7 maggio 2025 | L’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) ha svolto oggi un’audizione sulle tematiche relative allo stato di attuazione e alle prospettive del federalismo fiscale presso la competente Commissione parlamentare. Nel documento illustrato dal consigliere dell’UPB Giampaolo Arachi, dopo una breve descrizione delle principali misure riguardanti la finanza degli Enti territoriali contenute nella legge di bilancio per il 2025, ci si sofferma innanzitutto sul contributo alla finanza pubblica richiesto a questi Enti, evidenziando alcune criticità che emergono dal suo disegno e dalla coesistenza con tagli alle risorse da destinare agli investimenti locali. In secondo luogo, si affronta la questione dell’adeguatezza delle risorse rispetto ai fabbisogni per le funzioni fondamentali e i LEP con particolare riferimento al comparto dei Comuni. Infine, si avanzano alcune considerazioni generali su come sarebbe auspicabile venisse disegnato un quadro stabile di regole per il concorso degli Enti territoriali alla finanza pubblica affinché risulti efficace e coerente con la nuova governance europea e su come il percorso di attuazione del federalismo fiscale dovrebbe coordinarsi con gli eventuali progressi dell’autonomia differenziata.
Il contributo alla finanza pubblica è pari a 7.780 milioni nel periodo 2025-29 e grava principalmente sulle Regioni. La ripartizione dell’onere tra comparti non sembra riconducibile né a una diversa dinamica della spesa negli ultimi anni, né al differente peso della spesa comprimibile, ma piuttosto all’esigenza di migliorare i risultati di amministrazione delle Regioni. Esse, infatti, registrano disavanzi più consistenti rispetto agli altri comparti e hanno maggiori difficoltà di ridurli nel tempo.
Una potenziale criticità deriva dal fatto che il disavanzo delle Regioni è essenzialmente determinato dall’accumulo negli anni del Fondo anticipazioni di liquidità che, a sua volta, deriva dalle esigenze di liquidità per fare fronte ai debiti commerciali esigibili sanitari, mentre il contributo di ogni Ente alla finanza pubblica – che per quelli in disavanzo rappresenta un obbligo di ripiano aggiuntivo – è parametrato alla spesa extra-sanitaria.
Criticità emergono anche dall’adozione della spesa corrente come criterio di riparto del contributo tra gli Enti dei singoli comparti. Esse derivano dalla natura composita della spesa corrente degli Enti territoriali, fortemente influenzata dalla presenza di trasferimenti tra i diversi livelli di governo, e dall’esigenza di garantire la coerenza tra l’onere imposto agli Enti e la disponibilità di adeguate risorse per finanziare i fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali, agli obiettivi di servizio e ai LEP. Quanto al primo aspetto, per il contenimento della spesa di questi Enti sarebbe verosimilmente stato più semplice intervenire direttamente sui finanziamenti statali, tenendo conto che sia le Regioni che gli Enti locali sono beneficiari di finanziamenti che vanno oltre la spesa per la sanità e il sociale (esclusa dalla spesa corrente di riferimento per il riparto del contributo) e che molte delle funzioni comunali sono svolte in forma associata (e, pertanto, la spesa corrente dei Comuni capofila risente dei trasferimenti ricevuti dai consociati). Relativamente alla tutela del finanziamento delle funzioni fondamentali e dei LEP, va considerato che il loro perimetro si estende oltre le materie della sanità e del sociale. Se per le RSO si auspica che si compia al più presto il percorso di definizione dei fabbisogni standard relativi alle materie LEP per delineare il perimetro delle rispettive risorse, per gli Enti locali il riparto del contributo dovrebbe avvenire in maniera coerente con i criteri perequativi utilizzati per l’assegnazione del Fondo di solidarietà comunale (FSC), dei fondi perequativi delle Province e delle Città metropolitane delle RSO e del Fondo speciale di equità livelli di servizio, per evitare che l’uno neutralizzi gli effetti dell’altro a scapito del finanziamento delle funzioni fondamentali e dei LEP.
Nel testo si mostra, a titolo esemplificativo e per i soli Comuni delle RSO, una possibile incoerenza fra i criteri di riparto del contributo alla finanza pubblica e quelli perequativi, utilizzando un indicatore della spesa che eccede il perimetro della perequazione e che quindi è sostenuta per svolgere funzioni non fondamentali e/o livelli di servizio superiori agli standard finanziati con lo sforzo fiscale. Dall’esercizio emerge che in un elevato numero di casi il contributo richiesto eccede quello che sarebbe coerente con gli obiettivi perequativi del FSC e ne risulterebbero avvantaggiati i Comuni più grandi, dove di norma si concentrano anche maggiori gettiti derivanti dallo sforzo fiscale autonomo e, di conseguenza, è più ampia la spesa residuale, ossia al di fuori del perimetro della perequazione.
Infine, perplessità emergono sull’effettivo utilizzo degli accantonamenti di parte corrente relativi al contributo alla finanza pubblica per effettuare spese di investimento, cosa che dovrebbe in parte controbilanciare il contestuale taglio ai finanziamenti destinati ai programmi di investimento per il periodo 2025-2034 disposto dalla legge di bilancio per il 2025. Gli Enti interessati già registrano un significativo avanzo disponibile, che per i Comuni sta crescendo negli anni (da 3.475 milioni del 2023 a 5.212 nel 2024) invece di essere utilizzato per finanziare investimenti. Vi è dunque il rischio che la stretta sulla spesa corrente non favorisca gli investimenti negli anni successivi, ma piuttosto si traduca nell’accumulazione nei bilanci degli Enti locali, soprattutto i piccoli Comuni, delle risorse vincolate, con immediati benefici per i saldi di finanza pubblica ma a scapito delle comunità locali.
Per quanto riguarda l’adeguatezza delle risorse a disposizione dei Comuni, una sua valutazione è oggi ostacolata dall’assenza di una stima dei fabbisogni standard in valore assoluto e dal permanere di numerosi trasferimenti diretti al finanziamento delle funzioni fondamentali e dei LEP che non rientrano nei meccanismi perequativi. Appare comunque problematica la relativa staticità delle risorse perequate a causa di basi imponibili sostanzialmente invarianti nel tempo e della mancanza di espliciti meccanismi di revisione periodica dei trasferimenti verticali dal bilancio dello Stato. La legge di bilancio per il 2025 ha disposto un graduale incremento del FSC che, tuttavia, non è destinato agli Enti relativamente meno dotati, ma è finalizzato a garantire che i Comuni che hanno storicamente goduto di maggiori risorse continuino a riceverle anche se non giustificate dai loro fabbisogni e capacità fiscale attuali. È auspicabile che, tenendo conto degli obiettivi di finanza pubblica, vi sia una programmazione pluriennale dei fabbisogni tale da consentire agli Enti di svolgere la propria attività, garantendo i LEP e le altre prestazioni nell’ambito delle funzioni fondamentali, nel rispetto dell’equilibrio dei bilanci. In questa prospettiva, andrebbe considerata non solo la distribuzione relativa della spesa corrente tra gli Enti, ma anche il livello, l’evoluzione nel tempo e la composizione. Occorre tenere conto, tra le altre cose, degli oneri aggiuntivi connessi con la definizione dei LEP, dei margini di spesa corrente necessari per rendere operative le nuove strutture realizzate o da completare nell’ambito del PNRR, dei fattori esogeni che determinano la variazione dei fabbisogni finanziari (ad esempio, l’inflazione), della rigidità di alcune voci della spesa (quali il personale, gli interessi passivi e il rimborso dei prestiti), degli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali del personale e di quelli eventualmente connessi con il ripiano dei disavanzi.
Tutto ciò richiederebbe, innanzitutto, un’evoluzione della metodologia dei fabbisogni standard comunali che consenta una loro definizione in valore assoluto e, successivamente, dal lato delle risorse, di considerare non solo la capacità fiscale, ma anche l’insieme dei trasferimenti che affluiscono ai Comuni e di superare la loro relativa staticità. A tale superamento potrebbero contribuire l’attuazione della legge delega per la riforma fiscale e la revisione delle norme contenute nella legge di contabilità e finanza pubblica e in quella relativa all’attuazione del pareggio di bilancio.
In futuro, ipotizzando il mantenimento dell’obiettivo dell’equilibrio di bilancio per gli Enti territoriali, i limiti evidenziati potrebbero essere superati attraverso una migliore programmazione dei trasferimenti. Questa dovrebbe prendere avvio nel Piano strutturale di bilancio (PSB), dove andrebbe definita, insieme al tasso di crescita della spesa netta del complesso delle Amministrazioni pubbliche, anche l’evoluzione programmatica dei fabbisogni relativi alle funzioni fondamentali degli Enti locali e ai LEP con esso compatibile. Andrebbe poi determinato, sulla base delle previsioni della dinamica della capacità fiscale, il contributo dello Stato ai trasferimenti perequativi per garantire la copertura dei fabbisogni. A tal fine, è necessario che si proceda a una razionalizzazione dei trasferimenti non destinati agli interventi speciali previsti dal quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione che ancora affluiscono agli Enti locali al di fuori dei fondi perequativi e che venga completato il percorso di attuazione del federalismo fiscale con la riforma del finanziamento delle RSO, inserita come abilitante nel PNRR e da realizzare entro il primo trimestre del 2026.
In presenza di stime realistiche e sostenibili dei fabbisogni e della loro evoluzione nel tempo, una programmazione di medio periodo dell’evoluzione delle risorse aiuterebbe gli Enti locali a rispettare i vincoli di bilancio senza rinunciare alla progettualità e potrebbe attutire le resistenze che ostacolano il progredire della perequazione.
Durante la vigenza del PSB, il percorso programmatico dei trasferimenti potrà essere modificato per rispondere a mutate valutazioni sull’evoluzione dei fabbisogni o della capacità fiscale. Anche in assenza di tali modifiche potrebbe tuttavia essere necessario prevedere nei documenti annuali di programmazione ulteriori contributi a carico degli Enti territoriali per evitare che incrementi imprevisti e non discrezionali delle entrate siano utilizzati per aumentare le erogazioni mettendo a rischio il conseguimento degli obiettivi di crescita della spesa primaria netta. A differenza degli interventi sui trasferimenti in fase di programmazione, tali eventuali contributi dovrebbero avere natura anticiclica e impegnare simmetricamente sia gli Enti territoriali che lo Stato: i primi dovrebbero rinunciare a spendere le maggiori entrate non discrezionali nelle fasi favorevoli del ciclo, il secondo dovrebbe integrare le risorse nelle fasi avverse per evitare una contrazione prociclica della spesa. In questa direzione potrebbe evolvere il nuovo contributo introdotto con la legge di bilancio per il 2025. Va infatti osservato che esso non determina necessariamente una riduzione della dinamica della spesa ma solo un suo posticipo. Per gli Enti in avanzo, il contributo riduce gli spazi di spesa corrente nell’anno in cui è applicato ma aumenta quelli relativi alla spesa in conto capitale negli anni successivi. Agli Enti in disavanzo viene richiesto di accelerare il piano di rientro anticipando risparmi comunque dovuti su un orizzonte più lungo.
Infine, il completamento del federalismo fiscale dovrà essere coordinato con l’eventuale attuazione dell’autonomia differenziata in relazione alla determinazione dei LEP e alla gestione delle compartecipazioni per il finanziamento delle Regioni che richiedono maggiore autonomia (RAD).
Con la Sentenza 192/2024, la Corte costituzionale ha, tra le altre cose, dichiarato non costituzionale la previsione della legge delega sull’autonomia differenziata riguardante il meccanismo di allineamento annuale del gettito destinato al finanziamento delle funzioni delegate al fabbisogno di spesa attraverso modifiche delle aliquote di compartecipazione ai tributi erariali. Secondo la Corte questo non solo sarebbe potenzialmente in grado di determinare un effetto di deresponsabilizzazione delle Regioni, dato che una loro gestione inefficiente avrebbe potuto essere sostanzialmente ripianata “a piè di lista” dallo Stato, ma avrebbe anche snaturato l’essenza delle compartecipazioni, rendendole di fatto analoghe ai trasferimenti statali a destinazione vincolata, che l’articolo 119 della Costituzione legittima solo in specifici casi.
Tuttavia, un sistema di finanziamento delle RAD basato su aliquote di compartecipazione fisse nel tempo può generare una progressiva divaricazione fra il gettito, che ha una dinamica legata alle basi imponibili, e i fabbisogni standard, che rispondono alle variazioni dei costi e dei bisogni, generando due ordini di problemi, in particolare, per le funzioni su cui siano definiti dei LEP. In primo luogo, nei casi in cui il gettito superasse i fabbisogni standard, si ripresenterebbe il potenziale effetto di deresponsabilizzazione per le Regioni che gestissero in modo inefficiente le funzioni aggiuntive, mentre in quelli in cui il gettito fosse inferiore al fabbisogno standard, si metterebbe a rischio il finanziamento dei LEP. In secondo luogo, si creerebbe un’asimmetria fra il finanziamento dei LEP delle funzioni già di competenza regionale e di quelli relativi a funzioni attribuite alle RAD. Per i primi, infatti, il D.Lgs. 68/2011 prevede che le compartecipazioni e i tributi regionali siano perequati rispetto ai fabbisogni standard, correggendo quindi, attraverso variazioni dei trasferimenti perequativi, eventuali scostamenti.
Queste criticità potrebbero trovare soluzione in un più stretto coordinamento fra le due riforme. In particolare, andrebbe valutata la possibilità di includere nel Fondo perequativo previsto dal D.Lgs. 68/2011 anche i fabbisogni standard e le compartecipazioni associati alle funzioni aggiuntive riconosciute alle RAD.