Pubblicato il Rapporto sulla politica di bilancio 2021

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Il “Rapporto sulla politica di bilancio 2021” sviluppa, approfondendoli e integrandoli con valutazioni su aspetti specifici e analisi settoriali, i contenuti delle audizioni sulla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (NADEF) e sulla manovra di finanza pubblica svolte dal presidente UPB, Giuseppe Pisauro, presso le Commissioni bilancio di Camera e Senato il 12 ottobre e il 24 novembre.

 

Nel primo dei tre capitoli nei quali si articola il Rapporto si esamina il quadro macroeconomico, tenendo conto anche dei più recenti indicatori congiunturali. Nel 2020 la flessione del PIL risulterebbe intorno al 9 per cento, in linea con le previsioni del MEF riportate nella NADEF e nel DPB in quanto la sorpresa negativa sul quarto trimestre sostanzialmente compenserebbe quella positiva sul periodo estivo. Il peggioramento congiunturale aggrava invece le prospettive sul 2021: anche prefigurando un rapido recupero ciclico a partire dalla primavera, grazie anche al miglioramento del clima economico a seguito dell’avvio della campagna vaccinale, appare difficile realizzare la previsione programmatica del Governo di una crescita del PIL del 6,0 per cento. Se, in sede di validazione del quadro macroeconomico della NADEF, l’UPB aveva prefigurato un aumento del PIL nel 2021 simile a quello indicato dal Governo, la battuta d’arresto che si delinea per questo trimestre è tale da ridurre l’effetto di trascinamento sul prossimo anno – e quindi la prospettiva di crescita – per almeno un punto percentuale.

 

Il secondo capitolo è dedicato a una ricostruzione dettagliata degli andamenti degli aggregati di finanza pubblica nel 2020 e degli interventi messi in atto dal Governo in conseguenza dell’emergenza sanitaria, a un’esposizione delle previsioni per il triennio 2021-23 e a un’analisi del disegno di legge di bilancio per il 2021 nel contesto dell’utilizzo dei fondi UE.

 

Nel 2020 gli effetti della pandemia sull’economia e sulla finanza pubblica hanno interrotto il graduale miglioramento dei conti pubblici registrato negli esercizi passati, condizionandone fortemente gli andamenti. Secondo le stime ufficiali, il deficit delle Amministrazioni pubbliche (PA), dopo essere stato pari all’1,6 per cento del PIL nel 2019, è atteso per il 2020 a un livello leggermente superiore al 10,8 per cento mentre il debito dovrebbe salire dal 134,7per cento del prodotto del 2019 al 158 per cento. Nel corso dell’anno, il Governo ha presentato quattro Relazioni al Parlamento per richiedere di autorizzare maggiore indebitamento. L’impatto complessivo stimato sull’indebitamento netto della PA del 2020 a seguito dei vari decreti legge presentati è pari a 113,6 miliardi ma si riduce effettivamente a un impatto di 108,2 miliardi considerando i 5,4 miliardi di utilizzi dei risparmi sugli scostamenti autorizzati dal Parlamento. Il peggioramento del saldo è dovuto per 90,1 miliardi a un aumento delle uscite nette – principalmente di natura corrente (74,2 miliardi) – e per 23,4 miliardi a minori entrate nette.

 

Per il triennio 2021-23, secondo le previsioni della NADEF, l’indebitamento netto programmatico dovrebbe collocarsi al 7,0 per cento del PIL nel 2021, per poi ridursi al 4,7 per cento nel 2022 e sotto la soglia del 3 per cento nel 2023, risultando quindi in tale anno inferiore rispetto al 3,3 per cento previsto in termini tendenziali. L’andamento del rapporto tra il debito e il PIL dovrebbe essere più favorevole in ogni anno del periodo di programmazione rispetto allo scenario tendenziale con un’accentuazione della sua riduzione. La manovra prevede misure espansive di dimensione sostanzialmente simile nel triennio in termini di PIL: 1,8 per cento nel 2021, 1,9 per cento nel 2022 e 1,7 per cento nel 2023, a fronte delle quali i saldi di bilancio programmatici mostrano un progressivo miglioramento riconducibile a risorse di copertura in larga misura riconducibili agli effetti della retroazione fiscale, che vengono stimate dal Governo per il biennio 2022-23 pari rispettivamente allo 0,7 a all’1,1 per cento del PIL. L’inclusione di entrate connesse con la retroazione fiscale dipende dalla presenza nel quadro programmatico dell’impiego dei fondi europei del programma NGEU, che indurrebbero un impatto espansivo sulla dinamica del PIL e di retroazione sulle grandezze di finanza pubblica.

 

Le stime sulle risorse da retroazione appaiono però fondate su un quadro tuttora incerto sulla tempistica dell’utilizzo dei fondi europei e innestate su andamenti tendenziali, del PIL e dei conti pubblici, caratterizzati da grande incertezza. Dalle simulazioni effettuate tramite i modelli del panel UPB, applicando ipotesi sulla composizione e sulla tempistica di utilizzo dei fondi europei analoghe a quelle che si potevano evincere da quanto riportato nella NADEF, la stima della retroazione fiscale esplicitata nel DDL di bilancio appare ottimistica, in particolare per il 2023, anno in cui la stima del DDL di bilancio risulta sovrastimata di almeno un quarto. Inoltre L’evoluzione delle grandezze di finanza pubblica per il prossimo triennio dipende da previsioni del quadro macroeconomico soggette a rischi ancora orientati al ribasso. Il Governo, peraltro, ha già annunciato l’intenzione di valutare a gennaio prossimo la necessità di ulteriori scostamenti, alla luce dell’evoluzione della pandemia.

 

L’elemento di rischio maggiore per il disavanzo e per la dinamica del debito deriva dal fatto che si decide di affidare a tali stime il finanziamento di misure, di aumento delle spese o di riduzione delle entrate, con effetti di carattere permanente, che esigerebbero coperture strutturali a regime.

 

Il DDL di bilancio e la relativa documentazione contengono alcune indicazioni sui criteri di l’utilizzazione delle risorse NGEU messe a disposizione per l’Italia, stimate nel complesso pari a 209,7 miliardi. In particolare, il Governo ipotizza di impiegare 121,2 miliardi di fondi per nuove misure (da finanziare con l’intero ammontare delle sovvenzioni, per 82,1 miliardi, e da prestiti cosiddetti “aggiuntivi” per 39,1 miliardi) e di utilizzare la rimanente parte di 88,5 miliardi per misure già presenti nella legislazione vigente, da finanziare con prestiti cosiddetti “sostitutivi”.

 

Secondo il quadro programmatico della NADEF, confermato nel DPB, il rapporto tra il debito e il PIL è previsto in riduzione a partire dal 2021, passando dal 155,6 per cento atteso per il prossimo anno al 153,4 per cento nel 2022 e al 151,5 per cento nel 2023.

 

L’UPB ha valutato la sensitività del sentiero programmatico rispetto a uno scenario alternativo, basato sulle previsioni di crescita del PIL reale e del deflatore del PIL elaborate dall’UPB fino al 2023. Con ipotesi standard sugli impatti di tali variabili sugli aggregati di finanza pubblica, nello scenario UPB il livello del rapporto tra il debito e il PIL sarebbe superiore a quello dello scenario NADEF per tutto il periodo: in particolare, dopo una prima discesa nel 2021, il rapporto tra il debito e il PIL ricomincerebbe a salire già dal 2022. L’esito dell’esercizio di sensitività deve essere considerato anche alla luce dell’incertezza sull’evoluzione della pandemia e della successiva fase di ripresa economica, e sul possibile rischio di una revisione al ribasso del quadro macroeconomico sottostante tali stime.

 

Il Rapporto ripropone l’analisi delle implicazioni del programma di acquisti dell’Eurosistema sul mercato secondario. Sulla base di alcune ipotesi specifiche, viene valutato l’impatto per il 2020 e per il 2021 del programma di acquisiti dell’Eurosistema, in particolare sull’entità dei flussi di titoli al netto degli acquisti dell’Eurosistema che dovranno essere assorbiti dagli investitori privati. Per il 2020, gli acquisti dei titoli italiani da parte dell’Eurosistema ammonterebbero a circa il 39 per cento del totale delle emissioni lorde del Tesoro previste nel mercato primario. In questo scenario, le emissioni lorde dei titoli di Stato al netto degli acquisti dell’Eurosistema sarebbero stimate pari a 335 miliardi, inferiori a quelle stimate nel 2019 (384 miliardi). Per il 2021, includendo il rafforzamento del programma di acquisti recentemente deciso dalla BCE, l’ammontare totale degli acquisti dell’Eurosistema scenderebbe al 33 per cento del totale delle emissioni lorde del Tesoro, con le emissioni lorde al netto degli acquisti dell’Eurosistema stimate pari a 358 miliardi, in crescita rispetto al 2020, ma ancora inferiori a quelle stimate per il 2019. Le emissioni nette di titoli di Stato al netto degli acquisti dell’Eurosistema sarebbero di entità trascurabile, per il 2020 marginalmente positive e pari a circa 3 miliardi, mentre per il 2021 risulterebbero negative per 3 miliardi. Sia nel 2020 che nel 2021 la quota di titoli di Stato detenuta dal settore privato si ridurrebbe a fine anno.

 

Il terzo capitolo contiene valutazioni qualitative e quantitative delle principali misure contenute nella manovra e dei loro effetti su categorie e settori interessati.

 

La manovra di bilancio, nel contesto di forte incertezza sul fronte dell’evoluzione della pandemia e del quadro macroeconomico, si presenta come un coacervo di misure indirizzate a diverse finalità condivisibili ma senza un sottostante disegno di politica di bilancio ben delineato. In particolare, essa si articola in una serie di interventi che, in parte, si collocano nel solco di quelli varati con precedenti provvedimenti a sostegno del mercato del lavoro e delle imprese e, in parte, sono volti a favorire la ripresa nei prossimi anni. A questi si aggiungono gli interventi in favore delle famiglie, i provvedimenti riguardanti il pubblico impiego, le misure in materia pensionistica, in campo sanitario e dell’istruzione, gli interventi destinati al Mezzogiorno e quelli volti a contrastare l’evasione fiscale e a incentivare l’utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili.

 

Le misure emergenziali comprendono la proroga ai primi mesi del 2021 del pacchetto straordinario di interventi anticrisi per il mercato del lavoro (Cassa integrazione con causale COVID-19 e, in alternativa, esonero degli oneri contributivi; blocco dei licenziamenti per motivazioni economiche; rinnovabilità dei contratti di lavoro a tempo determinato), un’ulteriore estensione del sostegno alla liquidità delle imprese (garanzie pubbliche e moratoria straordinaria per i prestiti), aiuti a favore dei settori produttivi più fortemente danneggiati dalla crisi, oltre a una serie di provvedimenti a favore degli aree di intervento pubblico direttamente investiti dalla pandemia, come sanità, istruzione, sicurezza e TPL.

 

Le misure più strutturali investono una molteplicità di ambiti rilevanti. Innanzitutto largo spazio è riservato agli investimenti, sia quelli pubblici (sostenuti tanto da risorse nazionali quanto dai fondi del NGEU), sia quelli delle imprese. Su questo secondo fronte, la manovra proroga e amplia l’ambito di applicazione degli incentivi già adottati negli anni passati attraverso il credito di imposta in beni strumentali nuovi, a investimenti in attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica e altre attività innovative, e alle spese di formazione 4.0. Un’analisi condotta sui bilanci delle società di capitali mostra come il credito di imposta potenziato proposto per il 2021 sia sempre più generoso rispetto a quello attualmente vigente. Per il 2022 la convenienza dipende dalla tipologia di beni: per i beni materiali ad alto contenuto tecnologico il nuovo credito d’imposta risulta potenziato rispetto sia a quello attualmente in vigore sia alla maggiorazione dell’ammortamento per investimenti superiori a 2,5 milioni.

 

Vengono poi attivate misure per il riequilibrio della struttura finanziaria delle imprese, di cui si intende favorire la ricapitalizzazione anche per compensare l’incremento della leva che la crisi ha prodotto sui loro bilanci e assicurare condizioni più favorevoli per la ripresa degli investimenti. A tale scopo il DDL di bilancio proroga alcune misure già introdotte con il decreto di maggio di incentivo all’apporto di capitale di rischio delle società di capitali di dimensioni medio-piccole (che hanno subito una riduzione di oltre un terzo dei ricavi rispetto al 2019), prevede la possibilità che il Fondo Patrimonio PMI sottoscriva titoli emessi da alcune società beneficiarie dei crediti di imposta e introduce incentivi fiscali alle operazioni di aggregazione aziendale realizzate attraverso fusione, scissione o conferimento d’azienda.

 

Interventi rilevanti in termini finanziari sono poi previsti a sostegno dell’occupazione del Mezzogiorno, oltreché in favore dei giovani e dell’occupazione femminile. In particolare, la manovra estende fino al 2029 l’agevolazione contributiva già introdotta con il decreto di agosto per tutti i datori di lavoro con occupati nel Mezzogiorno. La decontribuzione, decrescente negli anni (dal 30 per cento previsto fino al 2025 al 10 per cento del biennio 2028-29), riguarda l’intera platea degli occupati nel Mezzogiorno e non solo quelli di nuova assunzione o stabilizzati configurandosi pertanto come un taglio del costo del lavoro per le imprese operanti nel Mezzogiorno.

 

Il pacchetto a favore delle famiglie comprende innanzitutto la stabilizzazione nell’ambito dell’Irpef del bonus 100 euro per i lavoratori dipendenti, introdotto con il DL 3/2020 e finanziato per il solo secondo semestre del 2020. Ma soprattutto viene avviata, per ora solo sul piano della predisposizione delle risorse finanziarie, l’annunciata riforma del sistema tributario. In particolare, vengono assegnate risorse aggiuntive per il 2021 al Fondo assegno universale e servizi alla famiglia (3 miliardi) e istituito un nuovo fondo di 8 miliardi nel 2021 e 7 miliardi dal 2022 da destinare al finanziamento della riforma. Di queste risorse, una quota annua compresa tra 5 e 6 miliardi viene specificamente destinata al finanziamento dell’assegno unico per i figli a carico.

 

Se i contenuti della riforma fiscale sono ancora tutti da definire, quella dei trattamenti di famiglia è a uno stadio più avanzato di realizzazione: la sua attuazione è demandata a un disegno di legge delega in discussione in Parlamento che fissa criteri generali per il complessivo riassetto degli strumenti a sostegno dei carichi di famiglia. Le risorse appostate finora per la revisione dei trattamenti di famiglia, includendo quelle previste nel DDL di bilancio, ammontano a circa 4 miliardi per il 2021 e una somma compresa tra 6,2 e 7,2 miliardi a partire dal 2022.

 

Il disegno di legge delega non specifica, tuttavia, i criteri puntuali per il disegno dell’assegno per quanto riguarda sia la sua entità sia la relazione con l’ISEE (che costituisce criterio di selettività per il nuovo strumento). È quindi difficile valutare tanto la congruità dei costi rispetto agli stanziamenti quanto gli effetti distributivi della nuova misura. Analisi sviluppate di recente dall’UPB, in cui si considerano diverse configurazioni possibili dell’assegno unico, mettono in luce che i benefici maggiori sarebbero concentrati tra i soggetti incapienti (soggetti con redditi bassi e imposta nulla che nel regime vigente non beneficiano delle detrazioni Irpef per figli a carico) e i lavoratori autonomi (che nel regime vigente non percepiscono gli assegni al nucleo familiare, riservati ai nuclei in cui il reddito da lavoro dipendente costituisce almeno il 70 per cento del reddito della coppia). Il beneficio netto medio (saldo tra il nuovo assegno e le misure che verrebbero abolite) risulterebbe di circa mille euro per famiglia. Si è tuttavia evidenziato il rischio che per una quota non trascurabile di famiglie i benefici attuali possano risultare maggiori di quelli derivanti dal nuovo assegno unico. Una circostanza che si verifica con maggiore probabilità per le famiglie con figli maggiorenni, che beneficerebbero di un assegno unico ridotto, ma che può riguardare anche altre tipologie di nuclei i quali, a causa del diverso meccanismo di calcolo dell’assegno unico rispetto a quelli delle misure attuali, potrebbero essere penalizzati dai nuovi criteri.