L’efficienza della giustizia civile e la performance economica
Unanimemente considerata tra i grandi malati d’Italia, la giustizia civile, della quale il Focus fornisce un quadro dettagliato su base territoriale grazie a una visualizzazione interattiva, appare ancora lontana dagli standard di efficienza e produttività dei sistemi giudiziari più avanzati. A distanza di alcuni anni dalle riforme legislative varate si intravvedono, nel complesso, sintomi di miglioramento (si riducono iscrizioni e procedimenti pendenti), ma ancora parziali (sono in calo anche le definizioni dei procedimenti) e troppo timidi per far ritenere di essere in prossimità di un punto di svolta. E, soprattutto, non chiaramente riconducibili a un effettivo incremento delle performance, piuttosto che a misure che limitano l’accesso alla giustizia (aumento dei costi per avviare un processo, filtri per adire ai gradi superiori di giudizio, ecc.).
Quella che si ricava dai numeri di ciascun tribunale, disponibili grazie al sistema Data Warehouse avviato dal Ministero della Giustizia, è la fotografia di un’Italia a più velocità, nella quale ai divari territoriali (Nord-Sud) e dimensionali (tribunali grandi, medi e piccoli) si aggiungono specifiche differenze, tanto da far emergere una mappa della giustizia civile in qualche misura a “macchia di leopardo”.
La grande variabilità di situazioni riscontrabili a livello micro emerge esaminando con l’impiego di due indici ampiamente utilizzati a livello internazionale i flussi dei procedimenti (iscritti, pendenti, definiti) riferiti ai tribunali ordinari negli anni solari 2013-2015. Il primo indice, clearance rate, mette in rapporto i procedimenti definiti e quelli iscritti in un anno moltiplicati per 100 e fornisce un’indicazione della capacità di smaltimento di un ufficio: quanto più è maggiore di 100 tanto più alta è la riduzione dello stock dell’arretrato; quanto più è inferiore a 100 tanto più elevato sarà l’accumulo di nuove pendenze. Il secondo indice, disposition time, mette in rapporto i procedimenti pendenti e quelli definiti alla fine di un anno moltiplicati per 365, ossia i giorni di un anno e dà indicazioni sul tempo massimo di definizione di un procedimento. Se in un ufficio, ad esempio, i procedimenti definiti alla fine di un anno sono 100 e quelli pendenti 200, il rapporto sarà pari a 730 e indicherà che occorrono due anni per esaurire lo stock di procedimenti pendenti alla fine dell’anno.
I risultati più interessanti si possono desumere considerando congiuntamente i due indici per ogni singolo tribunale ordinario. Rappresentando i dati di un anno in un grafico (sull’asse delle ascisse il clearance rate, su quello delle ordinate il disposition time) i tribunali si dispongono sui quattro quadranti che si ottengono, individuando quattro diverse categorie: i “problematici” (I quadrante), ossia quelli che non tengono il passo dei nuovi procedimenti iscritti e hanno tempi di definizione di oltre un anno; i “convergenti” (II quadrante), che riducono lo stock dell’arretrato ma per i quali l’esaurimento dell’arretrato impiega otre un anno; i “primi della classe” (III quadrante), che producono più sentenze dei nuovi procedimenti iscritti e in meno di un anno; i “divergenti” (IV quadrante), cioè quelli con tempi di smaltimento inferiori all’anno ma con accumulo di nuovi pendenti.
Analizzando sulla base del grafico la distribuzione per aree geografiche dei tribunali, si evidenzia anche nella giustizia civile una “questione meridionale”: se i tribunali del Nord si collocano in grande maggioranza (44 su 50) nel quadrante dei “primi della classe” e in nessun caso in quelli dei “problematici”, una buona fetta di quelli del Mezzogiorno (18 su 58) rientrano in questa categoria e solo 6 tra i più virtuosi (spiccano le eccellenze di Marsala e Trapani). Analogamente, se si guarda alla grandezza del bacino di utenza, a soffrire maggiormente sono particolarmente i tribunali piccoli e medio-piccoli (rispettivamente 6 e 7 su un totale di 20 nel quadrante con maggiori criticità, il I).
All’interno di queste tendenze non mancano però differenze e peculiarità che rendono ancor più frastagliata la geografia nazionale. La dispersione, quanto al numero di definizioni in rapporto alle nuove iscrizioni è notevole: nella sola area del Sud si va da valori da 133 a 145 per cento di Foggia, Isernia o Lamezia Terme, agli 83 di Vallo della Lucania o Gela. Stesso discorso per quanto attiene ai tempi di smaltimento: la maglia rosa spetta ad Aosta (118 giorni), quella nera a Patti (1193 giorni).
Non basta. Alla fine dello scorso anno, i tribunali di Nola, Foggia e Civitavecchia mostravano una capacità prospettica di esaurimento dello stock pressoché analoga (tra 574 e 581 giorni); ma se i primi due, con un clearance rate significativamente superiore a 100 hanno ridotto procedimenti pendenti, Civitavecchia (clearance rate pari a 95,6 per cento) ne ha viceversa accumulato di nuovi. Stesso discorso per quanto riguarda tre casi – Salerno Vercelli e Taranto – che nel 2015 hanno evidenziato capacità di smaltimento dell’arretrato molto simili (clearance rate da 116 a 118 per cento): i due tribunali meridionali hanno indici di smaltimento dell’arretrato rispettivamente di 378 giorni (Taranto) e 658 giorni (Salerno), contro i 215 giorni della realtà di Vercelli.
Quali conclusioni trarre? Giocoforza preliminari e parziali e suscettibili, dunque, di approfondimenti. Difficile infatti poter attribuire da questa foto statica un giudizio sulla efficienza di questo o di quel tribunale, in assenza di informazioni sugli input disponibili per ciascuna sede. L’eterogeneità degli indici per tribunali di dimensione analoga e di realtà geografiche prossime potrebbe essere spiegata anche da differenze nella dotazione di risorse strumentali e di personale o ancora da fattori esogeni di altra natura.