Il decreto legge 32/2019 approvato in prima lettura dal Senato il 6 giugno 2019, e attualmente all’esame della Camera, contiene una serie di misure urgenti e, tra le altre, alcune modifiche al Codice degli appalti. Questo Flash esamina le principali novità contenute nel decreto, che, assieme al disegno di legge delega di riforma complessiva (il cui esame non è ancora stato avviato) punta a promuovere un percorso di revisione del nuovo Codice degli appalti e dei contratti di concessione introdotto nel 2016 e già parzialmente rivisto con il cosiddetto decreto correttivo del 2017. Entrambi i provvedimenti hanno il principale obiettivo di rilanciare gli investimenti pubblici e superare una serie di criticità normative emerse sin dalla prima introduzione della nuova normativa.
Con il Codice del 2016, il legislatore intese riordinare, con un unico atto e una visione sistematica, l’intero settore degli appalti pubblici e concessioni, trasponendo nell’ordinamento interno tre direttive europee del 2014. La legge delega da cui è scaturito il Codice degli appalti, nel definire i principi di delega al Governo, ha cercato di coniugare semplificazione ed efficienza economica con la salvaguardia di rilevanti valori sociali (ad esempio, con regole speciali per i settori labour-intensive) e ambientali (tutela del patrimonio artistico-ambientale). Il nuovo Codice fu quindi disegnato seguendo le best pratices internazionali e in aderenza ai principi della più recente letteratura economica sul procurement, sia pure con numerose incertezze, incoerenze e ripensamenti.
La trasposizione di tali best pratices nel frammentato contesto istituzionale italiano, si è rivelata però, alla prova dei fatti, estremamente difficoltosa, farraginosa e lenta. Critiche e richieste pressanti di modifiche, anche radicali, furono pertanto avanzate da più parti, e in particolare dagli operatori del settore, già nelle prime settimane dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice.
Nel testo del decreto licenziato dal Senato, compaiono sia modifiche permanenti al Codice, sia sospensioni a carattere temporaneo (fino al 31 dicembre 2020) relative a specifiche norme; queste ultime, disposte nelle more della riforma complessiva del Codice e comunque nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie.
La breve analisi condotta nell’ambito di questo Flash sembra confermare che l’attuale processo di revisione del Codice del 2016-17 non presenta una chiara direzione strategica, mirante a collocare i due provvedimenti all’esame del Parlamento (decreto legge e disegno di legge delega) in una logica unitaria e coerente. Il Codice disegna, infatti, un delicato meccanismo complesso, fatto di pesi e di contrappesi, per conseguire finalità e obiettivi divergenti e, talora, in conflitto tra loro (ad esempio, semplificazione e rapidità delle procedure di appalto e adeguato contrasto dei fenomeni corruttivi e criminali): una modifica normativa in una logica emergenziale che rafforzi il conseguimento di una finalità, potrebbe determinare l’indebolimento di un altro obiettivo, alterando il bilanciamento stabilito dal Codice. D’altro canto, le frequenti modifiche del quadro normativo, senza una adeguata trasparenza del punto di arrivo perseguito, accrescono l’incertezza in cui si trovano ad operare le stazioni appaltanti della PA, rischiando di produrre l’effetto opposto di quello desiderato. Anche la sospensione temporanea di alcune norme del Codice, introdotta in prima lettura al Senato, non sembra contribuire al rafforzamento della direzione strategica del provvedimento.
I provvedimenti, inoltre, non sembrano dare adeguato peso a un ulteriore profilo cruciale per la ripresa degli investimenti pubblici. Vi è ormai un sostanziale consenso sul fatto che, oltre ad un quadro normativo di riferimento coerente, chiaro e stabile nel tempo, e alla disponibilità di risorse economiche da parte delle amministrazioni pubbliche, ai fini del rilancio delle opere pubbliche risulta rilevante anche la capacità tecnica delle amministrazioni, capacità tecnica andata invece scemando negli ultimi anni, anche a seguito del blocco del turn over. Gli interventi finora prospettati per gli investimenti pubblici non prevedono tuttavia un programma di rafforzamento, professionalizzazione e specializzazione delle risorse umane interne alle pubbliche amministrazioni che operano nel settore degli appalti, in particolare per le figure tecniche. D’altra parte, le resistenze ampiamente diffuse, verso il processo di riduzione del numero delle stazioni appaltanti, oggi stimante in circa 32.000 unità, e parallelamente di concentrazione e professionalizzazione delle rimanenti, rischiano di protrarre nel tempo l’attuale insoddisfacente situazione di stallo.