Il Rapporto sulla Programmazione 2020 si colloca in un contesto economico-finanziario eccezionale, mai sperimentato in tempi di pace dalla grande crisi degli anni ’30 del secolo scorso. Il Rapporto, che nelle edizioni precedenti si focalizzava sul Documento di economia e finanza (DEF) e sull’audizione parlamentare che ne seguiva, allarga quest’anno la sua prospettiva agli effetti che la pandemia COVID-19 ha prodotto sul quadro economico internazionale e nazionale, al complesso dei provvedimenti assunti, da marzo fino a oggi, dalle istituzioni europee e dal Governo nazionale per contrastare le drammatiche conseguenze economiche e sociali prodotte dalla crisi, all’impatto che le misure adottate stanno comportando per le grandezze di finanza pubblica anche in termini prospettici.
In particolare, da marzo il Governo ha messo in campo una serie di misure di portata finanziaria assai rilevante che comportano complessivamente un peggioramento dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche del 4,5 per cento del PIL nel 2020 e dell’1,5 nel 2021.
Si è trattato in larghissima parte di interventi di natura emergenziale, che offrono sostegno temporaneo alla pressoché generalità dei soggetti economici (lavoratori, famiglie e imprese). È prevista la messa in opera di una vasta gamma di strumenti, come l’istituzione di nuovi fondi, la presenza di contributi a fondo perduto, di crediti di imposta, di agevolazioni fiscali, di sospensioni di imposta con effetti temporanei sulla liquidità delle imprese. Solo con gli interventi più recenti le misure di sostegno hanno talvolta incorporato elementi di maggiore selettività, circoscrivendo l’accesso e differenziando i benefici in relazione a una qualche misura del grado con cui la crisi ha inciso sui bilanci economici. Inoltre, gli ultimi provvedimenti comprendono anche alcuni interventi finalizzati alla ripresa, come quelli per la patrimonializzazione delle imprese, per l’innovazione tecnologica e la ricerca, il sostegno di specifici settori.
Gli interventi adottati richiedono numerosi decreti di attuazione e, in taluni casi, anche la preventiva subordinazione delle disposizioni alla dichiarazione di compatibilità con la normativa della UE da parte della Commissione europea. In generale, l’efficacia delle misure dipende criticamente dal rispetto dei tempi previsti, da meccanismi rapidi di assegnazione delle risorse, da procedure telematiche efficienti, dalla attuazione delle semplificazioni procedurali inserite nelle norme.
Tuttavia, in una prospettiva di progressiva uscita dalla fase più acuta della crisi sanitaria ed economica, i provvedimenti adottati andranno necessariamente riconsiderati all’interno di una visione più organica di politica di bilancio. Sarà necessaria l’individuazione di scelte strategiche circa i settori cui allocare maggiori o minori risorse, circa il futuro del sistema tributario e circa la riattivazione della spesa in conto capitale.
Al termine del periodo di emergenza, la politica di bilancio italiana si confronterà quindi con una situazione dei conti gravata dagli interventi straordinari varati e dalla contrazione delle entrate dovuta alla crisi economica, in un quadro futuro non più schermato dalla presenza delle clausole di salvaguardia che sono state cancellate. L’azione di bilancio in questo quadro peggiore ma più trasparente rispetto al passato dovrà operare scelte di priorità in un contesto dove si renderà necessario garantire la graduale ricostituzione di un avanzo primario che consenta di ridurre nel tempo il debito, seppure in un ambito di stabilizzazione dell’economia.
Il quadro macroeconomico
L’UPB ha validato il quadro macroeconomico tendenziale del DEF 2020, sottolineando tuttavia il grado di incertezza straordinariamente elevato sulle prospettive di breve periodo e l’estrema variabilità che circonda le previsioni macroeconomiche. Gli scostamenti tra le previsioni formulate dai diversi partecipanti al panel UPB sono quest’anno assai più ampi che nel passato. Nei due mesi successivi alla pubblicazione del DEF le previsioni macroeconomiche hanno continuato a deteriorarsi, in quanto si sono materializzati alcuni dei rischi segnalati dall’UPB in occasione dell’esercizio di validazione.
La diffusione della pandemia da coronavirus (COVID-19), dapprima in Cina e poi nel resto del mondo, ha cambiato radicalmente il quadro internazionale, che appariva in recupero a inizio 2020, determinando un crollo dell’attività economica e un deterioramento dell’outlook di intensità mai registrata dalla Grande Depressione. Nonostante lo sfasamento temporale nella diffusione dell’epidemia, i mercati azionari hanno reagito velocemente e in simultanea. La pandemia ha fortemente inciso sul mercato petrolifero inducendo già dall’inizio di febbraio pressioni al ribasso sui prezzi. Anche il commercio internazionale, per il quale all’avvio del 2020 si prospettava un allentamento dei conflitti commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina, ne ha risentito pesantemente. L’interruzione delle catene globali del valore ha generato colli di bottiglia in quelle produzioni nazionali con significativo utilizzo di input intermedi d’importazione. I sistemi industriali con forte vocazione all’export, come la Germania e l’Italia, ne stanno risentendo in misura consistente. Le politiche economiche hanno prontamente reagito, con interventi di stimolo fiscale da parte dei governi e misure di allentamento monetario delle banche centrali.
La fase ciclica dell’economia italiana, già in deterioramento nell’ultimo trimestre del 2019, con il diffondersi dell’epidemia ha mostrato un peggioramento ad una velocità e intensità senza precedenti in tempi di pace. Il comparto industriale ha subìto un brusco arretramento dovuto al blocco delle attività produttive non essenziali ed ancora più marcate sono state le conseguenze dell’emergenza sanitaria sul terziario, già emerse all’inizio dell’anno in conseguenza del minor afflusso turistico internazionale. Il progressivo inasprimento delle misure di distanziamento sociale è culminato con il blocco di diverse attività, tra cui quelle legate alla ristorazione, a fiere e convegni e al trasporto aereo e ferroviario, con riflessi negativi sul comparto della logistica. Gli indicatori qualitativi più aggiornati confermano l’intensità eccezionale della frenata e oltre al deterioramento della fiducia si delinea anche un aumento dell’incertezza, che secondo l’indicatore UPB è nettamente aumentata nella prima parte dell’anno in corso, sia per le famiglie sia per le imprese. La dinamica dei prezzi, che all’inizio del 2020 aveva confermato la fase di debolezza già osservata lo scorso anno, determinata da una domanda interna moderata e da pressioni all’origine contenute è ulteriormente scesa durante l’emergenza sanitaria, fino a portarsi in territorio negativo. Anche il mercato del lavoro, che già aveva mostrato segni di indebolimento già prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria, appare colpito dalle misure introdotte per contenere la pandemia. Le restrizioni alla mobilità hanno fortemente scoraggiato la ricerca attiva di lavoro, determinando un balzo degli inattivi e il blocco della domanda ha prodotto un brusco deterioramento delle attivazioni di posizioni dipendenti a termine. Gli indicatori quantitativi ad alta frequenza più tempestivi, dopo la profonda flessione di aprile, mostrano l’avvio di una fase di recupero in maggio, sebbene molto graduale. Nonostante la diffusa rimozione dei vincoli alle attività produttive il trimestre corrente sconta sia i livelli di attività straordinariamente bassi di aprile sia il trascinamento statistico estremamente sfavorevole di marzo. Il quadro degli indicatori congiunturali disponibili segnala il proseguimento dell’eccezionale fase di crisi dell’economia italiana anche per il secondo trimestre dell’anno.
Rispetto alla data di finalizzazione del quadro macroeconomico del MEF, a metà aprile, le previsioni macroeconomiche sul 2020 hanno continuato a deteriorarsi per tutti i maggiori paesi, a esclusione della Cina. Per quanto riguarda l’Italia, al crollo delle attese in marzo ha fatto seguito un ulteriore ribasso in aprile e un lieve cedimento nelle ultime settimane. Alla luce di questa instabilità, l’UPB presenta un aggiornamento del quadro macroeconomico. Rispetto a quello prodotto in occasione dell’esercizio di validazione delle previsioni del MEF, si tiene conto di un ulteriore peggioramento nelle attese di breve termine ma anche degli effetti espansivi del DL Rilancio. I modelli di previsione di breve periodo dell’UPB stimano un ulteriore notevole arretramento congiunturale del PIL nel secondo trimestre, di circa dieci punti percentuali, sostanzialmente in linea con quello atteso già in aprile. La normalizzazione delle attività produttive e dei comportamenti di spesa è però tale da rendere ancora molto incerti i tempi e l’intensità della ripresa, che viene ora stimata meno robusta rispetto a quanto previsto in aprile.
Rispetto al quadro macroeconomico dell’UPB, realizzato in occasione dell’esercizio di validazione delle previsioni del MEF, tenendo conto nelle più recenti informazioni sulla congiuntura e incorporando il DL Rilancio la crescita del PIL per quest’anno è rivista al ribasso per oltre un punto percentuale. Le previsioni sui deflatori dei consumi e del PIL sono invece confermate.
Queste previsioni sono soggette a un’incertezza senza precedenti storici, in quanto riconducibile non soltanto ai consueti fattori economici, ma anche a variabili sociali e sanitarie. I rischi sono prevalentemente orientati al ribasso e sono riconducibili a fattori sanitari, al contesto globale, al possibile riaccendersi di tensioni finanziarie. Vi è inoltre il rischio che l’accuratezza delle stime preliminari di contabilità nazionale dei paesi più colpiti dal COVID-19 possa risentire delle difficoltà nell’acquisizione e nella destagionalizzazione dei dati in tempo reale. Una valutazione più solida della posizione ciclica in corso potrà essere effettuata solo retrospettivamente nei prossimi trimestri, quando gli istituti di statistica nazionali avranno avuto modo di integrare le informazioni storiche mancanti e i modelli di destagionalizzazione disporranno di osservazioni atte a qualificare statisticamente i dati anomali.
La finanza pubblica
Per fronteggiare l’emergenza, il Governo ha chiesto al Parlamento per due volte autorizzazioni a discostarsi dal sentiero verso l’obiettivo di medio termine precedentemente autorizzato. La prima autorizzazione ha consentito la successiva approvazione del DL 18/2020 (cosiddetto DL “Cura Italia”), mentre la seconda autorizzazione ha permesso l’approvazione del DL 34/2020 (cosiddetto DL “Rilancio”).
L’emergenza ha quindi interrotto una tendenza al ridimensionamento del disavanzo, che nel 2019 era risultato nettamente inferiore a quello dell’anno precedente. Lo scorso anno, infatti, l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche (AP) si è ridotto rispetto al 2018 dal 2,2 all’1,6 per cento del PIL. Le previsioni tendenziali del DEF, limitate al biennio 2020-21 e comprensive degli effetti del DL “Cura Italia” e del DL 23/2020 (cosiddetto DL “Liquidità”) ma non del DL “Rilancio”, mostrano un rapido aumento del disavanzo pubblico per l’anno in corso (7,1 per cento del PIL) e una riduzione nel 2021 (4,2 per cento del PIL), dovuta al carattere straordinario delle misure disposte per contrastare l’impatto del COVID-19 e alla presenza delle clausole di salvaguardia di aumento dell’IVA e delle accise sugli olii minerali.
Il DEF non espone uno scenario programmatico, ma riporta indicazioni su un quadro di finanza pubblica con nuove politiche che recepisce anche gli effetti sui saldi del DL “Rilancio” (ma che non considera, in via prudenziale, l’impatto macroeconomico del provvedimento). L’impatto finanziario del decreto farebbe salire rispetto al tendenziale l’indebitamento netto delle AP al 10,4 per cento del PIL nel 2020 e al 5,7 nel 2021. Il debito pubblico salirebbe al 155,7 per cento del prodotto nell’anno in corso e scenderebbe al 152,7 per cento nel prossimo. Nel DEF si precisa tuttavia che tale scenario non considera gli effetti sul PIL delle misure contenute nel DL 34/2020.
I diversi provvedimenti mirati ad affrontare l’emergenza COVID-19, varati dal Governo a partire da marzo, hanno una rilevanza notevole dal punto di vista dell’impatto sui saldi di finanza pubblica. Complessivamente, le norme adottate comportano un peggioramento dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche del 4,5 per cento del Pil nel 2020 e dell’1,5 nel 2021, in linea con quanto indicato nel DEF.
L’incremento delle uscite nette domina nel primo anno (con un impatto di 69,4 miliardi a fronte di uno di 5,5 miliardi nel 2021 e di 6,5 nel 2022), mentre dal 2021 la riduzione netta delle entrate (pari 6 miliardi nel 2020, a 20,6 nel 2021 e a 28,2 nel 2022) spiega circa l’80 per cento del peggioramento del saldo. Guardando alle aree di intervento, si osserva come per il 2020 le risorse siano state indirizzate in massima parte a sostenere i lavoratori e le imprese, destinando a essi rispettivamente 27 miliardi e 22,7 miliardi. Per il sistema sanitario e il comparto sicurezza sono stati stanziati 8,3 miliardi circa. Interventi compresi tra i 6 e i 7 miliardi hanno riguardato varie misure settoriali e gli Enti territoriali. Le misure fiscali hanno assorbito 4,1 miliardi di mezzi finanziari, mentre ad altre finalità sono dedicate disposizioni con effetti inferiori al miliardo.
La scelta di eliminare le clausole sulle imposte indirette appare in linea con le osservazioni riportate in più occasioni dall’Ufficio parlamentare di bilancio, durante le Audizioni in Parlamento e nei vari documenti pubblicati. Una impostazione che non incorpora le maggiori entrate future appare più trasparente e credibile rispetto a un quadro che le comprende ma è accompagnato dall’impegno politico a eliminarle. In questo contesto, giova sottolineare che l’impatto sui saldi di finanza pubblica della disattivazione delle clausole non corrisponde a uno spazio costituito per nuove politiche, ma di fatto rende maggiormente leggibile l’impatto delle politiche adottate in passato.
I principali provvedimenti introdotti con i decreti legge
Con i decreti legge adottati dal mese di marzo il Governo è intervenuto per introdurre misure volte a contrastare gli effetti sul mercato del lavoro, sul reddito dei lavoratori dipendenti e autonomi e, in generale, sulla condizione economica delle famiglie delle differenti misure di restrizione all’attività economica. A queste si sono affiancati, dapprima, interventi di sostegno alla liquidità delle imprese per lo più strutturati nella forma di garanzie sui prestiti bancari da parte dello Stato e di altre istituzioni e, successivamente, misure per favorire e incentivare la patrimonializzazione delle stesse. Tra le altre, sono inoltre state introdotte misure per sostenere l’attività delle Amministrazioni locali impegnate a fronteggiare gli effetti della crisi, per rafforzare il sistema sanitario e per sostenere settori specifici. Nel Rapporto si analizzano distintamente queste diverse tipologie di misure.
Le misure di sostegno al reddito dei lavoratori e delle famiglie. – Tra marzo e giugno, per alleviare gli effetti di una crisi senza precedenti, sono state introdotte misure di sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti e autonomi e delle famiglie. Da un lato, è stata introdotta una causale ad hoc COVID-19 per permettere trattamenti a favore dei lavoratori dipendenti al di là dei limiti della normativa in vigore sulla Cassa integrazione e sui Fondi bilaterali. Dall’altro lato, sono state introdotte per un periodo massimo di tre mesi indennità una tantum per i lavoratori autonomi e alcune categorie più marginali del lavoro dipendente. A questi due blocchi di misure si è aggiunto il Reddito di emergenza (REM) come strumento ultimo di salvaguardia per i nuclei familiari maggiormente esposti alla crisi e per i working poor privi di integrazioni salariali e indennità.
Con il modello di microsimulazione dell’UPB è stata condotta una prima analisi dell’effetto congiunto di queste misure con riferimento a una mensilità del loro utilizzo in corrispondenza della fase 2. Nell’esercizio, che evidenzia la distribuzione dei benefici sul complesso delle famiglie italiane in funzione di alcune principali caratteristiche socioeconomiche, sono state considerate la CIG ordinaria, così come regolata dalla normativa pre crisi, le relative estensioni previste dal DL 18/2020, dal DL 34/2020 e dal DL 52/2020, le indennità una tantum e il REM.
Nel complesso le erogazioni raggiungono circa un terzo delle famiglie italiane, con incidenze differenziate che dipendono dalla natura e dalla selettività delle prestazioni percepite e dalla tipologia di soggetti che compongono i nuclei familiari (lavoratori dipendenti, autonomi o altro), e risultano in media pari al 47 per cento del reddito disponibile familiare mensile pre crisi. Circa il 70,6 per cento dei benefici erogati raggiunge il lavoro dipendente, il 24,8 per cento il lavoro autonomo, mentre è stanziato per il REM circa il 4,6 per cento delle risorse complessive. La distribuzione per decili di reddito dei benefici evidenzia una maggiore presenza dei nuclei beneficiati in corrispondenza dei decili più bassi: si passa da un’incidenza del 46,6 per cento del primo decile al 25,1 per cento del decimo decile. La distribuzione del complesso delle risorse tra i decili risulta invece sostanzialmente omogenea. I trasferimenti coprono il 90,9 per cento del reddito familiare mensile medio pre crisi dei nuclei beneficiari del secondo decile, contro circa il 20 per cento dei nuclei beneficiari del decimo decile. Per il primo decile, il REM costituisce poco meno del 50 per cento del totale dei trasferimenti ricevuti.
In base alle stime ufficiali, rispetto alla normativa di base pre crisi pandemica, quasi 5,1 milioni di lavoratori possono accedere alle integrazioni salariali con causale COVID-19; la connessa maggiore spesa ammonterebbe a circa 22 miliardi (di cui 8 di contribuzione figurativa). Si tratta di importi molto rilevanti che si aggiungono all’andamento tendenziale della spesa per integrazioni salariali già accessibili a normativa invariata. La spesa per causale COVID-19 sarebbe significativamente superiore a quanto speso per integrazioni salariali in tutto il 2013, anno di picco di questa voce (circa 3,8 miliardi) e molto al di sopra del suo valore medio annuo dal 2008 a oggi (2,4 miliardi).
Le indennità una tantum sono rivolte a oltre 5,2 milioni di soggetti a marzo, a oltre 4,9 milioni ad aprile e a circa 1,1 milioni a maggio. Rispondono alla stessa esigenza di sostenere la continuità di esercizio nei momenti più acuti della crisi. Le stime ufficiali indicano una spesa di circa 8 miliardi complessivi, cui andrebbe aggiunta l’indennità di aprile per i liberi professionisti riconosciuta con il DM 29 maggio 2020 (nel limite di spesa di 370 milioni) e una parte dei 6,2 miliardi destinati a finanziare il contributo a fondo perduto per le piccole e medie imprese. Anche queste sono spese di grandezza fuori dall’ordinario, se si considera che nel 2019 (anno di picco della serie storica dal 1995) la spesa per il complesso delle indennità di disoccupazione (NASPI, DIS-COLL, Indennità agricola, altre indennità in corso di esaurimento dopo la riforma de Jobs Act) è ammontata a circa 12,6 miliardi, mentre la spesa media annua dal 2008 a oggi è stata di poco superiore a 10,2 miliardi.
Di fronte a queste cifre, maggiore attenzione meriterebbe il tema della selettività delle misure rispetto alle condizioni di bisogno in cui il lavoratore o il nucleo familiare possono momentaneamente trovarsi a causa della crisi. Componenti della selettività possono essere la scelta degli importi delle integrazioni e delle una tantum, la compatibilità tra le varie prestazioni di supporto al lavoro, la cumulabilità con altri redditi e in particolare i redditi da pensione. La selettività può diventare cruciale nel bilanciare l’obiettivo di massimizzare la platea dei beneficiari con quello di tenere sotto controllo la spesa, se il sostegno straordinario al lavoro dovesse essere prolungato nella seconda metà dell’anno.
Il tema della selettività assume un ruolo rilevante anche ai fini del ritorno alla normalità di funzionamento degli ammortizzatori sociali e in generale del loro ruolo in una situazione di forte cambiamento. In uno scenario ottimistico e improbabile di pieno e generalizzato recupero dei ritmi lavorativi già nelle prime settimane della seconda parte dell’anno, la chiusura al 31 ottobre della causale COVID-19 potrebbe non sollevare particolari problemi. Uno scenario più plausibile, tuttavia, è quello di un recupero più lento e soprattutto differenziato per settore e per territorio, con imprese che recuperano immediatamente la redditività (per le quali la prosecuzione della causale COVID-19 non è necessaria) affiancate da altre che continuano a svolgere un’attività rallentata dal rispetto di specifiche limitazioni dovute al distanziamento sociale ancora presenti (per le quali invece potrebbe essere necessaria una prosecuzione della causale COVID-19), da altre ancora che a causa della crisi possono subire una riduzione definitiva dell’attività e stentare a sopravvivere. A tutto ciò si affiancano imprese in settori in cui la crisi ha accelerato il cambiamento del modello di produzione sulla base di spinte e impulsi già in atto prima della crisi stessa e indipendenti da questa (ad esempio, le imprese del commercio che decidono di adeguarsi e fare ricorso più ampio alle modalità di vendita on line). In scenari di questo tipo diventa dunque rilevante non solo il disegno di uscita graduale dalla causale COVID-19, ma anche una riflessione generale sul sistema degli ammortizzatori sociali e sul loro ruolo in presenza di situazioni così differenziate tra loro e di cambiamenti strutturali nell’attività di impresa.
Il disegno di una transizione verso il superamento della causale COVID-19 potrebbe prevedere l’applicazione progressiva di alcuni criteri di selettività. Una medesima osservazione vale ovviamente anche sul fronte delle indennità, dove però le premesse per una erogazione selettiva sono già state inserite nella normativa e potranno, nel caso, essere di guida per i rinnovi oltre maggio. Inoltre, anche per il REM – la cui erogazione è prevista per sole due mensilità – potrebbe essere necessario introdurre una transizione più graduale verso la normativa del RdC. Per tutti e tre gli strumenti sarà opportuno avviare delle riflessioni sulla eventuale gradualità della loro rimozione al fine di evitare una conclusione brusca o una fase transitoria con termini incerti o troppo vaghi. È auspicabile che qualora si verificassero cambiamenti strutturali ereditabili dalla crisi questi strumenti non vengano trascinati in avanti “per inerzia” ma discussi esplicitamente all’interno di un quadro complessivo delle priorità e delle risorse.
Nei prossimi mesi sarà necessario un costante monitoraggio delle integrazioni con causale COVID-19 e delle indennità una tantum, sia per verificare l’andamento della spesa rispetto alle coperture, sia per trarne informazioni sull’andamento dell’occupazione nei vari settori. Il monitoraggio dei dati sarà anche di supporto per fare scelte selettive, in particolare in previsione di quello che potrebbe accadere dopo agosto quando, terminato il divieto di licenziamento, in alcuni settori/ambiti territoriali la spesa per ammortizzatori del mercato del lavoro potrebbe virare, anche in maniera repentina, verso le indennità di disoccupazione.
È possibile che già a settembre si debba riformulare la strategia di risposta alla crisi, dall’assetto attuale, in cui il ruolo di gran lunga più importante è rivestito dalle integrazioni salariali, verso un assetto in cui anche la spesa per l’indennità di disoccupazione a normativa vigente potrebbe fare registrare aumenti superiori rispetto alla dinamica annuale e infrannuale osservata negli ultimi tempi. Una componente del riposizionamento del mix potrebbe venire proprio dalla selettività sia per integrazioni salariali sia per indennità. Un ruolo rilevante nel ridisegno potrà essere rivestito da uno degli strumenti frutto del coordinamento europeo – il SURE – e dalla possibilità, prevista dal Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato della Commissione europea, che gli Enti territoriali (in primis Regioni) finanzino con risorse dei loro bilanci aiuti ai datori di lavoro (ivi inclusi i lavoratori autonomi nelle vesti di datori) per pagare le retribuzioni dei loro dipendenti ed evitare licenziamenti.
Gli interventi in favore delle imprese. – Nella prima fase dell’emergenza sanitaria le misure a sostegno delle imprese sono state generalmente universali per consentire a tutte quelle colpite dalla sospensione dell’attività, e quindi in potenziale crisi di liquidità, di avere accesso al credito. Nella fase successiva, le misure di sostegno hanno in gran parte dei casi incorporato elementi di maggiore selettività e sono state differenziate in relazione alle dimensioni e alla natura giuridica dell’impresa. Inoltre, tra le misure più recenti emergono alcuni interventi finalizzati anche alla ripresa economica, attraverso l’introduzione sia di incentivi fiscali al rafforzamento patrimoniale delle imprese, alla innovazione e alla ricerca, sia di agevolazioni, più o meno rilevanti, in favore di specifici settori (edilizia, turismo, cultura e mobilità sostenibile).
Per quanto riguarda gli interventi adottati a sostegno della liquidità, questi sono prevalentemente di tipo indiretto e mediati attraverso il sistema finanziario per garantire sia il mantenimento delle linee di credito già esistenti (con la moratoria straordinaria di tipo automatico per le micro e le piccole-medie imprese che attestano la carenza di liquidità a seguito della emergenza), sia il funzionamento dei canali di nuovo credito per fronteggiare eventuali crisi di liquidità anche in presenza di un deterioramento dei bilanci delle imprese (garanzie statali).
Il DL 23/2020 ha, tra le altre cose, significativamente esteso e potenziato il funzionamento delle garanzie pubbliche sia sui nuovi prestiti sia sulle rinegoziazioni attraverso il Fondo di garanzia per le PMI. In generale, è stata ampliata la platea delle imprese che ha diritto alle garanzie, è stato aumentato l’importo garantito, è stato ridotto il costo del finanziamento e sono state semplificate ed eliminate alcune condizioni di accesso. Questa misura aumenta sensibilmente la percentuale di garanzia pubblica, trasferendo dal soggetto finanziatore allo Stato i rischi relativi agli inadempimenti delle imprese, resi più probabili dai danni dell’emergenza sanitaria. Per questa finalità, al Fondo di garanzia sono stati assegnati complessivamente 6 miliardi per il 2020 come accantonamenti per il rischio di perdite finanziarie associate alla probabilità di inadempimento delle imprese. Va tuttavia osservato che la procedura di concessione della garanzia, che la norma – per necessità legate alla fase di emergenza – ha reso meno stringente e più semplificata rispetto a quella ordinariamente seguita, potrebbe determinare una sottovalutazione del rischio di inadempimento futuro delle imprese e quindi degli importi da accantonare al Fondo. Ciò determinerebbe la necessità nei prossimi anni di recuperare risorse aggiuntive per fare fronte agli obblighi assunti.
Va infine osservato che un elemento cruciale per l’efficacia della norma è costituito dalla rapidità di erogazione dei prestiti. Con riferimento al Fondo di garanzia per le PMI, nella prima fase di attuazione, sono stati rilevati significativi ritardi nella erogazione dei prestiti dovuti alla complessità di alcuni adempimenti amministrativi e ad alcune incertezze attuative. Va peraltro ricordato che il quadro normativo è significativamente cambiato nel passaggio dal DL 18/2020 al DL 23/2020 e ulteriormente modificato con la conversione in legge di quest’ultimo. L’ammontare dei prestiti richiesti tra il 17 marzo e il 29 giugno – pari a circa 43 miliardi nel – sembrerebbe abbastanza contenuto rispetto a quello potenzialmente raggiungibile qualora tutte le imprese ricorressero ai prestiti per l’importo massimo consentito dalle norme (stimato in circa 550 miliardi, di cui 46 relativi ai prestiti fino a 25.000 euro). Dal lato delle imprese è possibile che queste trovino poco conveniente aumentare oltre un certo livello il proprio grado di indebitamento; dal lato delle banche è probabile che alcuni prestiti siano stati rifiutati in assenza di adeguato merito di credito. Dall’altra parte, il meccanismo di concessione delle garanzie ha cominciato a funzionare speditamente solo nell’ultimo mese e quindi l’ammontare dei prestiti coperti da garanzia pubblica potrebbe crescere rapidamente nei prossimi mesi. Considerata la dimensione potenziale dei finanziamenti che potrebbero essere ammessi alla garanzia statale e una ulteriore intensificazione delle domande di prestiti nei prossimi mesi, potrebbero essere necessari nuovi finanziamenti del Fondo di garanzia.
Altri interventi per la liquidità sono di tipo diretto per il tramite di agevolazioni fiscali e contributi a fondo perduto. Il DL 18/2020 ha previsto, a fronte della cessione di crediti vantati nei confronti di debitori inadempienti, la concessione di un credito di imposta rimborsabile. Questo credito è commisurato alla presenza di attività per imposte anticipate (deferred tax assets, DTA) relative a perdite pregresse e deduzioni ACE non ancora utilizzate. Si tratta di un’agevolazione che permette di recuperare deduzioni pregresse non ancora utilizzate e che difficilmente potranno essere altrimenti utilizzate nell’anno per il deteriorarsi delle aspettative di redditività. È una misura accessibile a tutte le imprese, anche in assenza di esigenze legate alle conseguenze dell’emergenza sanitaria che, per sua natura, potrà essere più facilmente sfruttata dalle imprese medio-grandi e da quelle del settore finanziario. Il DL 34/2020 ha poi introdotto un contributo a fondo perduto e incentivi fiscali al rafforzamento patrimoniale volti a riequilibrare la struttura finanziaria delle imprese. Si tratta in generale di misure caratterizzate da una più stringente selettività e differenziate in relazione alle dimensioni e alla natura giuridica dell’impresa. Un obiettivo generale che l’insieme di queste misure si pone è quello della patrimonializzazione delle imprese, per evitare il rischio che gli strumenti di sostegno del credito messi in campo nella fase emergenziale lascino la struttura finanziaria delle imprese troppo appesantita sul lato del debito, con la necessità di destinare il flusso di cassa dei prossimi anni ai rimborsi anziché al finanziamento degli investimenti.
Per le imprese di media dimensione e per quelle più grandi, le misure adottate sono finalizzate a rafforzare la loro struttura finanziaria prestando attenzione a un maggiore equilibrio delle fonti di finanziamento delle società e creare quindi condizioni più favorevoli per gli investimenti che saranno fondamentali per la ripresa e la riqualificazione delle attività produttive. Gli incentivi agli apporti di capitale sembrano quindi completare le agevolazioni per il finanziamento delle imprese che erano finora prevalentemente concentrate sul capitale di debito. Per le imprese beneficiarie, meno del 5 per cento delle società di capitali, queste agevolazioni si affiancano temporaneamente all’ACE, determinando un forte potenziamento dell’incentivo alla capitalizzazione.
Tutte le piccole imprese con fatturato fino a 5 milioni, con l’eccezione delle start up innovative e di quelle che investono in ricerca e sviluppo nel Mezzogiorno, rimangono escluse dalle misure di incentivo della patrimonializzazione. Queste imprese non solo potrebbero subire un deterioramento maggiore dei bilanci rispetto a quelle più grandi, ma le difficoltà di reperire ulteriori finanziamenti potrebbe rallentare i loro investimenti e ostacolare la loro crescita dimensionale.
Infine va osservato che le agevolazioni per il rafforzamento patrimoniale sono soggette complessivamente a un limite di spesa che potrebbe essere insufficiente a beneficiare tutte le imprese interessate e i loro effetti finanziari si manifesteranno solo dal 2021.
Tra le misure che prevedono veri e propri esoneri dal pagamento delle imposte emerge l’abolizione del saldo 2019 e del primo acconto 2020 dell’IRAP per la maggior parte delle imprese. Trattandosi di una riduzione di imposta generalizzata e rilevante anche per molti settori che hanno risentito meno della emergenza, tale misura appare meno coerente con la finalità di indirizzare le risorse pubbliche alle imprese maggiormente colpite dalla crisi che sembra caratterizzare questa nuova fase di interventi. Già nei primi anni dopo la sua introduzione l’IRAP è stata oggetto di discussione e il mondo imprenditoriale ne ha richiesto ripetutamente la soppressione. Se questa misura dovesse rappresentare un primo passo in questa direzione emergerebbe la necessità di ripensare al quadro complessivo di tassazione delle imprese e del finanziamento del sistema sanitario.
Ecobonus e crediti di imposta cedibili. – Il DL 34/2020 ha previsto un rafforzamento degli incentivi pubblici per gli interventi di miglioramento dell’efficienza energetica e delle caratteristiche antisismiche degli edifici effettuati nel secondo semestre 2020 e nel 2021, per i quali viene aumentata al 110 per cento la percentuale di detrazione e ridotto da 10 a 5 anni il periodo di fruibilità. Per tali spese e per le altre sostenute nel biennio 2020-21 che non beneficiano dell’aumento della detrazione è inoltre prevista la possibilità di trasformare la detrazione in credito d’imposta cedibile o in sconto sul corrispettivo.
La misura, ponendo integralmente a carico del bilancio pubblico gli interventi agevolati, appare finalizzata, oltre che a sostenere il settore dell’edilizia, a realizzare incisivi miglioramenti nella classificazione energetica e nella stabilità antisismica degli edifici. A tal fine viene introdotta una modalità di fruizione del beneficio che estende la platea dei potenziali fruitori, attenuando uno dei fattori che determina il forte carattere regressivo di questo tipo di agevolazioni fiscali (esse sono più facilmente fruibili dai contribuenti con redditi elevati che dispongono di adeguata liquidità e sufficiente capienza fiscale) ma ovviamente non il secondo (la proprietà immobiliare è concentrata tra i contribuenti con redditi più elevati).
Occorre poi segnalare il possibile utilizzo della misura a fini elusivi o speculativi. L’entità della detrazione riduce sensibilmente il conflitto di interessi tra fornitori e acquirenti sul costo degli interventi agevolati, avendo entrambe le parti convenienza a massimizzare la spesa fino a raggiungere l’importo massimo agevolabile. Nel caso, ad esempio, di imprese che forniscano sia lavori di riqualificazione energetica che di ristrutturazione al medesimo cliente, potrebbe convenire alle parti sovrastimare il costo dei primi, al fine di finanziare con l’agevolazione anche i secondi. L’effettiva destinazione delle risorse pubbliche alle finalità previste dalla norma sarà quindi rimessa all’efficacia dei presidi antielusivi previsti.
Con riferimento agli effetti finanziari, si segnala un rischio di sottostima degli oneri ai fini dell’indebitamento netto. Nelle stime ufficiali non viene infatti considerato un possibile aumento delle spese agevolabili con riferimento agli interventi di ristrutturazione edilizia per i quali, pur restando invariata la misura e la tempistica dell’agevolazione, può prevedersi una estensione dei potenziali beneficiari in ragione della possibilità di cessione del credito al sistema bancario da parte dei soggetti incapienti. Inoltre, ove i crediti di imposta ceduti e utilizzati in compensazione fossero classificati come “pagabili” (in quanto fruibili indipendentemente dall’esistenza o meno di un reddito tassabile nella dichiarazione dei redditi dell’acquirente), il relativo importo impatterebbe interamente sull’indebitamento netto nel biennio 2021-22, anziché essere distribuito nel tempo sulla base delle rate di fruibilità del credito. Tale considerazione si riferisce sia alle operazioni di ristrutturazione per le quali viene aumentata la misura del beneficio e ridotto il tempio per la relativa fruizione, sia per le restanti operazioni di ristrutturazione del biennio 2020-21 per le quali la norma si limita a concedere la possibilità di optare per la trasformazione delle detrazioni in crediti d’imposta cedibili.
Le misure riguardanti la finanza locale. – Tra le principali linee di intervento volte a sostenere l’attività delle Amministrazioni locali vi sono l’attribuzione di risorse straordinarie e la concessione di anticipazioni di liquidità per il pagamento dei crediti commerciali. Viene inoltre ampliata la sfera di operatività delle Amministrazioni locali in materia di aiuti alle imprese del proprio territorio, nel rispetto del Quadro temporaneo degli aiuti di Stato previsto dalla Commissione europea.
I dati disponibili sugli andamenti di cassa delle Amministrazioni locali mostrano una significativa flessione delle entrate complessive dei primi cinque mesi del 2020, con una drastica riduzione del gettito del mese di maggio. Tali dati non consentono per il momento di formulare una valutazione attendibile in merito alla congruità delle risorse previste dal provvedimento rispetto alle esigenze complessive che si manifesteranno nel corso dei prossimi mesi a causa dell’emergenza sanitaria. Le somme assegnate appaiono comunque significative e la loro tempestiva assegnazione potrà consentire di far fronte agli squilibri di bilancio che iniziano a manifestarsi, mentre il monitoraggio degli andamenti effettivi consentirà di valutare le reali esigenze.
La concessione di anticipazioni di liquidità per far fronte al pagamento dei debiti commerciali replica interventi già adottati in passato, mostrando come il problema dei ritardi di pagamento, benché in progressivo miglioramento, non sia stato ancora definitivamente risolto. Tale intervento costituisce tuttavia nel breve periodo uno strumento utile a diversi fini: a consentire l’erogazione di liquidità al mondo imprenditoriale che lavora con la pubblica amministrazione; a evitare il rischio di apertura della procedura di infrazione preannunciata dalla Corte di giustizia europea per gli eccessivi ritardi nei pagamenti; a limitare l’applicazione della misura sanzionatoria che prevede, a decorrere dal 2021, l’obbligo di accantonamenti aggiuntivi a carico degli Enti che non rispettano i tempi di pagamento. Tale rimedio temporaneo non deve però indurre a rinviare nel tempo quei processi di efficientamento della gestione dei bilanci necessari a evitare il ricorso a soluzioni contabili e pratiche commerciali scorrette. In assenza dell’adozione di tali processi di efficientamento, nonché di criteri di assegnazione delle risorse che assicurino per tutti gli enti il finanziamento delle funzioni fondamentali, il rimedio temporaneo rappresentato dalle anticipazioni di liquidità rischia di produrre nel medio periodo effetti opposti, in quanto la necessità di rimborsare le anticipazioni sottrarrà liquidità agli Enti che hanno dovuto farvi ricorso, contribuendo conseguentemente al rischio del riformarsi dei ritardi di pagamento.
Dal punto di vista contabile, non appare prudenziale assumere la totale assenza di riflessi sull’indebitamento netto con riferimento alla parte delle anticipazioni che verrà utilizzata dagli enti per il pagamento dei debiti commerciali di parte capitale, dato che la spesa in conto capitale degli enti territoriali è registrata in competenza economica al momento dell’esborso di cassa.
Le misure relative al settore sanitario. – In campo sanitario sono state previste una serie di misure per affrontare la pandemia, volte soprattutto ad accrescere rapidamente la disponibilità di personale e dispositivi medici e ad ampliare le reti di assistenza, e alcune riforme più strutturali, quali il miglioramento dei servizi territoriali e l’incremento dei posti letto in terapia intensiva e semi-intensiva. È più che mai rilevante in questo momento che la gestione delle risorse sia consapevole e coerente con obiettivi di appropriatezza, di fronte alle numerose richieste che potrebbero pervenire anche dagli erogatori/produttori, soprattutto privati, di servizi.
I finanziamenti necessari a realizzare le misure in parte sono stati attribuiti al Fondo per le emergenze nazionali (3,15 miliardi per il solo 2020), in parte passano dalla contabilità speciale dello stesso Commissario straordinario (1,467 miliardi nel 2020 per attuare il rafforzamento delle terapie intensive), in parte rappresentano rifinanziamenti del SSN (3,203 miliardi nel 2020, 605 milioni nel 2021 e 1,609 milioni per il 2022). Tali rifinanziamenti restano inferiore all’onere, indicato dal DL 34/2020 in circa 1,7 miliardi, delle misure che restano nella competenza delle Regioni per gli anni successivi al 2020, con un divario soprattutto per il 2021. Si fa forse affidamento anche sui finanziamenti già decisi in passato (1,5 miliardi in più nel 2021 rispetto al 2020) o su ulteriori risorse che potrebbero essere assegnate in futuro.
Le misure relative all’istruzione. – I numerosi decreti legge adottati durante l’emergenza sanitaria hanno dettato una serie di disposizioni relative al settore dell’istruzione, inizialmente rivolte principalmente a gestire le varie fasi dell’emergenza e successivamente essenzialmente mirate ad assicurare nuove assunzioni e nuovi finanziamenti. Con il DL 34/2020, in particolare, sono stati disposti l’ampliamento dei posti relativi ai concorsi per il personale docente della scuola secondaria (con assunzioni posticipate al momento in cui si renderanno disponibili i posti) e l’aumento delle assunzioni di ricercatori nelle Università e negli enti di ricerca. Inoltre, sono stati assegnati nuovi finanziamenti agli istituti scolastici, alle Università, alle AFAM e agli enti di ricerca, per affrontare la situazione di emergenza, ma anche, soprattutto nel caso di Università, AFAM ed enti di ricerca, per rafforzare le risorse in modo strutturale. Per le scuole si mira inoltre ad approfittare del periodo di sospensione dell’attività didattica per attuare i necessari interventi di edilizia scolastica.
Complessivamente, sono state incrementate le risorse destinate a scuola, Università e AFAM ed enti di ricerca di circa di 1,4 miliardi nel 2020 (di cui 173 milioni rappresentano minori entrate nette per le Amministrazioni pubbliche), di 1,2 nel 2021 e di 750 milioni nel 2022 (l’effetto complessivo delle misure sull’indebitamento netto risulta pari a 1,125 miliardi nel 2021 e 660 milioni nel 2022). I fondi per l’edilizia scolastica sono stati incrementati di 30 milioni per il solo 2020.
Le misure adottate dall’Unione europea
Il diffondersi dell’epidemia ha indotto le istituzioni europee ad adottare provvedimenti per contrastarne gli effetti recessivi. La prima significativa risposta dell’area dell’euro alle conseguenze finanziarie della crisi causata dal COVID-19 è stata fornita dalla BCE. A partire dalla riunione del 12 marzo, il Consiglio direttivo della BCE ha annunciato una serie di misure espansive di politica monetaria con l’obiettivo di preservare il flusso di credito a famiglie e imprese, garantire condizioni di liquidità favorevoli e sostenere la stabilità finanziaria dell’area dell’euro. In particolare, la BCE ha dapprima rafforzato il programma di acquisto di attività finanziarie (Asset Purchase Programme, APP) e, quindi, introdotto un nuovo programma di acquisto di titoli pubblici e privati per l’emergenza pandemica (Pandemic Emergency Purchase Programme, PEPP).
L’UPB ha stimato il possibile impatto del programma di acquisiti della BCE sul mercato dei titoli di Stato italiani sulla base di alcuni scenari relativi al possibile ammontare degli acquisti dell’Eurosistema destinati ai titoli pubblici italiani. Le emissioni lorde dei titoli di Stato nel 2020 sono previste pari a 552 miliardi. Sulla base di alcune ipotesi di lavoro, gli acquisti dei titoli di Stato italiani da parte della BCE sono stimati in circa 199 miliardi (di cui 37 miliardi di reinvestimento del capitale rimborsato sui titoli in scadenza), ovvero il 36 per cento del totale delle emissioni lorde del Tesoro. Le emissioni lorde dei titoli di Stato al netto degli acquisti della BCE sul mercato secondario ammonterebbero quindi a 353 miliardi, con un importo complessivo di titoli che il settore privato dovrà assorbire inferiore a quella dello scorso anno (quando la corrispondente stima è di 384 miliardi). La stima delle emissioni nette di titoli di Stato al netto degli acquisti della BCE sul mercato secondario sarebbe pari a circa 26 miliardi.
Per quanto riguarda il quadro delle regole di bilancio europee, il Consiglio dell’Unione, il 23 marzo scorso, ha attivato per quest’anno la clausola generale di salvaguardia prevista dal Patto di stabilità e crescita (PSC), condividendo la valutazione della Commissione circa l’esistenza delle condizioni per la sua applicazione. L’applicazione della clausola generale di salvaguardia non sospende le procedure del PSC, ma consente alla Commissione e al Consiglio di adottare le necessarie misure di coordinamento delle politiche di bilancio nell’ambito del Patto, pur discostandosi dagli obblighi di bilancio che sarebbero normalmente applicabili.
Dopo l’endorsement del Consiglio europeo del 23 aprile, lo scorso 8 maggio l’Eurogruppo ha approvato una nuova linea di credito del MES (Meccanismo europeo di stabilità) denominata Pandemic Crisis Support (PCS). Il sostegno è offerto a tutti i paesi, per riflettere la natura simmetrica dello shock pandemico, con parametri standardizzati. L’unico requisito per accedere al prestito è l’impegno a utilizzare questo credito, concedibile per un ammontare massimo pari al 2 per cento del PIL del 2019 (circa 36 miliardi per l’Italia, 240 miliardi per l’intera area dell’euro), per finanziare i costi collegati direttamente e indirettamente alla pandemia, per sanità, cura e prevenzione.
La Commissione, tra gli strumenti per fronteggiare l’emergenza economica, ha proposto nell’aprile scorso l’istituzione del SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) per la mitigazione del rischio di disoccupazione, ossia un fondo per la concessione di prestiti agli Stati membri della UE fino a 100 miliardi di euro. Il regolamento è stato approvato il 19 maggio 2020. L’obiettivo è di fornire agli Stati membri risorse complementari rispetto a quelle nazionali a favore degli istituti nazionali di sostegno temporaneo al reddito di lavoratori dipendenti e autonomi.
Altre misure a livello europeo sono state introdotte tramite il Gruppo BEI, soprattutto per contrastare l’impatto del COVID-19 sulle piccole e medie imprese. Il 16 marzo, il Gruppo BEI ha proposto un piano per mobilitare fino a 40 miliardi di euro di finanziamenti in tempi brevi. Nell’ambito di questo programma, il 6 aprile il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) ha approvato la prima misura diretta a offrire garanzie, per contenere l’impatto causato dalla pandemia, pari a 2,2 miliardi per incentivare banche e altri intermediari a fornire 8 miliardi di finanziamenti a PMI e mid-cap.
Successivamente, con l’avallo dell’Eurogruppo, il 16 aprile il Consiglio di amministrazione straordinario della Banca ha approvato la creazione del Fondo di garanzia per la pandemia, in grado di dare sostegno fino a 200 miliardi di euro all’economia europea, attraverso vari strumenti finanziari, tra cui garanzie per banche commerciali e istituti di promozione nazionale, garanzie per schemi di garanzia nazionali, venture debt alle aziende ad alta crescita, acquisto di titoli garantiti da attività finanziarie (asset–backed securities) detenuti da banche, in modo da permettere loro di fornire nuovi prestiti alle PMI. Il Fondo di garanzia diverrà operativo appena gli Stati membri che rappresentano almeno il 60 per cento del capitale della BEI avranno assunto i necessari impegni per la concessione della garanzia. L’Italia ha già preso i suoi impegni a norma dell’art. 36 del DL “Rilancio” 34/2020.
Infine, la Commissione europea, il 27 maggio, ha presentato “Il piano per la ripresa dell’Europa”, composto da un programma di rilancio integrato in un bilancio pluriennale della UE rafforzato. La Commissione propone di sfruttare il bilancio della UE per contrastare la carenza di investimenti prevista per i prossimi anni, articolando la sua proposta attorno a due cardini:
- il programma di rilancio Next generation EU, il nuovo strumento europeo per la ripresa, tramite il quale si prevede di incrementare il bilancio su base temporanea, per un ammontare pari a 750 miliardi di euro, tramite nuovi finanziamenti raccolti sui mercati finanziari e convogliati agli Stati membri attraverso i programmi della UE; il bilancio pluriennale della UE, ossia il Quadro finanziario pluriennale (QFP), rivisto per il periodo 2021-2027, con una dotazione di stanziamenti per impegni di spesa di 1.100 miliardi di euro, per i 7 anni dell’orizzonte di programmazione. Sono state altresì presentate alcune proposte di emendamento del QFP 2014-2020 ancora in vigore per mettere a disposizione, già per l’anno 2020, 11,5 miliardi di euro di finanziamenti aggiuntivi.
Secondo la proposta della Commissione, Next Generation EU sarà uno strumento di emergenza una tantum, attivato per un periodo limitato, esclusivamente ai fini della risposta alla crisi e per la ripresa. I fondi saranno erogati agli Stati membri fino al 31 dicembre 2024 e saranno raccolti sui mercati finanziari sfruttando l’elevato rating di credito della Commissione. I 750 miliardi di euro di risorse dello strumento Next Generation EU saranno erogati per 500 miliardi di euro sotto forma di trasferimenti, tramite nuovi programmi della UE o quelli già esistenti rafforzati, accelerando anche la transizione verde e digitale, e 250 miliardi di euro sotto forma di prestiti, su cui verranno applicate pressoché le medesime condizioni dell’emissione originaria.
Il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility), parte di Next Generation EU, è la novità più importante del pacchetto proposto dalla Commissione. Il pacchetto sarà offerto a tutti gli Stati membri, ma in particolare a quelli più colpiti dagli effetti della pandemia. Esso è dotato di 560 miliardi di euro, ed è destinato a sostenere investimenti e riforme. Gli Stati membri dovranno presentare Piani per la ripresa e la resilienza basati sulle priorità individuate nell’ambito del Semestre europeo, in linea con le strategie della UE e con i Piani nazionali per l’energia e il clima.
L’insieme delle proposte della Commissione è ancora oggetto di negoziati tra gli Stati membri, che dovrebbero concludersi entro luglio secondo gli auspici della Commissione, in modo tale da rendere operativi il nuovo bilancio pluriennale della UE e il Next Generation EU fin dal primo gennaio 2021.
Una prima analisi preliminare ha evidenziato una serie di benefici e di costi per ciascuno dei principali strumenti messi in campo dalle istituzioni europee, vale a dire il PCS, il SURE e la RRF. Per quanto riguarda la tempestività degli interventi, solo il PCS è immediatamente disponibile; per il SURE occorrerà aspettare che gli Stati membri mettano a disposizione la garanzia nei prossimi mesi, mentre per la RRF occorre ancora attendere l’accordo tra i paesi sulle sue caratteristiche principali con l’auspicio che possa essere pienamente operativo solo a partire dal gennaio 2021. In termini di impatto sui conti pubblici, la componente trasferimenti della RRF non dovrebbe avere effetti né sull’indebitamento netto né sul debito delle Amministrazioni pubbliche mentre l’utilizzo dei prestiti PCS, SURE e della componente prestiti della RRF comporta un aumento dell’indebitamento netto e del debito pubblico, secondo la definizione utilizzata per il Patto di stabilità e crescita. L’eventuale aumento dei contributi nazionali al bilancio della UE per ripagare il debito contratto nel periodo 2021-27 per finanziare i trasferimenti della RRF avrebbe luogo solo a partire dal 2028.
Sull’ammontare massimo di aiuti, la RRF potrebbe rappresentare una fonte significativa di finanziamento per le misure di rilancio dell’Italia nei prossimi anni mentre il PCS e, ancor più, il SURE appaiono di portata più limitata sebbene potenzialmente rilevanti per alleggerire le necessità di finanziamento del Tesoro nei mercati. Per quanto riguarda i tassi di interesse applicati ai prestiti, essi non dovrebbero essere significativamente diversi tra i tre strumenti, e rappresenterebbero un beneficio per l’Italia considerato l’elevato merito di credito dei soggetti emittenti i titoli la cui raccolta verrebbe poi trasferita all’Italia.
Infine, il confronto appare più articolato sul tema della condizionalità. Per quanto riguarda il SURE, la condizionalità appare relativamente più leggera in quanto legata solo al vincolo di destinazione delle risorse (schemi di sostegno temporaneo al reddito dei lavoratori). Tale vincolo caratterizza anche il PCS in quanto l’uso dei prestiti è legato al finanziamento dei costi diretti e indiretti della pandemia. Rispetto ad altri strumenti del MES, la sorveglianza rafforzata esercitata dalla Commissione si applicherà in modo semplificato, secondo quanto comunicato dalla Commissione al Presidente dell’Eurogruppo. Tuttavia, come dichiarato dall’Eurogruppo stesso, vale anche per il PCS il sistema di early warning del MES, e quindi la valutazione sulla capacità del paese di restituire il debito contratto. Nel caso della RRF, pur in un quadro ancora in corso di definizione, l’erogazione dei fondi è strettamente condizionata alla predisposizione e attuazione di piani di riforme e di investimenti da parte dei paesi beneficiari, valutati e approvati dalla Commissione, che tengano conto non solo delle preferenze di policy dei paesi, ma anche delle priorità definite dall’Unione. È da considerare, infine, che l’eventuale adesione agli strumenti disponibili sarà verosimilmente tenuta presente nell’ambito della ordinaria sorveglianza del Patto di stabilità e crescita, relativa alla stabilità macroeconomica e di finanza pubblica.