spesa per investimenti proposta nella manovra è indirizzata al contrasto dei cambiamenti climatici, in particolare con l’istituzione di due fondi: il primo, nello stato di previsione del MIMS, è il Fondo per la strategia di mobilità sostenibile, che raccoglie complessivamente 2 miliardi dal 2023 al 2034; il secondo – con dotazione di 2,3 miliardi complessivi, distribuiti dal 2026 al 2035 – è costituito invece presso il Ministero della Transizione ecologica e dovrà contribuire ad assicurare l’efficace attuazione del Programma nazionale di controllo dell’inquinamento atmosferico.

 

Pubblico impiego. – Per questo comparto il DDL di bilancio stanzia complessivamente nel triennio 2022-24 circa 3,1 miliardi lordi che generano effetti indotti sulle entrate per 1,4 miliardi. La spesa netta ammonterebbe, pertanto, a circa 1,7 miliardi (483 milioni nel 2022, 626 nel 2023 e 565 milioni nel 2024). Gli stanziamenti previsti finanziano diverse misure: gli ordinamenti professionali e il trattamento accessorio (in attuazione del DL 80/2021); nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato e di magistrati ordinari; la formazione dei dipendenti della pubblica amministrazione; i trattamenti accessori per i dirigenti delle Forze di Polizia e delle Forze Armate; l’incremento degli straordinari per il personale impiegato nell’operazione “strade sicure”. Infine, non essendosi ancora perfezionato il rinnovo dei contratti del pubblico impiego relativo al triennio 2019-2021, il DDL di bilancio autorizza l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale anche per il triennio 2022-24 che costituisce un’anticipazione dei benefici derivanti dal rinnovo. Tale indennità trova copertura nelle risorse automaticamente incluse a tal fine nella legislazione vigente (310 milioni per il 2022 e 500 milioni a partire dall’anno successivo).

 

Riscossione e governance dell’Agenzia delle entrate. – Il decreto fiscale e il DDL di bilancio intervengono con norme che disciplinano la ripresa dell’attività di riscossione dopo il periodo di sospensione disposto a fronte del perdurare della crisi e con modifiche alla governance dell’agente della riscossione e al sistema di remunerazione del servizio. Su questo versante il DDL di bilancio interviene sul modello organizzativo del servizio nazionale di riscossione disponendo modifiche: alla governance dell’Agenzia delle entrate – Riscossione, le cui funzioni di indirizzo e controllo vengono affidate all’Agenzia delle entrate, al sistema di remunerazione del servizio, che viene posto a carico del bilancio dello stato eliminando l’aggio e gli oneri di riscossione, modifica  che determina una lieve ma crescente riduzione permanente delle entrate del bilancio dello Stato. Le modifiche attuano, in parte, quanto previsto in materia nel DDL delega di riforma del sistema fiscale (Atto Camera n. 3343).

 

Modificando nuovamente solo alcuni aspetti dell’assetto istituzionale e procedimentale della riscossione – già oggetto di diversi interventi negli ultimi anni – e trascurandone altri che contribuiscono ugualmente all’efficientamento del sistema di riscossione, vi è il rischio che le misure producano effetti solo parziali come è accaduto con la recente riforma del 2016, realizzata anche sulla base delle sollecitazioni provenienti dagli Organismi internazionali. Quest’ultima ha apportato significativi miglioramenti organizzativi tralasciando tuttavia di risolvere altri aspetti quali, ad esempio, la complessa gestione del magazzino dei crediti non riscossi, con l’eventuale previsione di un meccanismo di discarico automatico di quelli inesigibili e una revisione dell’istituto delle comunicazioni di inesigibilità, un potenziamento dei poteri dell’agente di riscossione nell’avvio delle procedure esecutive, un ampliamento della banca dati dell’Archivio dei rapporti finanziari con informazioni aggiornate con una maggiore frequenza e una razionalizzazione dell’istituto della rateazione. Permane, quindi, e si fa sempre più urgente, la necessità di un’ampia e organica revisione dell’intero sistema della riscossione al fine di potenziare l’efficienza della struttura amministrativa e tutelare l’interesse dello Stato, evitando interventi parziali e riforme incompiute e non risolutive.

 

Le disposizioni in materia di governance rappresentano un ulteriore passo verso il completamento e la creazione del modello monistico di riscossione interamente affidato all’Agenzia delle entrate. In questo senso, l’assetto delineato dal DDL non appare ancora sufficiente ad assicurare le necessarie sinergie organizzative e operazionali per un efficientamento della riscossione, non solo nelle funzioni centrali ma anche e soprattutto nell’attività degli uffici territoriali.