Il welfare informale assicurato dalla famiglia è risultato in Italia, negli anni della crisi, un potente fattore di sostegno per i giovani schiacciati tra alti tassi di disoccupazione e bassi livelli di reddito. Il Flash approfondisce in ottica italiana il recente studio Inequalities and Poverty Across Generations in the European Union realizzato dal Fondo monetario internazionale (FMI), secondo il quale, nel complesso dei paesi UE28, l’impatto negativo più forte della crisi è stato accusato dai giovani; all’opposto gli ultrasessantacinquenni hanno visto migliorare la loro posizione.
Nel Flash si mostra che il lavoro del FMI, per il tipo di informazioni di base che utilizza, non sembra cogliere appieno un aspetto strutturale dell’equilibrio economico-sociale caratteristico del nostro Paese, preesistente la crisi e da questa portato in evidenza, qual è il ruolo della famiglia tradizionale, all’interno della quale i giovani coabitano a lungo con i genitori. Negli anni della crisi, questo legame prolungato con il nucleo familiare di origine ha svolto un ruolo protettivo, funzionando da ammortizzatore sociale informale per i figli, che hanno così beneficiato di risorse messe in condivisione dai genitori. Questo effetto ha riguardato non solo i ragazzi di 18-24 anni ma anche i giovani adulti di età tra 30 e 40 anni.
La figura 1 permette di cogliere, attraverso la comparazione tra l’aggregato UE28 e l’Italia quanto le diverse abitudini dei giovani possano modificare i risultati di un confronto generazionale come quello svolto dal FMI. Le barre celesti rappresentano il tasso di variazione 2007-2016 del valore mediano dei redditi disponibili equivalenti, espressi in parità di potere d’acquisto, delle famiglie in cui vivono gli individui identificati per scaglione di età; le barre blu rappresentano la variazione 2007-2016 del tasso di povertà relativa delle stesse famiglie. Mentre per il complesso dei paesi UE28 si conferma come la fascia di età 18-24 anni sia la più penalizzata dalla crisi (la minore crescita dei redditi disponibili combinata al maggiore aumento del tasso di povertà), in Italia l’impatto più forte è sulle spalle dei 25-54enni e poi dei 55-64enni.
Se nell’immediatezza dalla crisi questa caratteristica inclusiva e protettiva delle famiglie e del sistema socio-economico italiano è stata utile a tamponare i casi di sofferenza, essa però costituisce anche un fattore di debolezza. In prospettiva sembrerebbe pertanto utile investire sulle potenzialità di politiche attive del lavoro formali e accessibili da tutti alle stesse condizioni, dirette non solo a evitare l’insorgenza di situazioni di povertà ma soprattutto a mantenere o ricreare prospettive di reimpiego e di autonomia.
Inoltre, non va sottovalutato che il sostegno da parte dei genitori implica nella maggior parte dei casi una riduzione del loro reddito equivalente e, di conseguenza, minori risorse che gli anziani possono dedicare alle loro esigenze, anche questo un fenomeno che tende a manifestarsi in maniera molto differenziata a seconda delle condizioni economiche del nucleo familiare di origine.
Al netto del sostegno informale che i giovani italiani trovano nelle famiglie di origine, la loro condizione negli anni della crisi diviene più allineata alla media della UE28. Restano pertanto valide le conclusioni di policy tratteggiate nel paper del FMI, con particolare riferimento sia alla predisposizione di politiche attive del lavoro efficaci e tempestive nelle fasi di crisi, sia alla realizzazione di altre misure in grado di stimolare maggiori intraprendenza e responsabilizzazione dei giovani e dei giovani adulti e una loro più rapida uscita dalla casa dei genitori che ne valorizzi al meglio capacità e talenti anche indipendentemente dalla fasi di crisi dell’economia.